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Europa vs Cina, la guerra su due fronti spiegata da Foreign Affairs

La competizione nel mercato delle auto elettriche e il conflitto in Ucraina sono i due “fronti caldi” del confronto tra Europa e Cina. E la prima ha urgenza di reagire, prima che sia troppo tardi. Cosa dicono Liana Fix, fellow for Europe del Council on foreign relations, e Heidi Crebo-Rediker, senior fellow per il Greenberg center for geoeconomic studies del Council on foreign relations, in un articolo scritto a quattro mani su Foreign Affairs

Un’Europa “ridotta a poco più di un mercato di esportazione deindustrializzato per i beni e le industrie cinesi”, mentre è “minacciata da un esercito russo risorgente ai suoi confini”. È questo il desolante panorama evocato da Liana Fix, Fellow for Europe del Council on Foreign Relations, e da Heidi Crebo-Rediker, Senior Fellow per il Greenberg Center for Geoeconomic Studies del Council on Foreign Relations nonché ex-first Chief Economist del Dipartimento di Stato Usa sotto l’amministrazione di Barack Obama, nell’articolo scritto a quattro mani su Foreign Affairs. Le due autrici analizzano il fatto che il Vecchio continente stia in questo momento attraversando una fase di confronto con la Repubblica Popolare che si estrinseca principalmente in due diverse (ma collegate) dimensioni: quella politico-militare del conflitto attualmente in corso in Ucraina, e quella strategico-economica della competizione per il mercato delle auto elettriche.

Sulla prima questione, è necessario per gli europei realizzare che Pechino non mantenga una posizione da “osservatore neutrale”, anzi. Il sostegno tecnologico fornito dalla Repubblica Popolare alla Federazione Russa (circa il 90% delle importazioni che il G7 ha evidenziato come tecnologie che la Russia cerca per sostenere la sua guerra provengono dalla Cina), così come l’intensificazione dei legami militari tra le due potenze (plastificatasi con le sempre più numerose esercitazioni congiunte tra le strutture militari dei due Paesi, che si svolgono sempre più vicino ai territori dell’Alleanza Atlantica o degli Stati Uniti) e l’aggiustamento della posizione diplomatica cinese sull’Ucraina, arrivando fino allo sviluppo congiunto di un “drone kamikaze”, sono segnali che non si possono ignorare.

Per rispondere a Pechino, suggeriscono le autrici, l’Europa ha bisogno di un piano d’azione concertato, con nuove e più severe sanzioni (concordate con Washington) che colpiscano un’ampia gamma di società e istituzioni finanziarie cinesi, e che possano essere ampliate in base alle necessità, segnalando a Pechino che l’Europa è pronta a rispondere e ad inasprire le sanzioni se il sostegno della Cina alla Russia dovesse continuare. A livello interno, i governi europei dovrebbero anche pianificare la probabile risposta di Pechino, anche condividendo i costi economici di eventuali ricadute tra gli Stati membri, esattamente come è stato fatto nel 2022, dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

Inoltre, gli europei devono mettere in ordine le proprie restrizioni alle esportazioni, intensificando gli sforzi per impedire il commercio indiretto con la Russia. Infine, proseguono Fix e Crebo Rediker, “i leader europei devono riconoscere che il sostegno della Cina alla Russia segue una logica strategica e non solo commerciale o economica. Contribuendo a sostenere la guerra della Russia in Ucraina, la Cina sta minando la sicurezza europea, impedendo una vittoria ucraina favorevole all’Occidente e indebolendo l’ordine mondiale guidato dall’Occidente. Allo stesso tempo, sostenendo l’espansionismo di Mosca, Pechino tiene sotto scacco la Nato e distrae gli Stati Uniti dal prestare attenzione all’Indo-Pacifico e a Taiwan. Imporre alla Cina dei costi per il suo sostegno alle forze armate russe non è quindi solo un passo politico importante, ma anche un imperativo per la sicurezza europea e occidentale”.

Segue poi l’aspetto legato al mercato delle auto elettriche. La sovraccapacità dell’industria automobilistica cinese minaccia l’Europa, con veicoli elettrici a basso costo che rischiano di danneggiare l’industria europea, e in particolare quella tedesca. Questo settore rappresenta circa il 7% del Pil dell’Ue e l’8,5% dell’occupazione manifatturiera, con marchi come Bmw, Mercedes e Volkswagen particolarmente esposti. La dipendenza dalla Cina per componenti e tecnologie critiche, unita a sussidi poco trasparenti e al controllo delle catene di fornitura, amplifica un rischio già importante di per sè. Le tariffe preliminari dell’Ue contro le auto cinesi, anche se inferiori alle attese, non sembrano sufficienti a frenare le importazioni. Entro il 2023, i veicoli elettrici cinesi rappresenteranno già il 37% delle importazioni in Europa, mettendo sotto pressione le case automobilistiche europee. La Cina ha inoltre aumentato l’export di auto a combustione, consolidando la sua posizione di maggiore esportatore mondiale di auto.

L’Europa rischia di vedere decimata la sua industria automobilistica se non risponderà rapidamente con una strategia difensiva efficace; per questo deve affrontare la sovraccapacità cinese nell’industria automobilistica con la stessa logica strategica usata contro il sostegno cinese alla Russia. Sebbene più esposta alle ritorsioni economiche cinesi rispetto agli Stati Uniti, l’Europa ha un’importante leva nel definire una risposta efficace alle esportazioni cinesi. La Cina dipende dal mercato europeo, poiché altri mercati di sbocco in questo settore si stanno lentamente chiudendo. L’Ue dovrebbe considerare un aumento delle tariffe oltre il 46,3%, poiché quelle attuali potrebbero non essere sufficienti a compensare le sovvenzioni cinesi. Inoltre, l’Europa potrebbe adottare tattiche simili a quelle cinesi, imponendo restrizioni agli investimenti diretti esteri nel settore Ev, tramite requisiti di joint-venture, trasferimento tecnologico e localizzazione. Lo screening degli investimenti potrebbe basarsi su criteri di sicurezza nazionale e ambientale. Infine, l’Ue dovrebbe sfruttare gli investimenti cinesi per rafforzare la propria resilienza nella catena di fornitura delle batterie, richiedendo la costruzione di impianti di riciclaggio vicino ai nuovi stabilimenti. Questo ridurrebbe la dipendenza dalla Cina per i materiali necessari alla transizione energetica.

In entrambi i fronti, l’Europa deve agire, e deve farlo ora. Anche perché, come ricordano le autrici, “la possibilità che l’ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump possa tornare alla Casa Bianca dovrebbe incoraggiare gli europei ad agire subito e a non usare la Cina come copertura contro potenziali azioni commerciali aggressive degli Stati Uniti verso l’Europa. Per gli europei sarà molto difficile spiegare a una seconda amministrazione Trump perché gli Stati Uniti dovrebbero sostenere l’Ucraina e la sicurezza europea se essi stessi non sono in grado di organizzare una risposta forte agli sforzi della Cina per minare entrambi. È nel più profondo interesse dell’Europa agire ora”.

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