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Semiconduttori, IA e non solo. Così Intel prova a superare il suo trimestre rosso

In attesa che arrivino le sovvenzioni del Chips and Science Act, l’azienda americana ha registrato un calo nel secondo trimestre che la costringerà a rivedere i piani per il futuro. L’obiettivo è ridurre spese e investimenti per tornare competitivi in un settore in ripresa, dove le rivali corrono veloci

“La nostra performance finanziaria nel secondo trimestre è stata deludente, anche se abbiamo raggiunto traguardi tecnologici chiave”. Pat Gelsinger, ceo di Intel, prova a guardare il bicchiere mezzo pieno. Ma ignorare l’altra metà è praticamente impossibile. Il colosso americano dei semiconduttori non corre come dovrebbe, tanto da annunciare un piano di taglio drastico. È necessario ridurre i costi (10 miliardi per il prossimo anno) e gli investimenti, licenziando oltre il 15% del personale. Tradotto in numeri concreti, parliamo di oltre 18.000 dipendenti, visto che l’azienda nel 2023 ne contava circa 125.000. Secondo altri come il Financial Times si parla di 15.000 lavoratori, quindi poco meno rispetto al dato precedente, ma il senso del discorso rimane lo stesso: Intel è in difficoltà.

Nel periodo compreso tra aprile e giugno, il gruppo ha fatturato 12,8 miliardi di dollari, un dato al ribasso rispetto a quello preventivato e in calo dell’1% su base annua. Le perdite riconosciute ammontano a 1,6 miliardi di dollari e, come non bastasse, ha anche annunciato che a fine anno non verranno pagati i dividendi. Alla chiusura della Borsa di New York, le azioni della società erano calate di oltre il 19%. Un tonfo piuttosto rumoroso, che secondo il direttore finanziario David Zinsner è dovuto a “venti contrari” che hanno soffiato in opposizione alla produzione di componenti dei nuovi computer basati su Intelligenza Artificiale, rallentandola. Con il piano di riduzione, “stiamo adottando misure proattive per migliorare i nostri profitti”, che nel prossimo trimestre dovrebbero oscillare tra i 12,5 e i 13,5 miliardi di dollari.

Se allarghiamo l’orizzonte, dal 2020 al 2023 Intel ha perso 24 miliardi. Nel frattempo, la sua forza lavoro continuava a crescere, rendendo i costi “insostenibili” come ha spiegato Gelsinger. Quando l’ingegnere è stato chiamato a capo dell’azienda nel 2021, l’obiettivo era portare Intel a capo della catena di produzione dei semiconduttori, investendo miliardi di dollari in nuove infrastrutture e impianti per realizzarli. Il gioco non è valso la candela a quanto pare, perché ai grandi esborsi non sono corrisposti i risultati che si volevano ottenere. A pesare sono anche le politiche del proprio Paese, con l’amministrazione guidata da Joe Biden che ha deciso di revocare l’export dei semiconduttori americani a Huawei per non favorire la Cina. Un duro colpo per Intel, già indietro nella corsa ai chip di ultima generazione.

Nel frattempo sono emersi nuovi attori sulla scena, che hanno spodestato Intel. Tra questi figurano certamente le connazionali AMD e Nvidia, a cui si è aggiunta anche la taiwanese Tsmc, ormai leader assolute del settore avendo puntato tutto (o quasi) sull’intelligenza artificiale, i cui strumenti sono esplosi nell’ultimo periodo. Tutto il settore tecnologico ha subito una flessione nell’ultimo periodo, ma col tempo sembra in ripresa. Intel, invece, continua a fare fatica. Se i numeri appena usciti venissero confermati, la sua capitalizzazione scenderebbe a 100 miliardi di dollari: il 5% in meno di Nvidia e ben il 40% in meno rispetto a AMD.

Questo nonostante la Casa Bianca gli abbia affidato un compito centrale: riportare la produzione in America. La sfida con Pechino si vince anche nel campo della tecnologia, per cui è importante avere delle eccellenze nazionali su cui contare. Nel 2022, con il Chips and Science Act, Biden ha stanziato oltre 120 miliardi di dollari tra prestiti e sovvenzioni per rafforzare l’industria dei chip, in quella che lo stesso Gelsinger aveva definito “la più importante politica industriale dalla Seconda Guerra Mondiale”. Alla sua azienda, Washington ha promesso 8,5 miliardi di sovvenzioni e altri 11 miliardi di dollari di prestiti. Niente di vincolante, ma una promessa è pur sempre una promessa. Ad oggi però, come scrive il Washington Post, Intel non ha ricevuto ancora un centesimo.

Anche se fosse, competere con le rivali sudcoreane, taiwanesi e cinesi non è una passeggiata, dato che hanno costi nettamente inferiori. Intel proverà ad adeguarsi con un nuovo piano che dovrebbe abbattere le spese, ma allo stesso tempo liquidare migliaia di posti di lavoro. Non proprio quello che si intendeva quando si parlava di successo nazionale.



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