Skip to main content

Scuola di jus per Meloni: gli italiani ci sono, manca l’Italia. L’opinione di Sisci

Così quasi come 200 anni fa, si deve fare l’Italia, o si ritorna non al fascismo, ma ai Borbone proiettati su Africa e Russia, e a Milano annessa alla Baviera, al Papa re. Ed è quello che già sta succedendo. È quello che vuole signora Meloni? Il commento di Francesco Sisci

Il leader di Forza Italia Antonio Tajani dopo avere per giorni pungolato il premier Giorgia Meloni sulla esplosiva questione dello ius scholae, domenica dal Quotidiano Nazionale ha rassicurato dichiarando che il governo non rischia di cadere. Contemporaneamente si diffondono voci che Matteo Salvini e Roberto Vannacci della Lega stanno preparando a opporsi allo ius scholae e farne questione identitaria. Quindi Meloni è tirata in direzioni opposte. Né è realistico pensare che la vicenda possa essere frettolosamente messa in naftalina. Ormai ha vita propria.

Perciò anche se da settembre il governo vorrà concentrarsi sulla complicatissima legge di bilancio il problema resterà sul tavolo e dividere la maggioranza e tormentare il partito di Meloni Fratelli d’Italia che sulla materia non vuole esprimersi. Il problema è che l’eredità fascista e razzista non è mai stata davvero affrontata. Il Pci alla fine degli anni 70 per essere ammesso in maggioranza pagò il prezzo di tagliare i legami con le sue velleità rivoluzionarie e battersi in prima linea contro le Brigate Rosse, uscite da un suo antico fianco. FdI è arrivata invece a presiedere il governo senza avere mai davvero fatto i conti non solo con il fascismo di Mussolini ma con il più recente terrorismo nero. Questa mancanza di chiarezza però ha fatto incespicare il governo a ogni piè sospinto.

L’Italia repubblicana infatti nasce antifascista. Il fascismo antico e i suoi seguaci moderni possono avere ragione o torto, ma non è questo il punto.
L’Italia la fecero i Savoia distruggendo il regno dei Borboni a Napoli e contro gli Asburgo in Austria. Borboni e Asburgo possono essere stati migliori del Savoia, saranno gli storici a giudicare, ma un’apologia di re Ferdinando e di Maria Teresa oggettivamente andrebbe contro l’unità d’Italia, farebbe a botte con il governo del paese. Lo stesso è con il fascismo.

FdI è arrivata al governo con l’assunto di avere tagliato i ponti con il fascismo, ma così non pare. Nella sua ambiguità FdI ha aperto due fianchi, uno ai moderati, uno ai radicali. Meloni avrebbe dovuto mettere in moto forze centripete per dominare e asciugare le ali, ma non ci è riuscita e le ali sono diventate forze centrifughe. Meloni non è la sola a essere stata grattugiata dalle polemiche quotidiane. Negli ultimi anni infatti sono mancate le visioni ampie da statisti. Esse sono cinque, come saggiamente racconta Antonio Polito nel suo Il Costruttore. Le cinque lezioni di De Gasperi ai politici di oggi.

1. Il vero democratico è antifascista e anticomunista allo stesso tempo.

2. La politica estera è sempre la chiave della politica interna.

3. Il rigore serve per la crescita, la crescita fornisce le risorse per le riforme sociali. 4. Investire (bene) nel Sud è utile anche allo sviluppo del Nord.

5. Il leader è forte se sono forti le istituzioni, non i partiti.

Ma forse c’è un altro problema ancora. La questione non è l’uomo, il profeta, ma le forze che si coalizzano. De Gasperi era un ultimo figlio del sacro Romano Impero Germanico come il francese Schumann e il tedesco Adenauer che posero le prime pietre della Ue (con la benedizione americana). Tutti e tre cattolici e di prima lingua tedesca. In Italia De Gasperi fece politica all’ombra della Chiesa, che cercava così di riprendere uno spazio dopo la fine dello Stato Pontificio. La Dc viveva, specie all’inizio, in simbiosi con le parrocchie, in una alleanza poi con gli americani, gli inglesi e i francesi che avevano vinto la guerra e avevano deciso di non spezzare politicamente la penisola.

In altre parole, l’Italia venne dominata per quasi un cinquantennio da forze semi straniere o straniere, la Chiesa, gli Usa, Uk. Questo era già avvenuto in passato. Fu una forza “straniera” a unificare politicamente per la prima volta l’Italia: i Savoia semi francesi, estranei per secoli dalle vicende principali italiane, stato cuscinetto tra Francia e Genova/Aragona, in alleanza con altre forze straniere (Inghilterra, Francia, Prussia). Né essi rinnegarono mai di essere prima Savoia e poi “italiani”. Re Vittorio Emanuele II non divenne “Primo” quando si fece re d’Italia e l’esercito nazionale fu solo un allargamento di quello sabauda.

Con i Savoia e con la Dc l’Italia ebbe una direzione di marcia, giusta o sbagliata che fosse. Quando prevalse il fascismo e la Dc cadde, il Paese senza forze “esterne”, perse la bussola. Forse la giovanissima Italia non è capace di governarsi “da sola”. Le leggi sull’autonomia differenziata e il premierato vanno anche in questa direzione, e lo ius scholae conferma la tendenza. Allora, forse, il problema non è la pochezza di Meloni o di chi per lei, ma è che bisogna vedere le cose in altro modo. Nel 1861 i patrioti del tempo guardando le diversità dei dialetti e delle culture della penisola dicevano: “l’Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani”.

Oggi tutti parlano l’italiano e la cultura ha avuto una grande convergenza ma la politica, al di là dei cambi di governo, non riesce a decollare. Perciò forse bisognerebbe pensare al contrario: gli italiani ci sono, ora bisogna fare l’Italia. Il problema è importante per l’Europa, perché un’Italia traballante pesa sulla Ue, ma è esistenziale per la Chiesa, perché il Vaticano deve la sua sicurezza/indipendenza politica e amministrativa all’Italia. Un progressivo sfarinamento politico dell’Italia crea mille problemi alla Chiesa e pone urgenze di supplenza, come il crollo dell’Impero d’Occidente portò il papa a diventare sovrano della città di Roma. Oggi però cambierebbe le priorità della Santa Sede che vuole essere concentrata sul mondo.

Così quasi come 200 anni fa, si deve fare l’Italia, o si ritorna non al fascismo, ma ai Borbone proiettati su Africa e Russia, e a Milano annessa alla Baviera, al Papa re al centro. Ed è quello che già sta succedendo. È quello che vuole signora Meloni? Per contrastare la tendenza tagli drasticamente con il fascismo, cacci i fanatici in camicia nera, cominci a dire che si è italiani in base alla cultura non al colore della pelle e inizierà a fermare una deriva perversa. Indossi la camicia rossa dei garibaldini che unirono il Paese, non quella nera degli avanguardisti. Provi che l’Italia può governarsi da sola, senza attendere un intervento salvifico esterno.

Oppure, come diceva Nanni Moretti davanti al taglio sconquassato di un Mont Blanc: continuiamo così, facciamoci del male. E il governo anche se non cade, come promette Tajani, non governa ed è ancora peggio.



×

Iscriviti alla newsletter