Il Dragone produce tanto e consuma poco, per il semplice motivo che al partito importa di più distruggere le economie straniere e concorrenti, piuttosto che pensare al benessere dei propri cittadini. Tanto da non essere interessato molto nemmeno alle sorti del Pil. Intervista a Fabio Scacciavillani, economista, editorialista e docente
Ogni economia può ammalarsi, in modo più o meno grave. Il punto è capire come guarire e grazie a quali medicine. Nel caso della Cina, è tutto molto più strisciante, complesso e di conseguenza anche la terapia va calibrata al meglio, sempre che ce ne sia una. Anche perché, la crisi cinese ha un che di tossico, che avvelena non solo se stessa, ma anche il mondo intero.
Fabio Scacciavillani, economista con un passato al Fondo monetario, alla Bce e all’Università di Chicago e con un solida esperienza nei Paesi del Golfo, tanto da essere partner di una boutique di investimento basata a New York (con uffici a Hong Kong e Dubai), da diverso tempo porta avanti insieme ad Alberto Forchielli una narrazione sul Sole 24 Ore, sui grandi mali cinesi. E a Formiche.net, dice la sua.
Partiamo dalla questione della sovraccapacità cinese, che sta mettendo in crisi l’economia globale. Come si spiega?
La Cina oggi produce un terzo dell’output manifatturiero globale, il 30%, ma consumano solo il 13% del Pil mondiale. Mi pare evidente un disallineamento. Tutto quello che i cinesi non consumano, lo devono piazzare sul mercato, dunque all’esterno. Ed ecco che arriviamo alla famosa sovraccapacità.
Perché i cinesi non consumano?
Ci sono una serie di teorie. Primo, il governo non vuole ripetere l’esperienza di alcune economie sudamericane, come il Brasile, che quando stavano per compiere il salto verso lo sviluppo, hanno incentivato i consumi che si sono poi scaricati sulla bilancia dei pagamenti, con effetti nefasti. Poi c’è la questione ideologica: un’economia basata sui consumi è essenzialmente un’economia di mercato e questo va contro la stessa filosofia del partito. Meglio secondo Pechino, insomma, investire in mattone, infrastrutture, Alta Velocità. E poi il partito non vuole che, consumando troppo, i giovani si rammolliscano.
Viene da chiedersi se però il gioco valga la candela. Tale politica ha finora attirato contro la Cina la reazione dell’Occidente, a partire dai dazi. Il che per lo stesso Dragone non è proprio un toccasana, non crede?
Questo è il grande tema, i cinesi non stanno tanto meglio di prima in queste condizioni, dunque la domanda è più che lecita. C’è però un fatto evidente da tenere in considerazione.
Ovvero?
Pechino spende 750 miliardi di euro per fare linee ad Alta Velocità, magari in zone che non ne hanno poi così bisogno e invece non spende per la sanità. Allora, un governo che ha a cuore il benessere dei cittadini, finanzia anche i servizi sociali, come la salute. Questo non succede in Cina, dove un cittadino medio, che vive in una zona rurale, così come in quelle più sviluppate, se si sente male deve fare la colletta per curarsi. E deve risparmiare per mandare i figli a una scuola decente o fargli fare delle ripetizioni.
Non è molto rassicurante.
Il motivo di tutto questo sta nella determinazione del governo, evidente anche nell’ultimo piano strategico Made in China 2025, di raggiungere la primazia in tutti i settori chiave dell’industria. A loro importa solo questo.
Per Pechino dunque conta più vincere sul terreno delle infrastrutture e della manifattura piuttosto che il benessere dei propri cittadini?
Esatto. Tutte le risorse, tutti gli investimenti, sono destinati all’obiettivo menzionato poc’anzi. Ma, vede, Pechino ha fatto i conti senza l’oste. Perché questo approccio andava bene 20 anni fa, quando l’economia cinese era in piena crescita. Ora invece, un simile atteggiamento mercantilista votato alla conquista dei mercati esteri, oggi che la Cina è la seconda economia, non è più possibile e sostenibile. Voglio dire: se tu distruggi le industria dei tuoi partner, anche e soprattutto occidentali, la gente con che paga le importazioni?
Una Cina malata e soprattutto fuori fase, non conviene a nessuno. Ma il Dragone tornerà mai a crescere a doppia cifra?
Non è facile dare una risposta. Quando noi parliamo di Pil, intendiamo prezzi per quantità. E i prezzi, in un’economia sussidiata come la Cina, non sono prezzi di mercato, come in Occidente. Quindi, ci sono delle risorse statali che manipolano i prezzi. Questo per dire che in Cina l’idea di Pil stesso perde di senso, conta molto ma molto di più il debito. In un’economia sussidiata le imprese vendono a costi minori, perché dopate dallo Stato. Ma Pechino, per sussidiare, fa debito, lo dicono i dati. Ed è questo il suo vero problema, non il Pil. La questione della crescita, rispetto al debito, in Cina è secondaria. Quindi, parlare di Pil, in riferimento alla Cina, potrebbe essere persino fuorviante.