I cinesi non consumano e non spendono e questo a Pechino sta bene. Ma tutto quello che le aziende del Dragone producono e che non viene assorbito nel Paese, si riversa sui mercati esteri, devastandoli. Ecco che cosa ha detto l’economista Ning Leng della Mccourt School al Dipartimento di Stato americano
Come e in che misura la Cina avvelena e distorce i mercati globali? La sovracapacità cinese è ormai un problema planetario, dal momento che tutto ciò che il Dragone produce (circa un terzo della manifattura globale passa per Pechino) e non consuma internamente, si riversa all’estero, con tutte le conseguenze del caso. Nefaste. Nei giorni scorsi l’economista Ning Leng, della Mccourt School of Public Policy, ha tenuto un incontro con numerosi esperti, presso il Dipartimento di Stato americano. E il titolo scelto per l’iniziativa, la dice fin troppo lunga: “Implicazioni globali dell’espansione economica della Cina”.
“Come probabilmente abbiamo notato tutti, la Cina ha raggiunto un punto critico in cui il suo attuale modello di crescita economica sta perdendo slancio. Quest’anno, l’economia cinese continua a rallentare”, ha premesso Leng. “La produzione industriale, i consumi e gli investimenti hanno rallentato più del previsto. Il tasso di disoccupazione è salito al massimo degli ultimi sei mesi ad agosto, mentre il tasso di disoccupazione giovanile urbana è salito al 17,1% a luglio, rispetto al 13% di giugno. Questo continuo rallentamento economico indica tre grandi sfide al modello di crescita economica della Cina, sfide che a loro volta influenzeranno le strategie globali della Cina stessa in seguito”.
“Nel 2023 probabilmente c’erano più case vuote in Cina di quante potessero essere riempite dagli 1,4 miliardi di persone del Paese. Questo induce, per fare un esempio, a pensare che Pechino continui a spostare la sua sovracapacità nell’edilizia all’estero, concentrandosi su regioni e Paesi con esigenze infrastrutturali, la maggior parte dei quali si troverà nel Sud del mondo. Tuttavia, questa strategia, inclusa la Belt and Road Initiative, sarà probabilmente diversa rispetto al decennio precedente, perché il governo cinese ora deve anche affrontare vincoli fiscali, con un crescente debito pubblico interno accumulato dallo sviluppo eccessivo del mercato immobiliare, nonché crescenti inadempienze sui prestiti”.
Ma c’è un altro problema, forse il più urgente. “L’ultima sfida all’economia cinese in questo momento è la debole spesa dei consumatori. I quali sono meno disposti a spendere nel mezzo di un attuale rallentamento economico e la ragione sta nell’insufficiente rete di sicurezza sociale che il governo cinese ha costruito nel corso di 30 anni. Quindi in questo momento, i consumi rappresentano solo il 53,4% del Pil totale della Cina. Questa è significativamente inferiore alla media globale del 72%, e se escludiamo la spesa pubblica, allora la spesa dei consumatori in Cina da sola rappresenterebbe solo circa il 38% del Pil”. Dunque, secondo l’economista, “nel prossimo futuro, a meno che il governo cinese non aumenti la spesa per il welfare sociale, sarà molto difficile che i consumatori cinesi spendano come hanno fatto negli ultimi due decenni, perché la loro ricchezza si è ridotta notevolmente nel mercato immobiliare e a causa della crescente pressione sulla classe media in Cina in termini di assistenza all’infanzia, assistenza agli anziani, salute e istruzione”.
Risultato? “Il primo è che nei prossimi anni le importazioni cinesi di prodotti di consumo, in particolare quelli di fascia alta, probabilmente rallenteranno. Altra implicazione è che le aziende cinesi investiranno sempre di più nel mercato estero e negli investimenti diretti esteri all’estero. Quando si tratta di commercio, con la nuova attenzione della Cina all’acquisto di prodotti a valore aggiunto, la Cina avrà bisogno di grandi mercati con una solida classe media in grado di acquistare telefoni, computer e auto elettriche cinesi”. Tradotto, l’aggressività del Dragone all’estero sarà la costante.