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La nuova Commissione europea alla svolta per il rilancio economico. L’analisi di Zecchini

Il rapporto Draghi si presenta come un grido di allarme sui rischi che l’Ue sta correndo. Per questo adesso incombe sulla nuova Commissione la necessità di presentare la sua strategia, ben sapendo che le sue scelte saranno, tra l’altro, poste a confronto con quanto proposto negli stessi lavori dell’ex presidente della Bce e di Enrico Letta. L’analisi di Salvatore Zecchini

Compito prioritario della nuova compagine della Commissione europea è definire un’efficace strategia per rilanciare l’avanzamento della sua economia verso alti traguardi di crescita, competitività, leadership tecnologica, decarbonizzazione e sicurezza, facendo tesoro dei due rapporti rispettivamente di Letta sul mercato unico e di Draghi sul futuro della competitività. Il secondo ingloba il primo nel quadro di una trattazione a tutto campo dei nodi che frenano l’economia europea nel suo anelito di maggiore prosperità e un ruolo primario nella competizione tecnologica internazionale e nella lotta al cambiamento climatico.

Il rapporto Draghi si presenta come un grido di allarme sui rischi che l’Ue sta correndo: rischio di restare indietro rispetto ai maggiori concorrenti mondiali (Usa e Cina) e di perdere la sua prosperità, il suo peso nello scenario mondiale e la sua indipendenza. All’allarme unisce la chiamata ad agire con immediatezza e decisione per allentare i freni e porre nuove basi per uno slancio economico, tecnologico ed ecologico. Esce dalle consuete affermazioni generiche di principi e obiettivi, a cui spesso l’Unione non dà seguito con interventi coerenti ed efficaci, per tracciare un itinerario di politica sia “industriale” che di sistema, ovvero una strategia incentrata sui punti di maggior debolezza dello sviluppo europeo e indica con dovizia di dettagli le misure da prendere e gli strumenti da impiegare.

Molto rilevante è aver infranto il tabù secondo cui nell’Ue sono ammesse soltanto politiche industriali di tipo orizzontale dirette a superare situazioni di fallimento di mercato. Si ammette, invece, l’esigenza di politiche di tipo sia orizzontale, sia verticale, sia settoriale. In questa impostazione la nozione di competitività a cui fa riferimento va oltre la dimensione settoriale del mondo delle imprese per estendersi al sistema istituzionale, normativo e finanziario dell’Unione, che costituisce la cornice e il contesto in cui si sviluppano innovazione, ricerca ed imprenditoria, avendo sullo sfondo un presidio di sicurezza da minacce esterne e concorrenti sleali. La novità del Rapporto sta proprio nel trattare chiaramente ed esplicitamente le debolezze e i rischi, concentrando l’attenzione su tre aree: il ritardo nell’innovazione e nella produttività, i relativamente più alti costi dell’energia e la dipendenza dalle forniture di altre grandi economie, che mette in pericolo la sicurezza.

Su questa base delinea con precisione il quadro delle aree prioritarie di intervento che individua nel completamento del Mercato Unico, nell’allineamento delle politiche industriali, della concorrenza e del commercio con l’estero con la strategia complessiva, nell’investimento massiccio nella digitalizzazione, decarbonizzazione e difesa, e nella riforma della governance dell’Unione nel senso di uno stretto coordinamento e della semplificazione delle regole. Nella lunga trattazione e nella serie di proposte avanzate il Rapporto recepisce i contributi di specialisti dei diversi campi ed i suggerimenti ricevuti dalle varie parti interessate, col risultato di presentarsi come una summa ragionata di quanto negli anni trascorsi si è proposto e dibattuto con poco seguito nella realtà.

Inutile ricercare nel Rapporto ricette magiche per sciogliere i nodi che frenano lo sviluppo economico e sociale dell’Unione, né si rinvengono novità eclatanti, mentre la vera novità sta nell’avere ricondotto in un unico quadro organico i vari filoni con cui comporre una nuova strategia “industriale”. È una strategia realizzabile? Sulla risposta gravano diverse incertezze dovute anche alla costatazione che l’UE avrebbe potuto adottare molte di queste misure da anni e se non è avvenuto, certamente è dovuto, a parte l’emergenza della pandemia, alla carenza di consenso tra i paesi membri e al loro atteggiamento di preservazione del sistema esistente e dei loro interessi particolari. Hanno preferito piuttosto non raccogliere la sfida del rinnovamento profondo in vista di una costruzione europea più solida e competitiva su scala globale.

Lo stesso rapporto presenta alcuni punti deboli. In primo luogo, sembra incurante del contesto socio-politico in cui il suo programma dovrebbe inserirsi per trovare una coerente applicazione. Nell’attuale legislatura comunitaria si è assistito all’avanzata del sovranismo, ossia di formazioni politiche impegnate a rivendicare un ritorno agli Stati di porzioni di sovranità trasferite al livello sovrannazionale dell’Unione. Per quanti sforzi si faccia nel rapporto per dimostrare che nell’attuale competizione mondiale l’Europa può aver peso soltanto se i suoi membri agiscono come un’unica entità, diversi Stati ritengono di poter ottenere migliori risultati agendo da soli.

Ne è esempio la recente evoluzione della disciplina sugli aiuti di Stato. Di fronte alla concorrenza degli aiuti americani dell’Inflation Reduction Act, l’Ue ha consentito ai suoi membri di concedere altrettante sovvenzioni per compensare lo svantaggio per le loro imprese in settori cruciali. Invero, il Rapporto apre a questa possibilità laddove sottolinea la necessità di una riformulazione della disciplina degli aiuti e della promozione della concorrenza perché siano coerenti col fabbisogno di facilitare la formazione di grandi imprese in grado di competere con i colossi americani e cinesi.

