C’è uno spazio in cui la premier potrebbe inserirsi, trasformando le proposte programmatiche del predecessore in un progetto politico per l’Europa del futuro. Il commento di Marco Mayer
Nella destra europea, la figura di Mario Draghi è divisiva, ma le idee contenute nel suo rapporto potrebbero rappresentare un’importante occasione per Giorgia Meloni per imprimere una “svolta storica” – un’espressione che lei stessa ama – ai conservatori europei. Tuttavia, il tempo a disposizione della presidente del Consiglio è limitato. La finestra temporale si chiude il prossimo 7 novembre, quando a Budapest si riuniranno in un vertice informale i capi di Stato e di governo dell’Unione Europea per discutere il rapporto Draghi, presentato a Bruxelles pochi giorni fa.
L’invito tempestivo di Meloni a Draghi per un incontro a Palazzo Chigi costituisce un segnale di grande interesse. Il dialogo tra i due dimostra l’intenzione dell’Italia di giocare un ruolo attivo nel plasmare il futuro dell’Europa. Tuttavia, ora deve entrare in campo la politica. Non basta proporre programmi ben documentati. Le analisi e le proposte di Draghi sono basate su argomentazioni logiche e razionali, ma in politica gli elementi che contano maggiormente attengono alla sfera emotiva. Nelle democrazie vincono leader e partiti in grado di suscitare passioni, intercettare le aspettative degli elettori e comunicare fiducia ai cittadini – soprattutto in un’epoca dominata dai social media e dall’intelligenza artificiale.
Contrariamente a quanto spesso si dice sul web, Draghi ha formulato un rapporto di ispirazione keynesiana, molto attento alla crescita, all’occupazione, alle esigenze sociali e all’ambiente. Tuttavia, è inevitabile che un rapporto di 400 pagine venga letto principalmente dagli addetti ai lavori e da ristrette élite politiche e tecniche. Ora si apre uno spazio in cui Meloni potrebbe inserirsi, trasformando le proposte programmatiche di Draghi in un progetto politico per l’Europa del futuro.
Un primo aspetto, particolarmente sensibile per l’elettorato di centrodestra, è la concorrenza sleale della Cina, un grave problema per molte aziende italiane ed europee. Il veto del premier ungherese Viktor Orbán – data la forte dipendenza economica dell’Ungheria dalla Cina – è una delle tante ragioni che hanno finora impedito all’Unione europea di affrontare con la dovuta determinazione le relazioni commerciali con Pechino, al fine di proteggere i posti di lavoro europei, soprattutto nei settori automobilistico, tecnologico e dei materiali rari. Meloni dovrebbe riflettere sull’alto costo che i cittadini europei pagano per l’imperativo dell’unanimità, uno dei cavalli di battaglia dei sovranisti.
Anche sul futuro del lavoro, il rapporto Draghi lancia un chiaro monito: ridurre il costo del lavoro e aumentare la flessibilità sono scelte inutili e controproducenti. Per aumentare la produttività e la competitività, l’Europa ha bisogno di massicci investimenti pubblici nelle tecnologie di frontiera, per ridurre il divario con Stati Uniti e Cina. È interessante notare che le idee di Donald Trump e Elon Musk su questo tema sono diametralmente opposte. Nel suo incontro del 23 settembre a New York con l’amministratore delegato di Tesla, Meloni avrà l’occasione di esprimere le sue preoccupazioni sulle posizioni filocinesi di Musk.
Ma come finanziare questi investimenti necessari per arrestare la “lenta agonia” di cui Draghi ha parlato? Questo apre un secondo, importante fronte politico per Meloni: la Germania. Draghi ha proposto di ricorrere a forme di debito comune per finanziare i grandi progetti, suscitando l’opposizione di Berlino. Su questo tema, le divisioni tra gli Stati membri sono trasversali, e il presidente del Consiglio dovrà svolgere un’opera di mediazione politica per evitare il ritorno a politiche di austerità.
Potrei continuare con altri esempi: in Europa siamo alla vigilia di altre sfide strategiche. Tuttavia, ciò che mi preme sottolineare è che i conservatori europei potrebbero utilizzare il rapporto Draghi per dar vita a un “nuovo europeismo di destra”. Questo significherebbe immaginare un’Europa più snella ed efficace, che si concentri sulle grandi sfide globali – difesa, stabilità finanziaria, energia, ambiente e salute globale – anziché su questioni secondarie.
Queste politiche comuni saranno difficili da digerire per la parte sovranista e filorussa della destra europea e italiana, ma non è possibile accontentare tutti, né accettare incondizionatamente i diktat di Matteo Salvini.
Infine, credo che la presidenza del Consiglio, e in particolare il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, debba confrontare i principali elementi del rapporto Draghi con i nostri interessi nazionali, allo scopo di allineare meglio le politiche del governo con la dimensione euro-atlantica. Questo rappresenta la migliore garanzia per assicurare all’Italia un futuro di libertà, crescita economica e progresso sociale. PS: preferisco usare il termine “interessi nazionali” al plurale, in quanto – come insegnano i migliori testi di intelligence – questi sono molteplici e talvolta in contrasto tra di loro.