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Verso un’Europa della difesa, quale ruolo per l’Italia? Scrive Michele Nones

Siamo ancora all’interno di un lungo percorso per avere maggiore difesa e sicurezza che dovrà inevitabilmente comportare “più Europa”. L’alternativa sarebbe, infatti, “nessuna Europa”. Quale può essere il ruolo dell’Italia in questo processo? Lo spiega Michele Nones, vicepresidente dell’Istituto affari internazionali, in una riflessione sulla Difesa europea divisa in quattro parti

La costruzione dell’Europa della difesa è un processo lungo, complesso e tormentato che procede per “stop and go” e a velocità differenziate fra il livello comunitario, intergovernativo e multilaterale (quasi sempre bi o trilaterale). Nessuno è in grado di prevederne realisticamente i tempi e nemmeno le forme che può assumere. Di fatto i suoi passi avanti sono condizionati dai passi indietro che sono disposti a fare gli Stati membri. Dopo una campagna elettorale condotta da alcune forze politiche all’insegna del “meno Europa”, la prospettiva non è certo rosea. Nemmeno la sveglia suonata due anni fa ad oriente con l’attacco all’Ucraina è stata sufficiente. In questo contesto c’è solo da sperare che in autunno non ne suoni un’altra da occidente.

È possibile che un’eventuale, più chiaro e incisivo, nuovo quadro istituzionale europeo in tema di difesa (Commissario per l’industria dello spazio e della difesa? Due Vice Alti Rappresentanti di cui uno per la difesa? Commissione difesa al Parlamento Europeo?) possa favorire una maggiore attenzione e un maggiore impegno dell’Ue, ma nulla può essere dato per scontato. Siamo ancora all’interno di un lungo percorso per avere maggiore difesa e sicurezza che dovrà inevitabilmente comportare “più Europa”. L’alternativa sarebbe, infatti, “nessuna Europa”.

L’Italia, in tutti questi anni, ha dato un significativo contributo a questo processo. In alcuni casi perché c’è stata una fortunata combinazione di lungimiranti politici, diplomatici e militari, in altri una scarsa attenzione politica nazionale per quanto facevano i “tecnici” ai tavoli europei e, in altri ancora, per la speranza che il “vicolo europeo” consentisse poi di superare gli ostacoli nazionali ad ogni tentativo di cambiamento.

Ma, se qualcuno pensava che i problemi fossero solo a Bruxelles (dove, comunque, non sono mai mancati), si sbagliava alla grande. Altrettanti problemi vi sono stati e vi sono a Roma. L’adeguamento della nostra normativa e relativa regolamentazione a quella europea è sempre avvenuto in ritardo e, spesso, parzialmente, penalizzando sistematicamente il nostro Paese. Limitandosi al campo della difesa e della sicurezza, vi sono diverse ragioni oggettive e soggettive:

– è difficile inserire in un quadro giuridico “pesante” e spesso datato, come quello italiano, norme basate su un approccio più flessibile e su controlli prevalentemente ex-post (mentre da noi gran parte delle procedure si concentrano su quelli ex-ante);
– è altrettanto difficile individuare nelle nostre strutture amministrative, rigide e, spesso, ereditate da un lontano passato, competenze professionali e uffici/organismi in grado di gestire lo spirito, oltre che la sostanza, delle norme europee;
– la logica dovrebbe essere quella di utilizzare l’obbligo del recepimento per ammodernare la nostra normativa introducendovi flessibilità e responsabilizzazione degli organismi coinvolti mentre sembra che si punti più alla forma che alla sostanza;
– è sbagliato affidare esclusivamente all’ufficio legislativo del ministero della Difesa il recepimento delle norme europee perché vi dovrebbero essere coinvolti fin dall’inizio gli organismi operativi che poi devono gestire queste normative e quanti hanno partecipato alla loro definizione a Bruxelles, oltre che gli uffici della Presidenza del Consiglio che devono garantire il nostro allineamento con l’Ue e il frequente necessario coordinamento interministeriale (anche considerando il sempre più stretto rapporto fra il settore/mercato civile e quello militare), oltre che l’industria della difesa che rappresenta la terza componente di ogni efficace sistema nazionale di difesa;
– più in generale, essendo tipica in tutte le amministrazioni statali, va contrastata una certa resistenza al cambiamento, garantendo una costante e forte attenzione del vertice politico per stimolare il necessario adeguamento giuridico, organizzativo e culturale.

Per dirla più brutalmente, fatti i compiti a Bruxelles, bisogna poi farli anche a Roma. E senza brindisi ed applausi, anzi dovendo vincere le resistenze corporative e politiche di chi in fondo non vuole cambiare né il Paese, né le proprie abitudini.

In questo quadro non deve stupire che il recepimento finisca con l’evidenziare gli svantaggi invece che i vantaggi, scaricando eventuali conseguenze negative sull’Europa anziché su noi stessi per come lo abbiamo fatto. È, forse, superfluo ricordare che nel nuovo scenario strategico tempestività ed efficacia dell’attuazione delle decisioni assunte dai vertici politici e militari rappresentano, insieme alle disponibilità finanziarie, la grande sfida per assicurare maggiore difesa e sicurezza al nostro Paese nel quadro dell’Ue e della Nato.

Questo richiede inevitabilmente una serie di interventi per riformare e riorganizzare il nostro ministero della Difesa e gli altri organismi coinvolti, ma anche altrettanti interventi sul quadro normativo e regolamentare prodotto a livello nazionale sia autonomamente sia in sede di recepimento di normative europee. Esigenza resa ancora più urgente dal nuovo difficile e imprevedibile scenario strategico in cui ci stiamo muovendo. Bisogna attrezzare il nostro Paese per farvi fronte sul piano istituzionale, organizzativo, giuridico e amministrativo.

Non viviamo più in un’economia di pace e, se non vogliamo precipitare in un’economia di guerra, dobbiamo poter costruire un’economia di emergenza. Forse una legge “omnibus”, che adegui per lo meno alcune limitate parti delle diverse leggi coinvolte, potrebbe consentirci rapidamente di raggiungere una maggiore efficienza e darebbe un chiaro segnale alla nostra opinione pubblica sulla fine della ricreazione.

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