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Lezioni neozelandesi contro l’ascesa cinese. Scrive Harth

Come dice il nuovo rapporto annuale dell’intelligence neozelandese, “siamo entrati in una nuova era di competizione strategica” in cui le linee tra le minacce di interferenza straniera, spionaggio ed estremismo violento “sempre più si stanno confondendo”. È ora che anche l’Italia ne tragga le conseguenze. Il commento di Laura Harth, campaign director di Safeguard Defenders

Sentirsi un po’ in un mondo parallelo fa parte dello charme italiano. Un Paese dove le principali notizie internazionali si perdono in un fin d’estate visto attraverso le lenti di “occhiali spia”. Il tutto, ovviamente condito dalle inevitabili allusioni complottistiche. Per un Paese che di complottismo va così ghiotto, fa sempre più specie il modo con cui vengono largamente ignorati quelle faccende che di complotto ne sanno davvero.

Basta guardare soltanto un paio di notizie uscite in quest’ultima settimana.

In un op-ed per il Financial Times pubblicato sabato, William Burns e Richard Moore, a capo rispettivamente della statunitense Central Intelligence Agency e del britannico Secret Intelligence Service, affermano senza giri di parole che “non c’è dubbio che l’ordine mondiale internazionale – il sistema equilibrato che ha portato a relativa pace e stabilità e garantito standard di vita, opportunità e prosperità crescenti – sia minacciato in un modo che non vedevamo dai tempi della Guerra fredda”. Per entrambi i servizi d’intelligence, “l’ascesa della Cina rappresenta la principale sfida geopolitica e di intelligence del XXI secolo e abbiamo riorganizzato i nostri servizi per riflettere questa priorità”.

Fa il paio con il Rapporto annuale sulle minacce alla sicurezza diffuso martedì scorso dal Servizio di intelligence per la sicurezza della Nuova Zelanda. Anche il rapporto del Paese oceanico membro dell’alleanza Five Eyes che per la sua postura tradizionale e quadro legislativo pertinente forse più assomiglia a quelli europei afferma che “siamo entrati in una nuova era di competizione strategica” in cui le linee tra le minacce di interferenza straniera, spionaggio ed estremismo violento “sempre più si stanno confondendo”. Sebbene anche altri Stati intraprendano attività del genere (pensiamo in particolar modo alle operazioni ibride russe che di sicuro non risparmiano anche l’Italia come dimostrato ancora dal capo di accusa presentato a New York mercoledì scorso), la Cina “continua a rappresentare un problema complesso per l’intelligence neozelandese”, si legge ancora. Il Rapporto delinea la varietà dei luoghi in cui queste interferenze avvengono con lo scopo di influenzare politica e cultura a favore dei propri interessi, nascondendo il proprio coinvolgimento nell’attività mentre prendono di mira le comunità della diaspora che spesso sono le prime vittime delle interferenze straniere attraverso la repressione transnazionale, gli atenei, i media e le istituzioni governative sia al livello centrale che quello locale.

Ed ecco che soltanto alcune ore dopo viene svelato a New York un esempio da manuale con un capo d’accusa contro un ex-dipendente di alto rango del governo dello Stato di New York. Un intreccio politico fatto non di occhiali Ray-Ban, bensì di milioni di dollari, contratti (e contatti) commerciali per il marito, e anatre salate in stile Nanchino preparate dallo chef personale di un ufficiale del consolato cinese. Secondo l’accusa, mentre copriva varie posizioni nel governo dello Stato di New York tra il 2012 e marzo del 2023, Linda Su, imputata insieme al marito, agiva su richiesta dei funzionari governativi della Repubblica popolare cinese e dei rappresentanti del Partito comunista cinese. Si sarebbe impegnata in numerose attività politiche nel loro interesse, tra cui: impedire ai rappresentanti del governo taiwanese di avere accesso a funzionari di alto livello dello Stato di New York; modificare i messaggi dei funzionari di alto livello dello Stato di New York in merito a questioni di importanza per la Repubblica popolare cinese e il Partito comunista cinese, come l’eliminazione di qualsiasi riferimento al genocidio in atto nella regione uigura del Xinjiang in un discorso del governatore; ottenere proclami ufficiali dello Stato di New York per i rappresentanti del governo cinese senza la dovuta autorizzazione; tentare di facilitare un viaggio in Cina da parte di un politico di alto livello dello Stato di New York e organizzare incontri per delegazioni in visita di governi cinesi con funzionari del governo dello Stato di New York.  Il tutto, ovviamente senza mai dichiarare i suoi rapporti ed affiliazioni come dovuto sotto la Foreign Agents Registration Act o le procedure previste per gli impiegati dello Stato di New York.

Più che i dettagli salati dell’accusa fanno specie sia la durata e la sfacciataggine dell’interferenza per conto di Pechino, che il riconoscimento di metodi e obiettivi presenti anche sul nostro territorio. Forse non sarà al prezzo di milioni di dollari, ma tanti elementi presenti nel capo d’accusa dovrebbero portare a una profonda riflessione del sistema Paese su come gestire tali minacce ibride anche da noi.

Pensiamo, per esempio, alle frequentazioni della signora Sun con alcune organizzazioni della diaspora locale legate al Fronte Unito del Partito comunista cinese, i quali leader agivano da intermediario per conto di governi locali in Cina nel perpetrare alcune dei crimini di cui è accusata con lo scopo di tessere rapporti ostensivamente presentati come commerciali e/o culturali. L’accusa spiega che il Dipartimento di lavoro del Fronte Unito “tenta di gestire relazioni e generare supporto per il Partito comunista cinese con individui d’élite dentro e fuori dalla Repubblica popolare cinese, anche attraverso la raccolta di human intelligence. Dal 2018, il Dipartimento risponde direttamente al Comitato centrale del Partito comunista cinese, un’organizzazione nazionale del Partito che aiuta a guidare il processo decisionale politico nella Repubblica popolare cinese”.

