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L’Europa di Draghi è quella che serve, ma per Cipolletta deve fare i conti con il sovranismo

Nel suo rapporto l’ex presidente della Bce invita all’unità e alla comunione di intenti. E fa bene. Ma purtroppo questa è l’era di un neo-sovranismo che rischia di vanificare ogni sforzo. Intervista all’economista Innocenzo Cipolletta

Sarebbe molto bello che il rapporto sulla competitività che porta la firma di Mario Draghi, diventasse parte dell’agenda della prossima Commissione europea. E forse sarebbe anche utile a costruire un’Europa più forte, scattante, meno timida e più reattiva. Peccato che, fa notare Innocenzo Cipolletta, economista di lungo corso, l’Europa immaginata dall’ex presidente dalla Bce sia improntata all’unità, alla solidarietà e al fare squadra. Tutte ottime intenzioni, che però rischiano di scontrarsi con la realtà di un sovranismo montante.

Partiamo da una questione pratica: il rapporto di Mario Draghi, diventerà parte dell’agenda europea?

Penso proprio di sì, d’altronde la stessa Ursula von der Leyen ha voluto questo lavoro, c’è stato un avallo di principio. E poi credo sia piuttosto difficile che quanto fatto fin qui da una persona come Draghi non venga preso in considerazione da Bruxelles. Il problema è semmai un altro.

Ovvero?

La sua implementazione e la volontà di mettere davvero in pratica quanto scritto in quel rapporto. Sulla prima questione, Draghi parla di misure che è possibile mettere a terra già adesso e che non chiedono modifiche di carattere istituzionale. Il problema è che per realizzare le misure stesse, servono gli eurobond, che Draghi giustamente rilancia nel suo lavoro. Ma qui vedo delle criticità.

La Germania non è mai stata favorevole e con essa i Paesi frugali…

Eccolo il punto. Siamo, e vengo alla seconda questione, in un periodo di forte e conclamato sovranismo, dove ogni governo punta a riprendersi il controllo di pezzi di politica. Invece lo spirito del rapporto Draghi è tutto l’opposto: agire insieme, all’unisono, avanzare uniti. Questo è il problema, da una parte una visione, che io condivido, dall’altra un clima poco adatto a questo tipo di sforzo. Certo, se il lavoro di Draghi riuscisse a comportare un cambio di opinione, di vento, allora sarebbe davvero un miracolo.

Crede che questo miracolo possa avverarsi?

Sarebbe molto bello, ma, ripeto, il clima in Europa va in direzione diversa.

Ci sono due messaggi di fondo che emergono dal rapporto. Primo, servono tanti soldi, addirittura il doppio del Piano Marshall che ben conosciamo e, secondo, servono subito. Ora, non le pare una sfida titanica anche in costanza di un’Europa solidale e compatta?

Sì lo è, almeno da un punto di vista teorico. Ma emettendo obbligazioni europee, si potrebbe fare, perché c’è molta domanda di bond comunitari. Ma torniamo al punto di partenza, bisogna fare il debito comune.

L’altro contributo pervenuto in questi mesi è quello di Enrico Letta. Le pare si incastri bene con quello di Draghi?

Direi di sì, sono opere complementari. Mi ha colpito un aspetto del rapporto di Draghi, quando si spiega come, togliendo dall’Europa e dagli Usa l’industria hi-tech e confrontando le due economie, viene fuori che l’Ue è al passo degli Usa in termini di produttività.

Come la legge? 

La leggo così: non perdiamo tempo a sostenere i vecchi settori, quelli troppo tradizionali, su quelli non ci sono problemi. Ma è sulla tecnologia che perdiamo terreno ed è lì che dobbiamo lavorare. La trovo un’impostazione abbastanza nuova, innovativa. Anche questo messaggio spero venga accolto.

 

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