Alcune voci sostengono che la premier moldava stia valutando il divieto per la chiesa di Mosca. Ma la situazione sociale rende il tutto più complesso, per molteplici motivi. Ecco quali
La Chiesa ortodossa russa del Patriarcato di Mosca sta attraversando un periodo di difficoltà in Moldavia. Secondo alcune indiscrezioni, la presidente filo-occidentale Maia Sandu starebbe riflettendo sul rendere illegale nel Paese la chiesa di Mosca, esattamente come fatto dall’Ucraina, classificandola come agente straniero. Sebbene Sandu abbia negato tali intenzioni, i suoi critici la accusano di essere ambigua per evitare di perdere consensi nelle imminenti elezioni presidenziali di ottobre.
Le proteste contro Sandu e il suo partito fanno parte della campagna elettorale, ma riflettono anche le preoccupazioni di lunga data di Mosca per la possibile perdita di influenza in Moldavia, un altro Paese che considera parte della sua tradizionale sfera d’influenza. Una simile evoluzione sarebbe estremamente deleteria per il Cremlino, poiché oltre il 90% della popolazione moldava si identifica come ortodossa, e l’eventuale imposizione del divieto indebolirebbe ulteriormente la pretesa del patriarcato di Mosca di rappresentare tutti i popoli ortodossi dello spazio post-sovietico (e non solo).
Le preoccupazioni di Mosca sono aggravate dalla situazione religiosa specifica della Moldavia. Un divieto della chiesa di Mosca rafforzerebbe infatti la posizione della rivale Chiesa ortodossa romena, eventualità che il Cremlino vorrebbe evitare a tutti costi, poiché essa rafforzerebbe il sostegno della riunificazione della Moldavia con la Romania, aprendo la porta all’adesione all’Unione Europea e alla Nato, di cui la Romania è già membro. Molta dell’ira espressa da Mosca e dai suoi alleati su questo tema riflette più la preoccupazione politica che una difesa teologica della posizione della chiesa ortodossa russa in Moldavia.
Il conflitto tra ortodossia romena e russa nell’area non è certo di recente origine: nel diciannovesimo secolo l’Impero russo incorporò la regione, ponendo le chiese ortodosse locali sotto il patriarcato di Mosca; quando la Romania annesse la regione nel 1918, le chiese furono spostate sotto il Patriarcato romeno, per tornare sotto quello russo quando, durante la Seconda guerra mondiale, l’Unione Sovietica annesse nuovamente la Moldavia. Infine, dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, Mosca concesse alla sua chiesa in Moldavia uno status autonomo; nel frattempo la Chiesa ortodossa romena tornò ad essere attiva, sebbene rimanesse significativamente più piccola di quella moscovita.
Secondo i sondaggi, ad oggi l’86% della popolazione moldava si identifica con la Chiesa ortodossa moldava (affiliata al patriarcato di Mosca), mentre solo l’11% si identifica con quella romena. Negli ultimi anni, circa sessanta parrocchie della prima si sono sottomesse alla seconda, ma rappresentano solo il 5% delle circa milleduecento parrocchie della Chiesa ortodossa moldava.
Se il governo di Chisinau decidesse di imporre il divieto, questa percentuale potrebbe aumentare, ma alcune parrocchie potrebbero scegliere di operare in clandestinità, ricevendo supporto da Mosca e da organizzazioni religiose estere. Questo creerebbe una situazione potenzialmente esplosiva, una delle ragioni per cui Sandu ha mostrato freddezza verso l’idea di un divieto.
Dato il forte dissenso in Occidente nei confronti dei piani di Kyiv di vietare la chiesa moscovita, è probabile che Sandu, qualora venisse riconfermata, non intraprenda subito azioni contro la chiesa russa. Tuttavia, le pressioni dei suoi alleati manterranno viva la questione, e l’eventualità che questo divieto venga effettivamente imposto continuano ad esistere.