Nonostante l’effetto del ricalcolo del Pil stimato dall’Istat, che di fatto “aggiunge” 98 miliardi su base triennale, l’immagine che emerge è quella di una sostanziale vulnerabilità dei conti pubblici. Tassare gli extraprofitti è improbabile e sulle pensioni bisogna ragionare senza ideologie sui lavoratori migranti. Conversazione con il direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii
L’immagine che si profila in Italia, quando il governo – come in questo periodo è alle prese con la costruzione della Manovra – è quella comune anche ad altri Paesi europei. I margini operativi, al di là dell’esiguità delle risorse, sono sempre più ridimensionati. “Soprattutto quando si approccia al tema della crescita, ci si rende conto di quanto la materia sia sempre di più di carattere sovra nazionale”. È l’inizio dell’analisi che il direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii consegna a Formiche.net.
Come si presenta il Piano strutturale di Bilancio, previsto dal nuovo Patto di Stabilità?
I margini, in termini di risorse, sono piuttosto angusti. Nonostante l’effetto del ricalcolo del Pil stimato da Istat, che di fatto “aggiunge” 98 miliardi su base triennale, l’immagine che emerge è quella di una sostanziale vulnerabilità dei conti pubblici.
D’altra parte la procedura di infrazione per eccesso di debito non aiuta in questo senso.
No, infatti. A livello di risorse il governo sarà costretto a trovare dodici miliardi di euro su base annua solamente da impiegare per la correzione strutturale del disavanzo. In questo modo si ridurrà il debito di mezzo punto percentuale. Da lì, poi, si parte.
Arriviamo al cuore della Finanziaria. L’indirizzo è quello di confermare alcune misure tra cui il riduzione del cuneo fiscale e il taglio delle aliquote Irpef. Una direzione positiva?
Solo per conservare lo status quo – dunque le misure indicate, più le spese indifferibili – servono trenta miliardi di euro. Ed è evidente che non si possa non confermare il taglio del cuneo, così come il ridisegno delle aliquote.
Tutto questo intreccia pesantemente la questione più generale che riguarda il fisco. Ci sarà una svolta?
Rivedere le aliquote è senz’altro un modo per tutelare il ceto medio. La vera questione è che la spending review che servirebbe per rastrellare risorse resta una chimera. Il punto di domanda è capire se si pone fine alla stagione dei bonus. Uno strumento che ha devastato le casse dello Stato ma che – va riconosciuto in particolare parlando di Superbonus – ha dato una grande impulso all’economia.
L’ipotesi di una tassa sugli extraprofitti potrebbe cogliere l’esigenza di rastrellare risorse e avere più disponibilità per gli investimenti sullo sviluppo. È realistico immaginare che possa andare in porto?
La vedo difficile. C’è anche una questione di tipo giuridico che pende sul via libera a un provvedimento come questo. Risulterebbe assai poco sensato applicare una tassa agli istituti di credito escludendo altre tipologie di attività che parimenti hanno generato extraprofitti.
Il nodo pensioni resta, in assoluto, il terreno più dibattuto. Si va verso un allungamento dell’età pensionabile oppure c’è un modo alternativo di rendere sostenibile – nelle condizioni in cui siamo – il sistema previdenziale?
Le strade potenzialmente percorribili sono due, per una pura questione aritmetica. Immaginare di conservare l’attuale sistema è, in prospettiva, impossibile. Ed è la demografia a dircelo in maniera inoppugnabile. Le varie “quote” introdotte dai diversi governi in questi anni sono superate dalla dittatura della demografia. Per cui, o si decide di procedere nella direzione di un allungamento dell’età pensionabile anche in ragione della più alta aspettativa di vita media, oppure si affronta un ragionamento serio e non su basi ideologiche legato alla migrazione. I migranti irregolari potrebbero garantire un apporto che potrebbe mitigare fortemente i forti squilibri demografici che si ripercuotono sul lato previdenziale.