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Antimicrobico resistenza, quali soluzioni? Parla la prof. Tarricone

“Gli antibiotici reserve sono essenziali per contrastare le infezioni multiresistenti, ma la loro esclusione da fondi specifici limita la possibilità di affrontare in modo efficace l’emergenza sanitaria legata all’Amr”. Le soluzioni per affrontare l’emergenza ci sono, ma “al momento occorre agire in fretta”. Intervista a Rosanna Tarricone, associate dean della Sda Bocconi school of management

Il contrasto al fenomeno dell’antimicrobico resistenza (Amr) è oggi considerato una priorità di salute pubblica globale. L’Amr contribuisce a 4,9 milioni di decessi a livello globale e ne è la diretta causa per 1,3 milioni di persone ogni anno. Nel futuro lo scenario rischia di essere più drammatico. Secondo le stime, infatti, si prevedono 10 milioni di morti all’anno attribuibili all’Amr entro il 2050. Questo fenomeno non ha solo implicazioni gravi in ambito sanitario, ma anche in ambito economico, con un impatto pari a 1,5 miliardi di euro nella sola Unione europea.

La lotta all’Amr passa anche attraverso nuovi antibiotici, tuttavia, la ricerca e sviluppo di questi farmaci incontra vari ostacoli, principalmente legati ai costi elevati e ai bassi ritorni economici. Con un costo medio di 1,7 miliardi di dollari per lo sviluppo e ricavi pari a soli 240 milioni nei primi otto anni, è necessario ripensare il quadro regolatorio attuale promuovendo la ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci attraverso modelli innovativi di finanziamento. Quali strumenti abbiamo per fronteggiare questa emergenza? Ne abbiamo parlato con Rosanna Tarricone, associate dean della Sda Bocconi school of management e associate professor di Health economics e Health technology assessment.

La R&S di nuovi antibiotici è lenta, costosa e spesso insostenibile. Tuttavia, come sottolineato dal Pncar del ministero della Salute è essenziale per contrastare l’Amr. Quali soluzioni si possono adottare per uscire dall’impasse?

Sicuramente bisogna trovare delle modalità di incentivazione nei confronti dell’industria farmaceutica. Lo sviluppo di antibiotici innovativi non dà ritorni economici tali per cui le imprese farmaceutiche siano incentivate a investirvi. Bisogna essere realistici e concreti, il ritorno sull’investimento è basso, addirittura forse negativo, e quindi una modalità di incentivazione ci deve essere.

Tipo?

Le modalità possono essere tante, non c’è una sola via. Molte, ad esempio, possono essere le forme di collaborazione fra pubblico e privato. Personalmente ritengo che per essere realmente efficaci bisogna utilizzare tutte le modalità disponibili, fra cui i cosiddetti incentivi pull&push nella politica farmaceutica. Al di là della scelta che ogni governo può fare, però, il tema centrale è che senza un agreement e in mancanza di collaborazione fra pubblico e privato, difficilmente usciremo da questa impasse.

Gli antibiotici reserve non dispongono di un quadro regolatorio e finanziario specifico e rientrano fra i farmaci di fascia H, nonostante l’urgenza del contrasto all’Amr. Quali conseguenze ci sono?

La mancanza di un quadro regolatorio e finanziario specifico per gli antibiotici reserve, che rientrano fra i farmaci di fascia H, ha diverse conseguenze rilevanti. In primo luogo la sostenibilità economica. Poiché tali antibiotici sono soggetti alle logiche generali di contenimento della spesa sanitaria, le aziende farmaceutiche che sviluppano e commercializzano questi farmaci sono gravate da elevati costi di ricerca e sviluppo, senza però ricevere incentivi finanziari adeguati. Questo disincentiva ulteriormente l’innovazione in un settore già caratterizzato da bassi ritorni economici, portando molte aziende a ritirarsi dal campo della ricerca antibiotica, come già successo. Un altro problema riguarda il rallentamento della lotta contro l’Amr. L’assenza di una valutazione ad hoc e di criteri regolatori dedicati porta a una sottovalutazione del valore terapeutico di questi farmaci. Gli antibiotici reserve sono essenziali per contrastare le infezioni multiresistenti, ma la loro esclusione da fondi specifici o da meccanismi che garantiscano un’innovatività riconosciuta (come il Fondo per i farmaci innovativi) limita la possibilità di affrontare in modo efficace l’emergenza sanitaria legata all’Amr. Infine credo che un’altra implicazione riguardi i possibili ritardi nell’adozione di nuovi antibiotici. L’attuale modello di valutazione degli antibiotici reserve può portare a tempi di rimborso molto lunghi, ostacolando l’introduzione tempestiva di nuovi farmaci sul mercato. Questo rallenta la disponibilità di nuove terapie nei reparti ospedalieri, contribuendo al peggioramento degli outcome clinici dei pazienti e aumentando la pressione sugli ospedali italiani già in difficoltà nell’affrontare infezioni nosocomiali gravi.
In sintesi, la mancanza di un quadro regolatorio e finanziario specifico per gli antibiotici reserve in Italia contribuisce a ritardi nell’accesso, limita l’innovazione e aumenta i costi sanitari, ostacolando la risposta efficace alla crescente minaccia dell’antimicrobico resistenza.

