Sul palco che lo ha visto tenere il suo primo discorso pubblico come Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg ripercorre dieci anni di storia dell’Alleanza Atlantica, in vista del passaggio di consegne con l’ex primo ministro olandese Mark Rutte il primo ottobre. Dall’Ucraina all’Afghanistan, passando per il 2%, la storia di una decade che ha cambiato il mondo
L’Ucraina, l’Afghanistan, lo stato dei rapporti transatlantici e il futuro della sicurezza collettiva. In una delle sue ultime apparizioni pubbliche in qualità di Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg ha partecipato a un evento ospitato dal German marshall fund per discutere dei profondi mutamenti che hanno interessato il suo mandato decennale, iniziato nel 2014, poco dopo l’annessione russa della Crimea, e prossimo alla conclusione.
Dieci anni di cambiamenti
“Non c’è granché da fare alla Nato” si sentì dire dal padre l’ex primo ministro norvegese quando si apprestava a prendere l’incarico nel 2014. E invece di cose da fare ce ne sono state tante. In dieci anni la Nato è cambiata profondamente, passando da una fase di relativa quiescenza della sua attività politica e militare — quella che Macron definì “morte cerebrale” — a quello che Stoltenberg definisce “il più grande rafforzamento dell’Alleanza in una generazione”. “All’epoca avevamo zero unità pronte al combattimento, ora ne abbiamo decine di migliaia. Siamo passati da 3 a 23 membri che rispettano l’impegno del 2% e abbiamo preparato una response force di mezzo milione di unità”, così il Segretario generale cerca di restituire la misura del rinvigorimento dell’Alleanza, che ha visto, sotto il suo mandato, succedersi una serie di crisi totalmente inaspettate quando succedette ad Anders Rasmussen. La Crimea, l’Isis, il cambiamento climatico, l’ascesa della Cina, la pandemia e, ovviamente, la guerra d’Ucraina hanno profondamente mutato lo scenario in cui la Nato si è trovata a muoversi, tuttavia la capacità di intercettare queste sfide e di affrontarle ha reso l’Alleanza “più forte e unita che mai”. Nuovi membri, un comando unico per il supporto all’Ucraina, una strategia per il Fianco Sud e una piattaforma di dialogo politico oltre che militare costituiscono l’eredità di Stoltenberg. Ma le sfide davanti alla Nato non sono poche e le lezioni da trarre ancora diverse. Sulla dipendenza economica dai rivali sistemici ad esempio “la Russia ha usato il gas come un’arma, non dobbiamo permettere alla Cina di fare lo stesso con le terre rare”, oppure sull’importanza di non dare il rapporto transatlantico per scontato ponendo dazi e barriere al commercio, rischiando così di compromettere il legame tra Europa e Nord America “Il protezionismo contro gli alleati non ci protegge davvero”.
La lezione dell’Afghanistan
“È stato giusto andare in Afghanistan, non è stato invano. Ma è durato troppo”. Le parole sono nette e chiare, e restituiscono quella che secondo Stoltenberg è la lezione più importante da trarre dalle vicende afghane, che hanno visto la Nato impegnata in due missioni (Isaf e Resolute support) nell’arco di vent’anni. Una missione anti-terrorismo che si è trasformata in una missione di nation building, “troppo ambiziosa” per essere portata a termine e che ha comportato perdite, ritardi e sprechi. Tutto questo a causa della mancanza di chiari obiettivi strategici, obiettivi che secondo Stoltenberg dovranno essere “chiaramente definiti prima di ogni futuro intervento all’esterno dei nostri confini”.
L’Ucraina e il futuro della guerra
“Ukraine will join”, per Stoltenberg la visione è chiara, un’Ucraina sovrana e membro della Nato non appena la situazione lo permetterà. Per il Segretario generale “non possiamo cambiare le intenzioni di Putin, ma possiamo cambiare i suoi calcoli”, continuando a supportare l’Ucraina con ogni mezzo possibile e imponendo alla Russia costi tali da obbligarla a sedere al tavolo delle trattative. “Più saranno armi verranno date all’Ucraina, più vicina sarà la fine della guerra” prosegue, sottolineando le colpe della Russia nella cessazione del dialogo con la Nato e avvertendo che ogni trattativa di pace dovrà essere duratura e non rappresentare un mero “Minsk 3”.
Le spese per la Difesa e il futuro dell’Alleanza
Stoltenberg dedica diversi passaggi alle spese militari, sottolineando che tutti i membri hanno raggiunto l’impegno del 2% o pianificano di farlo entro breve e che si sono dimostrati “volenterosi di pagare il prezzo per la pace”. Ma il 2% è solo l’inizio, il futuro richiederà “molto di più, oltre a solide capacità e piani di difesa”, ricordando come il vertice di Vilnius abbia trasformato “il tetto del 2% in un pavimento”, rendendolo il requisito minimo per le spese militari, perché “la Difesa e la forza militare sono una precondizione al dialogo”. Non mancano anche le critiche, assai poco velate, verso quei membri che protestano contro questi innalzamenti o che si dimostrano più lenti a seguirli. Secondo Stoltenberg gli Stati Uniti hanno ragione a volere di più da parte degli Alleati europei, i quali “devono capire che senza la Nato non c’è sicurezza per il Continente”, sottolineando anche come Paesi altamente indebitati spendano, solo in interessi sul debito, il doppio di quanto gli viene richiesto di investire sulla Difesa. Pur senza mai citarle esplicitamente, Stoltenberg critica anche le idee sulla Difesa europea e l’autonomia strategica. La nomina del nuovo commissario alla Difesa è un bene per affrontare il tema della frammentazione dell’industria, ma “l’Ue non dovrebbe sviluppare nuove strutture o forze di risposta rapida”. Il discorso circa le “inutili duplicazioni” tra Ue e Nato, che ha caratterizzato il mandato di Stoltenberg, torna a farsi vivo anche nelle sue ultime settimane alla guida dell’Alleanza Atlantica, la quale rimane, per il Segretario uscente, l’unica vera garanzia di sicurezza tra le due sponde. “Le sfide cambiano, ma la risposta rimane la stessa: insieme siamo più forti”.