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Da Draghi a Fitto, in Europa serve gioco di squadra. La versione di Nelli Feroci

Il rapporto dell’ex presidente della Bce è ricco di idee e completo, un vademecum che Bruxelles farebbe bene a fare suo. Ma rischia di impattare contro il vizio di certi Paesi di muoversi sempre in autonomia. E anche la paura di oltrepassare il punto di non ritorno può non bastare a serrare i ranghi. Fitto? Un’ottima scelta. Intervista al presidente dello Iai, Ferdinando Nelli Feroci

Mario Draghi ha ragione. Ma non perché quanto scritto nel suo rapporto sia qualcosa di sensazionale, semplicemente perché il suo messaggio corrisponde alla realtà dei fatti. Il giorno dopo la pubblicazione dell’atteso documento per il rilancio della competitività europea, ci si chiede se e come le idee dell’ex presidente della Bce potranno entrare nell’agenda europea. E se i governi dell’Unione avranno il coraggio e la lungimiranza di farne tesoro. Formiche.net ne ha parlato con l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente dell’Istituto per gli affari internazionali (Iai).

Partiamo da una considerazione del rapporto. Prime impressioni?

Si tratta certamente di un lavoro ampio, organico, articolato, quasi omnicomprensivo. Ma anche di un’analisi impietosa della situazione dell’economia europea, alla luce dei due maggiori competitor, Stati Uniti e Cina. E mi pare anche un appello molto forte a chi ha la responsabilità dei governi, affinché ci si adoperi per colmare il gap accumulato rispetto ad altri contesti. Lo definirei anche un manifesto politico, con un numero molto importante di proposte, che spero possano ispirare la nuova legislatura europea.

L’humus del rapporto e anche un po’ la sua filosofia di fondo è l’unione, lo sforzo comune, la condivisione degli obiettivi. Eppure ci sono Paesi, anche fondatori, come la Germania, che già hanno preso le distanze da certe proposte di Draghi. Basti pensare al debito comune. Quasi la teoria contro la pratica. Come la mettiamo?

Draghi non lo ha detto, ma lo ha chiaramente presente che ci sono delle diversità di vedute. Ma bisogna vedere cosa effettivamente la Commissione europea farà suo di questo rapporto e quanto si tradurrà in una proposta politica da portare avanti in sede europea. E poi bisogna vedere anche l’evoluzione stessa dei governi, l’impatto delle elezioni, il sorgere di nuovi movimenti e altre variabili. Le resistenze ci sono, inutile negarlo e il quadro europeo oggi non è tra i più favorevoli per il salto di qualità teorizzato da Draghi.

Un altro caposaldo del rapporto Draghi è l’urgenza. L’Europa, ha detto nella sostanza l’ex presidente della Bce, è all’ultima spiaggia prima del baratro. Non crede che la paura di oltrepassare il punto di non ritorno possa fungere da carburante per una maggiore convergenza dei Paesi verso le proposte di Draghi?

Magari la paura aiutasse. Ma sappiamo che alla fine non è quasi mai così, emergono e vincono le differenze tra i singoli. Non sempre è presente nelle coscienze dei governi la giusta consapevolezza, senza considerare gli interessi di settore, delle industrie. Lo abbiamo visto tante volte. Le idee di Draghi sono utili e sensate e ci danno una direzione di marcia importante, ma la storia dell’Ue ci insegna una cosa.

Che cosa?

Che il meglio dell’Unione esce sempre quando ci sono crisi improvvise, impreviste. Basti pensare al Covid. O al Green new deal, un po’ la bandiera della scorsa legislatura comunitaria. Una bella strategia ma che si è scontrata con pandemia, la guerra in Ucraina e alla fine ne è uscita ridimensionata, quasi stravolta. A volte, insomma, il meglio dell’Europa viene fuori anche andando oltre le strategie.

Cambiamo argomento. Raffaele Fitto sarà il rappresentante dell’Italia in Europa, o in veste di commissario o, addirittura, di vicepresidente esecutivo. Roma avrà un peso specifico maggiore a Bruxelles?

Penso che l’Italia peserà non poco nella prossima legislatura, Fitto è un’ottima scelta, è un uomo che conosce molto bene la macchina dell’Unione e ha dimostrato di saper dialogare egregiamente con Bruxelles, dimostrandolo anche con la gestione dei fondi. Mi auguro che ci sia un sostegno bipartisan da parte di tutte le forze politiche. I segnali che arrivano da von der Leyen sono incoraggianti in tal senso e poi la nomina di Fitto permetterà all’Italia di lasciarsi alle spalle lo strappo della scorsa estate, con il mancato sostegno del governo italiano al presidente della Commissione.

Un errore?

Sì, un grosso errore. Ma ci sono le condizioni perché la ferita venga sanata, anche grazie alla nomina di Fitto.

Secondo lei l’asse franco-tedesco, evidentemente in crisi a causa delle difficoltà economiche della Germania e di quelle politiche della Francia, rappresenta uno spazio vitale per l’Italia, per aumentare il peso tricolore in Europa?

Non la vedo come un gioco a somma zero, come una competizione. Tutti i Paesi sono importanti, parliamo di tre economie strategiche. Berlino e Parigi vivono un periodo difficile, certo, ma restano pilastri dell’Unione e rimangono alleati naturali dell’Italia.

Andiamo negli Stati Uniti. A meno di due mesi dal voto, la scelta di Kamala Harris da parte dei democratici, le è parsa vincente, ancor prima che necessaria?

Vincente lo vedremo, necessaria sicuramente. Forse è arrivata un po’ tardi, costringendo la Harris ad allestire una nuova campagna elettorale in poco tempo. Se ci fosse stato un avvicendamento un po’ prima sarebbe stato meglio.

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