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La cyber war e gli errori di Putin. Le svolte di Kyiv e Tel Aviv nell’analisi di D’Anna

I blitz hi tech e i raid israeliani che continuano ad azzerare in Libano le prime linee degli Hezbollah e i missili-droni ucraini che distruggono gli arsenali russi, stanno cambiando gli scenari bellici in medio oriente e nell’est dell’Europa. Una doppia svolta dovuta all’evoluzione tecnologica, ma anche agli errori del Cremlino. L’analisi di Gianfranco D’Anna

La morte da remoto che sta decimando i vertici degli Hezbollah in Libano e i droni che non lasciano scampo della cyber war stravolgono gli scenari dei conflitti in medio oriente e in Ucraina. Le esplosioni sincronizzate di dispositivi wireless attivate dall’intelligence israeliana contro le milizie islamiche libanesi, rappresenta una prima impressionante anticipazione dell’accelerazione digitale della guerra. “Questo potrebbe essere il primo e spaventoso scorcio di un mondo in cui, in definitiva, nessun dispositivo elettronico, dai nostri cellulari ai termostati, potrà mai essere considerato completamente affidabile”, ha messo in evidenza sul New York Times Glenn Gerstell, per anni consigliere generale della National Security Agency.

Oltre all’enorme  effetto psicologico della vulnerabilità, la remote war, la guerra da remoto come è stata definita, interrompe le comunicazioni e acceca i dispositivi wireless fornendo un vantaggio enorme, seppur temporaneo, che consente di sferrare attacchi concentrici mentre il nemico  inerte e non in grado di difendersi. Ma la supremazia high-tech di Israele e dell’occidente, per quanto efficace e funzionale, non può sostituire la politica e la strategia, veri elementi cardine per risolvere un conflitto complesso e con radici ataviche come quello mediorientale. Analoghe considerazioni valgono per il lungo fronte concavo e convesso della guerra scatenata dalla Russia di Putin contro l’Ucraina. Con la grande differenza che oltre alla schiacciante superiorità tecnologica, di armamenti e di intelligence del totale supporto bellico assicurato da Stati Uniti, Gran Bretagna, Nato ed Europa all’Ucraina rispetto al potenziale militare russo, sulla situazione dei sanguinosi scontri in atto fra le forze di Mosca e quelle di Kyiv pesano enormemente gli errori e i disastri di Putin.

Il primo – e più grave – di questi disastri è stata l’iniziale catastrofica convinzione che l’esercito ucraino si sarebbe sfaldato subito o addirittura non avrebbe combattuto. Questo ha provocato la distruzione dell’esercito professionale della Russia e la sua forzata e improvvisata sostituzione con un esercito di mobilitazione, numericamente molto più grande ma tecnicamente molto meno capace e terribilmente impreparato ad un conflitto di lunga durata.

Il secondo gravissimo errore riguarda la sottovalutazione non solo dell’Ucraina ma anche dell’occidente. Che si è indignato, ricompattato  e mobilitato, ha risvegliato la Nato dal lungo letargo e dispiegato  tutta la potenzialità dell’industria bellica, le capacità dell’intelligence globale e le fino ad adesso ignote risorse della cyber war.

Il terzo disastro putiniano è ascrivibile alla cieca pervicacia con la quale l’armata russa dopo essersi ritirata dal fronte di Kyiv  e da quello di Karkiv ha condotto l’offensiva nel Donbass, alimentandola con  una mobilitazione parziale, assolutamente insufficiente ad addestrare ed impegnare  le forze necessarie per tentare di sfondare il fronte. E nonostante questo palese e tragico deficit, il disastro è stato amplificato da assalti frontali ad elevatissimo costo di uomini e mezzi che hanno consumato il potenziale esistente ad un ritmo superiore a quello con cui poteva essere rimpiazzato.

La quarta terribile cantonata è la concentrazione su un unico fronte fra Donec’k e Luhans’k di tutte le forze d’invasione, sguarnendo i confini del proprio paese e consentendo il clamoroso contropiede dell’invasione dell’esercito ucraino della regione russa di Kurks.

Il quinto disastro del Cremlino è la recente totale  distruzione da parte ucraina del mega arsenale di missili, bombe e proiettili di Toropets, nella regione russa di Tver.

Oltre a rappresentare una prova dell’enorme sviluppo tecnologico della capacità balistica dei missili e dei droni di Kyiv di colpire le retrovie russe, il colpo al cuore delle riserve di missili ed armamenti di Mosca, secondo gli analisti di strategie militari, potrebbe costituire una svolta bellica di notevoli proporzioni.

Se da una parte infatti l’avanzata ucraina nella regione di Kursk obbligherà prima o poi a distrarre intere brigate dal Donbass con le relative artiglierie, il venir meno dei rifornimenti assicurati dall’arsenale di Toropets bloccherà anche l’offensiva a sud perché l’attuale esercito russo riesce ad avanzare soltanto se dispone della preponderante superiorità di fuoco.

Intanto, mentre le capacità militari russe continuano a deteriorarsi e le perdite a raggiungere cifre esponenziali, l’Ucraina pur subendo perdite dolorose vede continuamente crescere con l’aiuto dell’Occidente il proprio potenziale bellico. Il progressivo incremento di armamenti da parte ucraina é stato in parte sprecato con la maldestra controffensiva dell’estate 2023 infrantasi contro il punto di maggiore resistenza dello schieramento russo.

Un errore che ha messo   a rischio la tenuta dell’intero fronte dell’esercito di Kyiv, ma che è stato superato con la contro-invasione a Kursk e con la disponibilità di armamenti americani, inglesi e europei più avanzati, come gli F -16 ed i missili Storm Shadow ed Atacms, nonché col contributo della cyber intelligence occidentale alla realizzazione dei micidiali droni-missili ucraini.

Le analisi che meglio fotografano la situazione all’inizio del terzo autunno di guerra sono quelle dei rilevamenti dei satelliti e dei dati statistici.

L’esame comparato evidenzia che la Russia si avvia ad un impatto del pesante logoramento di risorse umane e militari. Già attualmente gli armamenti ed in particolare le artiglierie vengono rimpiazzate al 20% con nuove produzioni e all’80% attingendo ai magazzini di residuati bellici sovietici, situati a cielo aperto in Siberia. Il ritmo di svuotamento di questi depositi viene monitorato via satellite ed in base ad elaborazioni ed al vaglio dell’intelligence è prevedibile che il potenziale militare offensivo della Russia possa esaurirsi entro il 2025.

Anche se ipotetica ed ottimistica, l’ analisi prevede che se si dovesse verificare questo collasso logistico i russi potranno tutt’al più difendersi entro i propri confini. Il che, anche se aumenterebbe la soglia di rischio nucleare, rappresenterebbe in ogni caso il suicidio del regime di Putin. Miraggio o meno, il presupposto delle elaborazioni analitiche è rappresentato dalla capacità di distruggere gli snodi strategici in territorio russo.

Gli attacchi in profondità all’interno della Russia con missili a lunga gittata statunitensi e inglesi sono la chiave del piano per porre fine alla guerra che Zelensky illustrerà giovedì prossimo a Washington al presidente Joe Biden e ai candidati delle elezioni del 5 novembre per la Casa Bianca, Kamala Harris e Donald Trump.

L’incontro col candidato repubblicano da sempre platealmente filo Putin potrebbe essere il segnale che anche dalle parti dell’Old party le chance di Kyiv sono in risalita.



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