Grillo ha ancora in mente il Movimento delle origini, un po’ rivoluzionario e tendenzialmente autonomo. Mentre la visione di Conte è più orientata all’aspetto “gestionale” e mira all’alleanza con il Pd per realizzare il campo largo. Ci possono essere dei punti di sintesi su alcuni temi strategici: dalla salvaguardia della sanità pubblica, passando per la questione del lavoro, del salario minimo, del costo della vita e del diritto alla casa. E la Liguria è contendibile. Colloquio con il politologo, Piero Ignazi
L’unica certezza è che il Movimento 5 Stelle, da questa Costituente, ne uscirà “con le ossa rotte”. Per il momento è stato stabilito che si voterà su nome e garante. La frizione tra il fondatore Beppe Grillo e il leader politico, Giuseppe Conte appare al momento insanabile. Si scontrano “due visioni molto differenti. In questo modo però, ne uscirà un Movimento profondamente indebolito”. A dirlo a Formiche.net è il politologo, già docente dell’università di Bologna, Piero Ignazi.
Grillo rivendica l’autenticità della sua linea per il Movimento, mentre Conte ha una posizione piuttosto differente. Quale prevarrà?
Grillo ha ancora in mente il Movimento delle origini, un po’ rivoluzionario e tendenzialmente autonomo. Mentre la visione di Conte è più orientato all’aspetto “gestionale” e mira all’alleanza con il Pd per realizzare il campo largo. Non saprei dire quale prevarrà. Certo è però che Grillo si è da tempo astratto dalla politica, mentre l’ex presidente del Consiglio è molto più addentro alle dinamiche.
Grillo doveva occuparsi della comunicazione del Movimento.
Ecco, appunto. Francamente la comunicazione pentastellata mi sembra del tutto inefficace e zoppicante. Grillo si è eclissato all’indomani del sostegno dato al governo guidato da Mario Draghi. Questo ritorno sulla scena mi pare poco comprensibile.
A questo punto il Pd torna a giocare da senior partner. Questo che tipo di situazione crea?
Ci sono delle differenze palpabili tra i due partiti, così come gli altri soggetti coinvolti nel campo largo. Ma resto convinto che ci possano essere dei punti di sintesi su alcuni temi strategici: dalla salvaguardia della sanità pubblica, passando per la questione del lavoro, del salario minimo, del costo della vita e del diritto alla casa.
Anche sulla politica estera ci sono dei punti di distanza tra Pd e Movimento 5Stelle. Basti pensare alla questione ucraina.
Sì, ci sono sensibilità differenti. Così come ci sono sensibilità differenti nel centrodestra. Ma in un caso e nell’altro non si tratta di temi così dirimenti. A maggior ragione agli occhi dell’elettorato.
Liguria, Emilia-Romagna e Umbria andranno al voto. Che scenario prevede e quanto incideranno le dinamiche nazionali sui territori?
Ben poco. Incidono i candidati, la loro capacità di intercettare le reali esigenze della comunità che si propongono di rappresentare. La differenza la fanno credibilità e preparazione. I tumulti nazionali sono del tutto marginali. Mi pare che, rispetto allo status quo, la regione tornata ad essere davvero contendibile sia la Liguria dopo il caso Toti.
Lei ha evidenziato che anche tra le forze di governo esistono delle differenti sensibilità. Fino a che punto incideranno sulla tenuta dell’esecutivo?
Il governo resta ben piazzato. Sta procedendo su quella che è stata da subito la sua agenda e sul programma con il quale si è presentato agli elettori. Ha frenato molto sulle riforme istituzionali, probabilmente nella consapevolezza che un referendum sarebbe devastante.
In Europa c’è ancora una maggioranza che annovera forze come il Pse e i liberali. Eppure, tutto ciò non ha ostacolato la nomina a vicepresidente esecutivo di un ministro di un governo di centrodestra come Raffaele Fitto.
Infatti il baricentro della Commissione si è spostato decisamente a destra. Mi sembra che Ursula sia sempre più convinta di essere onnipotente e di poter costruire gli equilibri politici a suo gradimento. Questa cosa avrà necessariamente degli sviluppi. E mi aspetto che tra le forze politiche di maggioranza – a Bruxelles – ci possano essere delle frizioni.