La Cina lavora, dall’Onu ai Brics, per spostare consensi sul suo “piano di pace” (pro-russo) in Ucraina, mentre Zelensky presenta il “Piano per la Vittoria”a Biden. Blinken vede Wang Yi e a Tokyo vince chi parla di “Nato asiatica”. Il dossier ucraino va dal livello tattico militare, centrale, al piano strategico dello scontro tra modelli
La Cina, durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha cercato di lavorare intensamente per raccogliere consensi attorno al suo cosiddetto “piano di pace per l’Ucraina”, che segue un programma in dodici punti presentato lo scorso anno in cui non ci sono proposte concrete, si ripetono concetti ampi e per certi versi scontati, mentre si mira a favorire gli interessi di Mosca rispetto a quelli di Kyiv, seguendo quella che possiamo definire “una neutralità pro-russa” di Pechino. Il lavoro diplomatico adesso è cercare di allineare un gruppo di Paesi emergenti, tra cui India e Brasile, in un tentativo di presentare la proposta con caratteristiche cinesi come un’alternativa credibile – e sostenuta dalla “maggioranza mondiale” – rispetto agli approcci occidentali. Questo sforzo si concretizzerà il prossimo mese durante l’incontro dei Brics a Kazan? Certamente in Russia la Cina cercherà di formalizzare il proprio piano di pace davanti ai Partner del mondo in via di sviluppo – e lo farà dopo aver saltato la recente iniziativa in Svizzera, perché raccontata come troppo occidente-centrica.
I contatti diretti avuti dai funzionari cinesi durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite hanno riguardato anche quest’agenda. Per la Repubblica popolare è in ballo un valore che supera il contesto del conflitto. Pechino cerca infatti un modo per attirare a sé consenso in linea anti-occidentale, secondo la propria narrazione strategica e sfruttando un dossier specifico — tuttora caldo, per buona parte al centro delle attenzioni internazionali, e oggetto anche di divisioni di vedute all’interno del mondo occidentale. Ed è dunque una buona leva per continuare a scardinare i fermi dell’allineamento transatlantico Usa-Ue, a cui hanno aderito anche i like minded come Giappone, Corea del Sud e Australia (nel caso specifico dell’invasione su larga scala russa, ma anche ormai come forma mentis generale).
L’obiettivo tattico della Cina è consolidare la propria posizione come attore responsabile e mediatore globale, contrastando la narrativa occidentale (e like minded) che la vede invece schierata apertamente a favore della Russia. Attenzione: sebbene l’allineamento sia tutt’altro che privo di difetti, di fatto Pechino, sostenendo l’economia di guerra di Mosca, sostiene già l’invasione; ma ci sono prove che lo stia facendo anche fornendo tecnologia bellica. La sfida principale per la Cina è convincere Paesi come l’India a schierarsi almeno simbolicamente a favore della sua proposta. New Delhi ha tenuto finora una posizione di equilibrio, anche se la recente decisone di non impedire il trasferimento di munizioni indiane a Kyiv è un altro dei tasselli che raccontano un scostamento strategico futuro dalla Russia da parte delle leadership del Paese. Un avvicinamento indiano al piano cinese sembra piuttosto complesso, dato che tra i due giganti asiatici ci sono tensioni sia puntuali (su ambiti come le linee di confine himalayano o il controllo di chokepoint come Malacca e bacini come il Golfo del Bengala, sull’influenza in Sri Lanka, Bangladesh, Nepal Maldive, Bhutan, Pakistan), sia più generali (nella competizione tra potenze emergenti, o emerse).
Più facile potrebbe essere la sponda del Brasile nel promuovere il piano cinese, grazie a una convergenza su più fronti. Da un lato, Brasilia non disdegna la narrativa anti-occidentale, come dimostrato dalle posizioni critiche del presidente Ignacio Lula da Silva verso le sanzioni “unilaterali” e il richiamo a un approccio multilaterale nelle relazioni internazionali. Dall’altro, il ruolo del Brasile come leader del G20 offre a Pechino una sponda diplomatica significativa: partecipare a un processo di pace internazionale accrescerebbe il prestigio e l’influenza globale di Brasilia, permettendole di uscire dai confini regionali. Inoltre, i forti legami economici tra Cina e Brasile, con Pechino principale partner commerciale brasiliano, creano una base solida su cui costruire ulteriori collaborazioni. Questo intreccio di interessi diplomatici ed economici rende il Brasile un potenziale sostenitore della proposta cinese all’interno del blocco dei Paesi emergenti.