Sul tema della difesa comune e dell’autonomia strategica si fa un’analisi completa delle vulnerabilità e si addita un insieme ambizioso di proposte certamente condivisibili in linea di principio ma che cozzano con la realtà politica degli Stati. L’insufficienza della spesa, la frammentazione industriale, la mancanza di focalizzazione e del coordinamento dei piani nazionali, l’assenza di standardizzazione e le difficolta di finanziamento sui mercati sono grandi fattori di debolezza. Tuttavia, l’introduzione di meccanismi di mercato per superarle, quali un mercato unico per le tecnologie spaziali, penalizzerebbe le industrie dei paesi meno competitivi, o l’affermazione della preferenza europea nelle commesse di tecnologie militari renderebbe più arduo rivolgersi a quelle più avanzate di paesi esterni. Ogni Stato membro ha anche interesse a sviluppare e sovvenzionare una sua industria militare proteggendola dalla concorrenza estera.

Altro punto debole è l’assenza di riferimento alle politiche per contrastare il declino demografico. Si riconosce che la crescita della popolazione attiva è un importante motore dello sviluppo economico, ma non si affrontano né le politiche per la natalità, né quelle per l’allungamento dell’età lavorativa, né lo spinoso problema della regolazione dell’immigrazione. Si prende atto, invece, del declino della popolazione per sollecitare un’accelerazione della produttività da ottenere con l’investimento nella digitalizzazione e nelle nuove tecnologie.

Altra assenza rilevante è nel trascurare l’eccesso di assistenzialismo che conduce all’inattività forze di lavoro ancora valide, che possono ancora apportare competenze ed esperienza. L’eccesso di assistenzialismo grava, inoltre, sui bilanci pubblici e ne sottrae risorse destinabili a opere infrastrutturali e per incentivare gli investimenti privati. Il potenziamento delle risorse del bilancio europeo per la fornitura di beni pubblici comuni, quali la difesa, ha una sua solida giustificazione, ma l’indebitamento in comune per questo scopo ricade pur sempre sotto la responsabilità ultima di tutti gli Stati membri, che ne assicurano l’adempimento. La mutualizzazione di questa responsabilità non trova, tuttavia, il consenso degli Stati che presentano i minori squilibri nelle loro finanze.

Altro grande assente è ogni riferimento alle rigidità nel mondo del lavoro. Eppure il lavoro è un cruciale fattore di produzione e di competitività se adattabile al mutare delle prestazioni richieste e se dotato delle competenze necessarie per applicare le nuove tecnologie. In un mondo produttivo in piena transizione digitale, ecologica, di marketing e nell’organizzazione aziendale, le rigidità del lavoro costituiscono un ostacolo notevole, che non è agevolmente né sempre superabile con la riqualificazione delle competenze. Il Rapporto giustamente enfatizza l’importanza della formazione avanzata delle nuove leve con il sostegno pubblico, ma non tiene conto delle difficoltà di modificare l’allocazione del lavoro a seguito del cambiamento tecnologico e delle differenti dinamiche settoriali, con alcuni settori in espansione ed altri in contrazione.

Le proposte su base settoriale sono molto dettagliate e interessanti, ma si prestano a dibattiti nell’ottica della coerenza con altre parti del programma e delle disparità di condizioni di partenza tra paesi. Ad esempio, nel campo dell’energia il sistema energetico francese si distanzia da quello tedesco ed italiano nella generazione elettrica e nel ricorso alle diverse fonti. La creazione di un mercato unico dell’energia elettrica e del gas deve tenere conto dell’inadeguatezza delle infrastrutture di connessione tra reti nazionali e dei tempi lunghi richiesti per superare i colli di bottiglia mediante grandi investimenti infrastrutturali. La proposta di alleggerire la tassazione e gli altri oneri sui consumi energetici per livellare i prezzi tra paesi sottrarrebbe importanti risorse ai bilanci pubblici ponendo agli Stati altri problemi finanziari.

Un’osservazione più generale riguarda i limiti entro cui si può ritenere valido il confronto tra Stati Uniti ed Europa in fatto di produttività, investimenti in R&S, ampiezza del mercato interno, sviluppo dei mercati finanziari. I primi costituiscono una federazione con un’unica lingua, un vasto mercato omogeneo e ben infrastrutturato per portare la concorrenza in ogni sua parte, con mercati finanziari più sviluppati, con leggi federali che sono approvate e applicate in tempi brevi e con un grande bilancio federale finanziato con risorse proprie e bilanci statali limitati. L’Ue non dispone di queste caratteristiche, né ha intrapreso il cammino verso un’analoga federazione.

Nondimeno vi è il bisogno di riformare la governance europea perché non sufficientemente funzionale in rapporto agli obiettivi di integrazione. Appare dovuta la proposta di costituire un “Quadro di Coordinamento per la Competitività” che rimpiazzi i meccanismi esistenti e assicuri maggiore coerenza tra tutti gli interventi nei vari campi per allinearli con gli obiettivi strategici del potenziamento dell’economia europea. La proposta appare tanto più necessaria alla luce del frazionamento tra 27 Commissari delle competenze di impostare ed attuare le varie policy, con ben 12 di loro direttamente coinvolti nella “strategia industriale”. In questo ambito è essenziale procedere decisamente verso la semplificazione e lo snellimento degli adempimenti degli Stati per le misure a favore delle loro imprese.

Adesso, incombe sulla nuova Commissione presentare la sua strategia, ben sapendo che le sue scelte saranno, tra l’altro, poste a confronto con quanto proposto nei due rapporti e saranno messe alla prova della volontà politica degli Stati membri di attuarle.


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