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Cosa racconta il crollo dei prezzi della clean tech cinese

La Cina ha prodotto un problema interno con la strategia di overcapacity. Pechino spinge sulle clean tech, ma il calo dei prezzi rende insostenibili alcuni modelli produttivi cinesi stessi. Questo pesa sui consumi interni e sul patto sociale di Xi

Un report di Goldman Sachs spiegava il mese scorso che in Cina i prezzi delle cosiddette “clean tech”, le tecnologie pulite, sono scesi rapidamente nell’ultimo anno. Parliamo di un calo che per i veicoli elettrici sta più o meno attorno al 22%, e per i moduli solari di oltre il 50%, rispetto ai primi sei mesi del 2023. È un problema collegato alla cosiddetta “overcapacity” che può avere complesse ricadute interne, contro la leadership cinese.

Per il “China Brief” di James Palmer, bollettino analitico settimanale di Foreign Policy, la ragione di quanto succede è da ricercare nella combinazione di forti investimenti governativi, tariffe straniere (e la paura che ne arrivino altre) e guerre sui prezzi. Il problema per Pechino è che questo calo del valore è arrivato a livelli insostenibili per molte aziende cinesi.

Il mondo dei veicoli elettrici è il più colpito, col rischio che nel breve futuro si assista a una nuova ondata di fallimenti aziendali — emblematica la storia di WM Motor. Un altro settore a grande rischio è quello del solare. Soprattutto, quello che avviene è problematico per la strategia di aumento dei consumi interni pensata dal leader Xi Jinping come motore per una rinascita economica.

“Questo potrebbe rappresentare una seria minaccia per la legittimità del Partito Comunista Cinese, che si è basato su oltre tre decenni di notevole crescita economica che molti cittadini cinesi hanno dato per scontata”, scrive Palmer. È dunque non tanto un problema che colpisce economia e produzione, ma che intacca il contesto sociale. Il rallentamento della crescita “scontata” potrebbe produrre malcontento e innescare proteste anche in un sistema iper-controllato come quello cinese?

Il dato: al momento solo il 39% dei cinesi ritiene di stare meglio finanziariamente rispetto a cinque anni fa. Il confronto: prima della pandemia e della crisi immobiliare, la percentuale di chi percepiva la crescita era del 77%. Ossia, più di un terzo dei cinesi dichiara di aver visto ridursi il proprio potere d’acquisto e in generale il benessere economico. Da tenere a mente che il patto sociale del Partito/Stato, rinnovato e spinto da Xi, si basa su un concetto così riassumibile: voi cittadini cedete (sempre più ampie) aliquote di libertà al potere centrale, che in cambio vi farà migliorare costantemente le condizioni di vita.

È questa la dimensione del peggioramento, che dopo la crisi immobiliare e dalla pandemia potrebbe passare anche per gli errori della strategia centralizzata nel mercato clean tech. La produzione di tecnologie pulite ha superato la capacità produttiva e gli intenti, tanto che la Cina è in grado di fornire il 200% dell’attuale domanda mondiale di moduli solari, per esempio, ma il Paese non ha registrato benefici reali per l’ambiente e per la collettività. La concorrenza sui veicoli elettrici ha spinto al ribasso i costi per gli acquirenti, portando a una rapida adozione dei veicoli elettrici, anche se ciò ha lasciato dietro di sé cimiteri di veicoli, in quanto i modelli sono diventati rapidamente obsoleti.

Entrambi gli eventi alimentano l’insicurezza economica a lungo termine. E con le prospettive di ripresa della Cina che appaiono poco rosee, le famiglie cinesi andranno ulteriormente a ridurre le spese. A giugno le vendite al dettaglio sono scese al punto più basso degli ultimi 18 mesi e dal 2020 si sono a malapena riprese. Nella prima metà del 2024, i profitti dei ristoranti di Pechino sono scesi dell’88,8%.

“I tempi sono stretti in Cina e lo Stato sembra essere a corto di risposte”, scrive Palmer. Anche perché, pure le amministrazioni locali stanno affrontando una grave crisi di liquidità. Un governo municipale di Chongqing ha recentemente istituito una task force ispirata al detto “Distruggi le pentole e le padelle di ferro in pezzi e vendile come ferro rottamato”. Ossia cercherà di usare le ultime risorse per cercare di liquidare i beni di proprietà del governo e pagare i conti.

Questo locale è infatti un ulteriore problema: le amministrazioni di provincia o regione sono solitamente fonte di canalizzazione degli investimenti e del credito, se non funzionano si inceppa il meccanismo economico interno. Ora, in alcuni casi il problema si moltiplica: ci sono aziende tenute in vita nonostante siano non produttive solo per giustificare investimenti (a volte frutto di corruzioni e interessi non limpidi) delle amministrazioni locali. Molte di queste aziende sono del settore clean tech.

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