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Mosca sapeva del blitz di Kursk. E (forse) anche Washington

Documenti russi rivelano che l’attacco ucraino a Kursk era stato previsto già nei mesi precedenti dall’apparato russo. Che potrebbe anche aver avvertito gli Stati Uniti

Quando, ad inizio dello scorso agosto, le truppe ucraine hanno lanciato il loro raid a sorpresa nell’oblast di Kursk, la difesa di Mosca si è fatta cogliere quasi totalmente impreparata. Le forze meccanizzate ucraine sono riuscite a penetrare in relativa profondità dentro al territorio avversario, e a fortificare le posizioni occupate, prima che le forze armate russe riuscissero a mobilitare unità sufficienti a tamponare la spinta offensiva di Kyiv. Simili tempistiche e modalità di reazione suggeriscono questa sortita oltre confine da parte ucraina fosse una totale sorpresa per lo stato maggiore russo. Eppure, sembra che non sia questo il caso.

Durante la loro avanzata nell’area, secondo quanto rivelato in esclusiva dal Guardian, le forze ucraine sarebbero infatti entrate in possesso di documenti ufficiali del comando militare di Mosca, stilati in un lasso di tempo che va dagli ultimi mesi del 2023 al giugno di quest’anno. Questi documenti dimostrano come l’incursione nella regione di Kursk fosse già stata prevista mesi addietro dai vertici militari russi, i quali avrebbero anche redatto dei piani proprio per prevenire quest’eventualità. Piani che prevedevano evoluzioni che poi si sono verificate davvero sul campo di battaglia, da “un rapido avanzamento dalla regione di Sumy nel territorio russo, fino a una profondità di 80 km, per stabilire un ‘corridoio’ di quattro giorni prima dell’arrivo delle principali unità dell’esercito ucraino su veicoli corazzati” alla direttrice “in direzione Yunakivka-Sudzha, con l’obiettivo di prendere il controllo di Sudzha”, fino ai tentativi di distruggere un ponte sul fiume Seym per interrompere le linee di rifornimento russe nella regione.

Sul lato russo, la situazione dipinta nelle carte non era ottimale. Le unità schierate al fronte disponevano in media del 60-70% del personale previsto, ed erano composte principalmente da riservisti con addestramento debole. Erano espresse anche preoccupazioni riguardo al morale tra le fila dei soldati di stanza a Kursk, che si sono moltiplicate dopo il suicidio di un soldato al fronte che si trovava in uno “stato di depressione prolungata a causa del suo servizio nell’esercito russo”. Ai comandanti delle unità vengono date istruzioni affinché i soldati consumino quotidianamente i media statali russi per mantenere il loro “stato psicologico”. Non stupisce dunque che molti soldati russi abbandonarono le loro posizioni dopo l’inizio dell’offensiva ucraina.

Il blitz a sorpresa a Kursk, fortemente voluto dal generale Oleksandr Syrs’kyj (che a febbraio ha rimpiazzato Valery Zaluzhny come comandante in capo delle forze ucraine), potrebbe dunque non essere stato poi così a sorpresa. E alla luce di queste rivelazioni, si possono fare dei collegamenti ex-post. Come ad esempio il fatto che, nonostante le affermazioni in senso contrario, Washington fosse a conoscenza del piano ucraino di varcare in forze i confini russi.

Intorno alla metà di luglio il nuovo ministro della Difesa di Mosca Andrei Belousov ha chiamato la sua controparte statunitense, il segretario alla Difesa Lloyd J. Austin III, per discutere di un’operazione segreta organizzata da Kyiv. Il contenuto della conversazione tra i due esponenti politici è rimasto segreto, ma secondo quanto emerso in seguito Belousov avrebbe chiesto ad Austin se gli Stati Uniti fossero a conoscenza di questa operazione, sottolineando il rischio di escalation ad essa collegata, ricevendo una risposta negativa da parte del vertice del Pentagono. In quell’occasione i funzionari statunitensi affermarono alla stampa che non fosse successo nulla, fino a quel momento. Poche settimane dopo, i veicoli blindati di Kyiv entravano nell’oblast di Kursk, infrangendo l’ennesimo taboo del confitto scoppiato nel 2022. Con l’endorsement degli Stati Uniti arrivato, significativamente, a distanza di una settimana, quando l’esito positivo dell’azione (con annessi gli scarsi rischi di escalation) era oramai chiaro.


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