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L’accoglienza tiepida ai buoni propositi di Draghi. L’opinione di Guandalini

L’Unione europea è priva di ambizioni. Tra le nazioni prevale la difesa dell’orticello di casa. Per cantierare le riforme dell’ex capo della Bce occorre volontà, solidarietà e responsabilità. Perché i leader europei non hanno offerto a Super Mario la presidenza del Consiglio europeo? Il valore di sostenere unitariamente la candidatura di Fitto. L’opinione di Maurizio Guandalini

Il piano Draghi non si afferma innescando il conflitto sovranisti-europeisti. Quel piano va oltre i veti (tu sì–tu no) alla partecipazione. Sono tre i pilastri che lo sostengono. Volontà, solidarietà e responsabilità. Tra le nazioni europee. In linea di massima vale quello che mi ha detto un alto funzionario di Bruxelles. Draghi ha scritto cose che la maggior parte degli addetti ai lavori sapevano. La domanda da porsi è perché non sono mai state fatte. E perché non si faranno. Gli aut aut dell’ex capo della Bce sono condivisibili perché il punto cui siamo arrivati è indiscutibile e lo esprime bene lo stesso Draghi.

“L’Ue scelga tra l’essere indipendente o diventare serva. Noi siamo un giardino ma fuori c’è la giungla. L’Europa deve essere padrona del proprio destino”. Il gesto di volontà delle nazioni europee, di responsabilità era di abbracciare il piano Draghi offrendogli la carica di presidente del Consiglio europeo. Non è stato fatto. Ursula von der Leyen ha detto che ne farà tesoro. Per il resto c’è poca convinzione. Segnalata dalle reazioni contrastanti dei vari Paesi. Alla Germania l’ipotesi di fare debito comune non sta nelle sue corde. Così gli altri paesi cosiddetti frugali, del Nord Europa. I motivi oggettivamente sono da attribuire all’accentuato sovranismo dei singoli stati. Che travalicano l’ideologismo delle diverse famiglie politiche europee. Ed è una pratica insita in tutte le nazioni e solo se superata si potrà dare il via al piano Draghi.

La solidarietà tra 27 nazioni diverse

La solidarietà tra Stati è venuta meno dopo il Covid e la guerra in Ucraina dove gli Stati europei hanno cercato di difendersi autonomamente graduandosi dalle posizioni assunte. Le sanzioni contro la Russia come gli aiuti in armi all’Ucraina (con in prospettiva la costruzione di un esercito europeo) sono state caratterizzate da una movimentazione autonoma, il riferimento unitario europeo era un principio appeso alla disponibilità degli Stati. Si veda l’Italia e gli aiuti ottenuti dopo che da un giorno all’altro è stato deciso di interrompere le forniture di gas dalla Russia. C’era Draghi al governo. E quindi ha sperimentato sulla sua pelle la necessità di fare il commesso viaggiatore nei vari stati africani per trovare un rifornitore che garantisse lo scoperto russo.

L’Europa non pervenuta. La Norvegia che ha una riserva di gas di notevole entità ha addirittura sfruttato il momento favorevole delle quotazioni per quadruplicare il prezzo. Potremmo citare il costo della bolletta elettrica (nel capitolo energia uno degli aspetti citati da Draghi nel rapporto per l’Unione europea) la difficoltà dell’Italia, in piena crisi, a convincere l’Europa di collegare le valutazioni del mercato alla borsa del gas. Per farla breve, l’Europa riesce a fare le riforme che sogna da sempre, molte inserite nel programma di Draghi, se prima di tutto afferma il principio di solidarietà tra le nazioni. Purtroppo il modo di operare dell’Unione Europea si è sviluppato in senso contrario. Molto naif.

Montagne di regole, decisioni comuni, delibere, regolamenti ma poi ogni Stato è riuscito trovare l’interpretazione a proprio vantaggio. A uscirne, circumnavigare senza darne una diversa impressione. C’è chi rispetta, chi svicola, chi fa orecchie da mercante, chi usa la sovranità di nazione a proprio piacimento infischiandosi delle indicazioni unitarie. Un esempio su tutti la pratica delle migrazioni. Capitolo aperto e irrisolto. L’ultima è la Germania che blinda i confini contro i migranti. Scholz, il premier tedesco, sta rinsavendo dalle scoppole elettorali e ha capito che deve apprendere alcuni dei motivi che hanno relegato la Spd a un lumicino. Decide per la sua nazione tralasciando il vincolo unitario europeo.

Le riforme possibili

Questi sono i presupposti di qualsiasi riforma futura. 27 nazioni. Altre che aderiranno. Paesi dagli interessi opposti. Improbabile da portare a sintesi. Si parla di introdurre le decisioni a maggioranza. Ma quale nazione, soprattutto minore, rinuncerà al veto e alle decisioni all’unanimità quando questi sono garanzia di una paralisi decisionale comunque auto-consolante, che termina sempre a tarallucci e vino. Ognuno fa come vuole e come può. L’abbiamo visto con l’invio delle armi all’Ucraina. Lo stesso embrasson nous per le sanzioni.