Mentre la Cina si muove su questo fronte all’Onu, programmando i Brics, succedono tre cose. La prima riguarda direttamente l’Ucraina, ed è la presentazione del “Piano per la Vittoria” che il presidente Volodymyr Zelensky ha raccontato a Joe Biden e alla vicepresidente candidata presidenziale democratica, Kamala Harris. Il commento secco lo ha fatto il Wall Street Journal, che dice “non c’è molto di nuovo”, ma d’altronde Kyiv ha bisogno di armi, tante, e di autorizzazioni a usarle contro la Russia come ritiene meglio per respingere l’invasore. E non è una novità. Il piano di Zelensky è criticato per la mancanza di spunti, l’irrealismo riguardo alla liberazione dei territori occupati, l’assenza di concessioni per attrarre la Russia al dialogo e la dipendenza eccessiva dal sostegno occidentale. Elementi che rendono quelle critiche non tanto attinenti al piano stesso, ma al procedere della situazione e creano spazio per le narrazioni cinesi. Il presidente ucraino ha comunque nuovamente incassato il sostegno politico dell’amministrazione Biden, oltre che nuovi pacchetti di aiuti militari. È in gioco un equilibrio politico-culturale attorno a Zelensky (criticato dai trumpiani), e molto si snoda in una finestra temporale di sei settimane – prima di Usa2024.
Parallelamente, seconda cosa che succede, si svolge nelle prossime ore un incontro di alto livello tra il capo della diplomazia del Partito/Stato cinese, il ministro degli Esteri Wang Yi, e il segretario di Stato americano Antony Blinken. Il meeting, a latere delle riunioni al Palazzo di Vetro (dove la Cina è rappresentata da Wang anche perché Xi Jinping con la sua assenza vuole mandare un messaggio di critica alle istituzioni onusiane per come sono concepite adesso), si inserisce nel contesto di forti tensioni tra le due principali potenze mondiali, che però intendono non interrompere le linee di comunicazione. Tanto che la Casa Bianca non esclude che i leader potrebbero incontrarsi in modo bilaterale proprio in Brasile, in occasione del G20. Come noto, c’è molto altro del conflitto russo tra Washington e Pechino, ma in questo momento anche il dossier ucraino assume rilevanza, perché è portatore di interessi politico-culturali di enormi dimensioni.
Anche perché nel frattempo, a Tokyo succede la terza di quelle cose: Shigeru Ishiba ha vinto il balletto già per guidare il Partito Liberal Democratico le diventerà primo ministro. Ex ministro della Difesa, in passato ha già espresso il suo sostegno alla creazione di una “versione asiatica della Nato” per rafforzare la sicurezza regionale di fronte alle crescenti minacce, come l’aggressività militare cinese e le ambizioni nucleari della Corea del Nord. Pur riconoscendo l’importanza dell’alleanza di sicurezza bilaterale con gli Stati Uniti, Ishiba ritiene che il Giappone debba assumere un ruolo più attivo e indipendente nelle dinamiche degli affari globali. Tokyo si è ormai ritagliata un ruolo centrale nella rimodellazione strategica dell’Indo Pacifico e internazionale. Il Giappone sostiene la linea occidentale, e dunque Nato, sull’Ucraina come detto, e osserva quanto accade attorno a Kyiv e Mosca – e a Washington e Bruxelles – con estrema attenzione, pensando a contraccolpi, riflessi e riproduzioni in Asia. In quest’ottica, il lavoro diplomatico di Pechino diventa ancora più complesso, perché sul dossier ucraino si giocano appunto equilibri molto più vasti di quelli in ballo sul campo di battaglia – che però, come in ogni guerra, guida il procedere degli eventi, per questo Kyiv ha bisogno del sostegno occidentale contro la sostanziale resa richiesta da Pechino.