E quindi com’è possibile ribaltare questa situazione?

Da un lato servono politiche di incentivazione di tipo finanziario, dall’altro urge una regolamentazione diversa.

Quali sono i passi che stanno intraprendendo le istituzioni?

L’Unione europea sta adottando diverse misure per affrontare la crescente minaccia della resistenza antimicrobica, riconoscendola come una delle maggiori sfide per la salute pubblica. Tra le iniziative più significative, ricordo il nuovo Piano d’azione one health; il rafforzamento della ricerca e dell’innovazione attraverso il finanziamento di numerosi progetti di ricerca; il nuovo quadro regolatorio farmaceutico per introdurre riforme normative che incentivano lo sviluppo di nuovi antibiotici e garantiscano il loro accesso. Per quanto riguarda le attività di sorveglianza e monitoraggio, l’Ue, tramite l’Ecdc (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie), monitora costantemente i livelli di resistenza antimicrobica in Europa. Sono state implementate piattaforme di raccolta dati, come l’Esac-Net, che forniscono informazioni aggiornate sull’uso degli antibiotici e l’insorgenza di resistenza tra gli Stati membri.

E in Italia?

Anche noi ci stiamo muovendo. Non posso negare che l’Italia forse arriva in ritardo rispetto ad altri Paesi, ma c’è grande sensibilità sul tema come dimostrato dalle istituzioni centrali e regionali. Sono abbastanza ottimista che ci saranno ulteriori cambiamenti nel nostro Paese.

Il fondo per i farmaci innovativi garantisce vantaggi in termini di accesso, tuttavia abbiamo escluso gli antibiotici da questo fondo. Perché?

Uno dei motivi principali è legato ai criteri di accesso al fondo, che includono il rispetto di parametri molto stringenti. Tra questi c’è il metodo Grade (Grading of recommendations, assessment, development, and evaluation), che valuta il valore terapeutico aggiunto del farmaco rispetto alle opzioni esistenti. Tuttavia, a causa delle difficoltà nel condurre studi clinici su larga scala per gli antibiotici reserve, molti di questi farmaci non riescono a soddisfare pienamente tali criteri, nonostante la loro importanza cruciale nella lotta contro le infezioni multiresistenti.

E allora perché si usa il metodo Grade per il fondo per i farmaci innovativi?

Perché non era pensato per gli antibiotici, che come ho già detto sono spesso incompatibili con questo criterio.

Come agire, allora?

Il fatto che ci troviamo di fronte a questa situazione non significa che non si possano fare delle modifiche; dobbiamo ricordarci che siamo di fronte a un’emergenza. Almeno nel breve periodo bisognerebbe trovare un modo per utilizzare il fondo per i farmaci innovativi. Anche perché, in tutta onestà, ogni anno avanzano milioni di euro non utilizzati. Quindi perché non usare questo contenitore per includere gli antibiotici reserve? Ovviamente introducendo determinati criteri ad hoc.

E nel lungo periodo, cosa si potrebbe fare?

Nel medio-lungo periodo possono essere anche altre le politiche da implementare anche alla luce di una armonizzazione a livello Ue e nella logica one health. Ma al momento occorre agire in fretta. Abbiamo risorse che avanzano, non sprechiamole.



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