I Paesi più esposti hanno sicuramente trovato vie e mezzi per, in parte, aggirarle. Prima accennavamo ai migranti. Per andare oltre c’è il grande capitolo energetico (editoriale di Davide Tabarelli su La Stampa, Perché la nostra energia è sempre la più cara, spiega le tante incongruenze correnti), quello della fine delle auto a benzina e diesel (in Italia non si acquistano auto elettriche), un limite indicato a parole ma poi ogni nazione troverà il modo di non rispettarlo. Così per la case green e per le caldaie.

Noi siamo tra quelli che hanno segnato con disappunto gli stravolgimenti del Continente dopo l’inizio del conflitto in Ucraina. Il sottosopra geopolitico e geoeconomico ha inciso negativamente sugli equilibri tra stati generando un indotto sovranismo autarchico. Persi o indeboliti i motivi dello stare insieme ogni stato cerca di fare da sé. Parimenti il risultato delle recenti europee spinge all’incongruenza di stimoli, obiettivi e modi di fare tra i singoli stati e la commissione europea nascente.

La vittoria degli estremi (sinistra e destra) in Francia e Germania, non rappresentate nella prossima commissione che guiderà l’Europa, crea un contraccolpo pericoloso all’interno di quei paesi che pronosticano un rafforzamento degli estremi alle prossime politiche e presidenziali che a loro volta potranno stravolgere anche i piani dell’Unione europea futura. La discussione di questi giorni tra i grandi paesi (Scholz per la Germania, Macron per la Francia e Sanchez per la Spagna, tre leader deboli a casa loro) di osteggiare l’incarico di Fitto a commissario vice presidente nel nome di una rappresentanza politica al di fuori della coalizione che sostiene von der Leyen offre la sensazione plastica del vorticoso gioco di veti, ricatti e concessioni che gira. I problemi dell’Europa si risolvono coinvolgendo. Facendo gruppo. Ed è un bene che vi sia il consenso alla candidatura Fitto perché rappresenta l’Italia e la nostra nazione non può essere esclusa nell’eventuale shock and awe europeo.

Sulle riforme possibili e probabili dell’Unione Europea non starei a fare grandi castelli in aria. Aleggia poca fiducia. Gli stati per i motivi sopra esposti sono sulla linea di chiudersi a riccio. Di non cedere pezzi di sovranità (come conciliare la sovranità dell’Europea e quella dei singoli stati è un esercizio giuridico pratico ancora da risolvere). Ci sono lampi di luce solo quando si tratta di questioni di bilancio. Di ragioneria amministrativa. Per quelli che sono gli assi strategici, quello di cui scrive Draghi, che richiedono quei principi di solidarietà e di impegno reciproco tra stati, niente di nuovo sotto il sole.

La stessa idea di competitività dell’Unione è subordinata alla competitività tra stati sulla quale far leva per rimettere in sesto le industrie delle singole nazioni. Il caso dell’industria automobilistica tedesca è sintomatico di un mix di fattori (strategie, prodotto, contratti, dazi) che s’intrecciano vorticosamente riversandosi nel capitolo delle sofferenze. Per la prima volta nella sua storia chiude uno stabilimento Volkswagen e il licenziamento delle maestranze. Così come le case automobilistiche Porsche e Bmw saranno fortemente penalizzate nell’export di macchine di lusso per il rialzo dei dazi della Cina, la contromossa del dragone al rialzo dei dazi imposto dall’Unione Europea, e prima dagli Stati Uniti.

Quello che si potrà fare

Se ci fosse stato un vero interesse a impegnare Draghi in una missione così complessa i singoli Stati avrebbero dato immediatamente l’incarico all’ex premier insediandolo alla Presidenza del Consiglio europeo. Sarebbe stata una manifesta volontà di cambiare il corso degli eventi. Il resto è una perdita di tempo. Routinaria. Stare ancora a dibattere tra europeismo e sovranismo è ulteriore fracasso su aspetti che in questa fase storica non hanno quei connotati netti di contrapposizione.

L’Europa comunque è davanti ad un bivio. Così è paralizzata. Noi abbiamo sempre sostenuto che la sua crescita pachidermica, tutti dentro, è stato un errore pesante. L’immobilismo è la conseguenza. Impossibile attendersi magnifiche sorti e progressive. Vessilli di utopia pura. Il mercato unico europeo doveva essere la cartina tornasole. Priva di tagliando. Ci saremmo accontentati del minimo sindacale.

Unione monetaria e una zona commerciale di libero scambio. Essere andati oltre invece di semplificare ha caricato di un gravame burocratico che ha dato la sensazione di una Europa cavilli e ostacoli. Oggi la sfida per la commissione von der Leyen è ben al di sotto dei propositi di Draghi. È quello di tentare di unire le diversità. Lo si potrebbe fare spezzettando l’Unione. Consegnando diverse velocità a gruppi di paesi omogenei. Ed il metodo della gradualità che semplifica, snellisce, riconduce meglio a sintesi, omogeneizza gli obiettivi.



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