Il racconto di Giorgio Girelli, presidente emerito del Conservatorio Statale Rossini, che ricorda quando il titolo di “Marchigiano dell’anno”, del Sodalizio dei Piceni, la più antica e rinomata istituzione marchigiana della capitale, ha insignito del “Premio Picenum” l’attore Glauco Mauri, impegnato nei giorni scorsi a teatro a Pesaro e scomparso oggi. Tra pochi giorni sarebbe stato il suo 94° compleanno
Glauco Mauri, “profeta” anche in patria! Lo ha accolto così Pesaro a pochi giorni dalla sua scomparsa avvenuta questa nella note tra il 28 e il 29 settembre, per il suo spettacolo al teatro Rossini con affetto e grande ammirazione. Tempo addietro lo ha proclamato cittadino onorario. Il Cesma (Centro Studi Marche di Roma) gli ha attribuito il titolo di “Marchigiano dell’anno”, il Sodalizio dei Piceni, la più antica e rinomata istituzione marchigiana della capitale, che ha finanziato, tra l’altro, gli studi universitari di tanti giovani, lo ha insignito del “Premio Picenum” (Pergamena e una artistica opera dello scultore Mastroianni).
Mi trovavo a ricoprire il ruolo di presidente della apposita commissione istruttoria di tale storica Fondazione picena e ne proposi la assegnazione del riconoscimento. In anni precedenti, nel settore dell’arte scenica, erano stati insigniti anche Virna Lisi (Ancona) e Dante Ferretti (Macerata). Nell’albo d’oro figurano anche padre Armando Pierucci (Pesaro), fondatore dell’Istituto musicale Magnificat a Gerusalemme dove musulmani ed ebrei convivono in armonia, nonchè Glauco Tocchini Valentini (Pesaro), biologo molecolare, già a lungo docente a Chicago. Su quasi tutti questi personaggi le cronache non sono state molto generose e mi è sembrato opportuno che almeno i marchigiani ne evidenziassero il valore in coerenza con le norme statutarie del sodalizio secondo le quali l’attestato va ogni anno ad un personaggio marchigiano che: 1)”onori la sua terra avendo raggiunto notevoli traguardi nel suo campo di attività”; 2) sia “modello da imitare per le giovani generazioni perchè si cimentino per seguirne l’esempio e l’insegnamento”.
Per Glauco Mauri la cerimonia si svolse nell’auditorium del Complesso Monumentale di San Salvatore in Lauro alla presenza di autorità nazionali e regionali e con l’intervento della Banda della Polizia di Stato che eseguì un applaudito concerto.
Nell’illustrare la nota e prestigiosa figura di Glauco Mauri, ebbi modo di ricordare, tra l’altro, come per lui Ingrid Bergman abbia nutrito intensa ammirazione. Per non parlare poi di Eugène Ionesco che, dopo la rappresentazione italiana de “Il Rinoceronte”, raggiunse il camerino di Mauri per rivolgergli, visibilmente commosso, i propri rallegramenti. Nel suo saluto di ringraziamento Glauco Mauri rievocò gli esordi della sua vocazione artistica a Pesaro dove visse l’infanzia in “grande povertà” ma con ricchezza di affetti e di coraggio: “Debbo a mia madre l’onesta forza per affrontare la vita” esordì nel suo intervento.
E proseguì: “Un giorno presso la Parrocchia di S.Agostino, che frequentavo, mi venne chiesto se volevo fare il suggeritore in uno spettacolo gestito dalla locale filodrammatica. Non bisogna dimenticare che Pesaro ha avuto sempre una forte tradizione filodrammatica. Quando mi udì il regista della rappresentazione ‘La notte del vagabondo’ mi propose di recitare affidandomi il ruolo di protagonista. Era il 1° gennaio del 1946, ed io avevo 15 anni. L’idea di fare l’attore mi venne in quella circostanza”. Va pure ricordato che “amava intensamente la musica”. Ed in proposito, scrive il Comune di Pesaro nel presentarne il profilo in occasione del suo allestimento al Teatro Rossini del De Profundis di Oscar Wilde, che, ancora ragazzino, era spettatore assiduo degli spettacoli lirici al Teatro Rossini, dove correva su per cinque piani di scale fino al loggione, a prendere posto anche per una vecchia signora.
Ed al folto pubblico accorso per festeggiarlo all’auditorium del complesso “San Salvatore in Lauro”, sede del Sodalizio dei Piceni, raccontò: “Nel 1947 presso Villa Marina d’estate era stata organizzata una colonia per ragazzi. Il sacerdote del posto, don Andrea, mi chiese di allestire uno spettacolo dal titolo: “Un giorno in colonia”. Occorreva far esibire un coro a bocca chiusa. Allora era molto in voga il valzer delle candele. Mi adoperai facendo entrare in scena il coro cui avevo fornito dei pettinini che attrezzati con una carta velina potevano emettere un suono originale e gradevole, di vera poesia. Molte mamme avevano gli occhi lucidi”.
E forse qualche occhio lucido lo ha procurato anche a noi con la sua “Parabola universale della sofferenza, dell’arte e dell’amore” rievocativa anche delle tribolazioni di Oscar Wilde e messa in scena al “Rossini”.