Non è la prima volta che solevamo la questione qui. Né sarà l’ultima visto che in Italia tale fronte sembra poter agire con grande comodità. Sarà pur vero, come scrivono i neozelandesi, che “a causa dei suoi metodi spesso nascosti e sottili, l’interferenza straniera può essere difficile da rilevare e i comportamenti e le attività preoccupanti spesso non vengono segnalati”. Ma non ci vuole molto a rilevarne la presenza in Italia. Pensiamo al caso dei viaggi gratis (mai smentiti) in Cina per il sindaco di Asti, Maurizio Rasero. Pensiamo alle famose “stazioni di polizia” cinesi, gestiti da personaggi e associazioni legati al Fronte unito che si fanno fotografare insieme a classi dirigenti italiani.

Un Fronte unito i cui dirigenti continuano con grande facilità a dirigere tali associazioni sul nostro territorio. La conferma l’incontro avvenuto a Milano l’8 agosto scorso: ospite d’onore Cheng Xueyuan, vicepresidente dell’All-China Federation of Returned Overseas Chinese, un’organizzazione del Partito comunista cinese per influenzare i cinesi all’estero e parte del Fronte unito. L’organizzazione ospitante: l’Associazione cinese a Milano, che è già implicata in atti di repressione transnazionale contro un dissidente e funge contemporaneamente da Centro di assistenza cinese elencato dall’Ufficio per gli affari dei cinesi d’oltremare del Consiglio di Stato, da punto di servizio di assistenza consolare, da punto di contatto “global link” per gli affari dei cinesi d’oltremare di Wenzhou e da punto di contatto “online overseas police” dell’Ufficio per la sicurezza pubblica di Wenzhou nel Nord Italia.  In assenza di una risposta politica (o giudiziaria) delle autorità italiane a tali funzioni, senza pudore i rappresentanti delle varie organizzazioni cooptate assicurano il vicepresidente Cheng che continueranno a “rispondere attivamente” agli appelli dell’associazione “e del consolato generale di Milano”.

Il 2 settembre è il turno di un’associazione romana che funge da centro di assistenza cinese dell’Ufficio per gli affari dei cinesi d’oltremare, che una sentenza della Corte federale canadese del gennaio 2022 definisce “entità impegnata nello spionaggio che agisce contro gli interessi del Canada, con preoccupazioni circa le interazioni (…) con le comunità cinesi d’oltremare, le informazioni raccolte e l’uso previsto delle informazioni raccolte”. Questa volta l’incontro tra Cheng Xueyuan e l’Associazione generale dei commercianti cinesi in Italia avviene a Pechino e conclude con il fermo impegno del suo presidente Huang Zhixiao di continuare ad agire come ponte per l’Italia.

È cruciale sottolineare come fa il rapporto neozelandese che “la stragrande maggioranza delle persone” con “legami etnici con quegli Stati non rappresenta una minaccia. Sfortunatamente, le comunità delle minoranze etniche sono spesso le prime a essere prese di mira dalle attività coercitive degli stati stranieri”, come dimostra peraltro un recente articolo del Washington Post sulle violenze subite dai dissidenti durante il Summit Apec a San Francisco per mano di cosiddetti leader della comunità similmente legati all’apparato dello Stato-Partito cinese. Né sono soltanto persone della diaspora che per arte o per vizio si prestano a tali sforzi di interferenza.

Desta, tuttavia, perplessità che in Italia queste attività possano continuare senza difficoltà alcuna: dall’esercitare funzioni non-autorizzate (o sì?) per conto di varie autorità cinesi che gli permettono un alto grado di controllo sulla diaspora cinese, alle interazioni con istituzioni locali che appaiano del tutto ignaro dei rischi di interferenza denunciati dai nostri alleati.

La Relazione annuale 2023 sulla politica dell’informazione per la sicurezza recita: “Per quanto riguarda la Repubblica Popolare Cinese, grazie anche a un ventaglio di leggi nazionali che lo permettono (come, ad esempio, la recente legge sul controspionaggio), i principali vettori della minaccia ibrida impiegati fanno affidamento anche su alcuni elementi della diaspora cinese nell’Unione Europea. Questi ultimi vengono infatti utilizzati per: raccogliere informazioni di pregio; mettere in atto azioni di pressione economica; penetrare e interferire all’interno del mondo accademico e della ricerca; condurre operazioni cibernetiche ostili con maggiore efficacia; manipolare l’informazione per finalità di propaganda e per orientare, in modo favorevole alla Cina, l’opinione pubblica europea”.

Magari è il caso di alzare un po’ l’attenzione pubblica. Come dice il direttore generale della sicurezza neozelandese, Andrew Hampton: “La nostra valutazione indipendente consiste nell’essere il più possibile diretti sulla realtà delle minacce alla sicurezza nazionale che il nostro Paese deve affrontare. Il punto non è quello di allarmare, ma allertare sulle minacce in modo da poter lavorare insieme per gestirle. Quando tutti comprendiamo cosa stia succedendo e alcune delle motivazioni che stanno dietro queste attività, tutti possono essere meglio preparati a gestire i rischi, che si tratti di membri di una comunità, imprenditori o funzionari eletti”.


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