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Ri-umanizzazione, ambiente e pace. Il messaggio di Francesco dalla Papua Nuova Guinea

La saldatura tra disumanizzazione dell’altro e difesa della casa comune è la scelta che unisce o divide, che determina. Nelle ore correnti è chiaramente riferito a quella vasta regione scossa da tanti conflitti, etnici in particolare. Ma il suo Angelus si adatta alla perfezione anche al nostro emisfero, in un mondo globalizzato soprattutto dalle due questioni che pone Bergoglio: disumanizzazione dell’altro e sfruttamento selvaggio del creato oppure umanizzazione e difesa della casa comune? La riflessione di Riccardo Cristiano

Quando in Vaticano ebbe luogo il sinodo per l’Amazzonia un cardinale si lasciò andare a un commento implicitamente critico, dicendo che il papa aveva voluto unirsi a degli uomini bardati di piume. Non si trattò certo della prima volta che una cosa del genere accadeva e la risposta fu che alcuni usano le piume, altri il tricorno (il cappello a tre punte dell’abito tradizionale dei cardinali). Dove vai, insomma, trovi tradizioni, tutte importanti, tutte da vivificare. E quel sinodo portava a Roma i popoli amazzonici, non Roma a loro.

A Papua Nuova Guinea, in queste ore, Bergoglio ha incontrato la popolazione locale, con le sue tradizioni. Lì sono in larga maggioranza cristiani, e lo hanno accolto bardati di piume, come è nella loro tradizione. Un evidente segno di relazione profonda con l’ambiente, con la “natura”, che dice molto del senso di questo viaggio, contro la disumanizzazione e la distruzione del creato.

Papua Nuova Guinea, che esporta molte ricchezze, teme molto però l’innalzamento dei mari, un timore che cominciamo a capire con le frequenti alluvioni che seguono devastanti periodi di siccità. Questi temi, ri-umanizzazione e ambiente, sono dunque le cifre con compongono il messaggio del pellegrinaggio di Francesco in queste terre per noi apparentemente lontane nel mondo, ma che la globalizzazione, economica e telematica, rimpicciolisce. E le ricchezze di quelle terre lontane sono a noi molto più vicine di quanto si ritenga. Francesco ha chiesto che i ricavi siano più equamente distribuiti tra tutti, e tra tutti in Papua Nuova Guinea vuol dire anche tra gli 800 gruppi etnici con altrettante lingue che costituiscono un mosaico che va tutelato, preservato, custodito: come una vera ricchezza. Una verità che solo pensandoci appare evidente.

L’unità nelle diversità, l’incontro, è un tema così interno al pontificato, che questo viaggio, qui da noi abbastanza trascurato per la difficoltà a rapportarci a realtà così poco conosciute, si capisce forse  come viaggio pre-sinodale. Infatti colpisce che una delegata della Papua Nuova Guinea al sinodo sulla sinodalità di ottobre sia intervenuta all’incontro di ieri con Francesco, affermando che lei dubita che si riesca a dar forma a una Chiesa davvero sinodale, cioè non più clericale, ma aperta  al contributo di pari rilevanza dei fedeli e delle fedeli, laici e laiche. Che questa voce sia giunta da queste terre che noi abbiamo difficoltà anche a cercare sulla cartina, dice molto.

Come dice molto una frase di Francesco, pronunciata appena giunto nella seconda tappa del suo viaggio – per noi – ai confini del mondo. Il papa era evidentemente felice di trovarsi tra rituali così diversi, si potrebbe dire “esotici”, infatti ha indossato con evidente compiacimento un altro copricapo “pennuto”, quello tipico dell’isola di Vanimo, con piume arancioni! Ma siccome l’inculturazione, l’assunzione nella realtà cattolica di tutto ciò che il cattolicesimo esprime nel mondo e con il mondo nelle diverse tradizioni e realtà culturali, porta alla sostanza di questo pellegrinaggio, la ri-umanizzazione e la difesa del creato, Bergoglio, rivolgendosi alle autorità papuane, ha detto: “A tutti coloro che si professano cristiani – la grande maggioranza del vostro popolo – auspico vivamente che la fede non si riduca mai all’osservanza di riti e precetti, ma che consista nell’amare Gesù Cristo e seguirlo, e che possa farsi cultura vissuta, ispirando le menti e le azioni e diventando un faro di luce che illumina la rotta. In questo modo la fede potrà aiutare anche la società nel suo insieme a crescere e a individuare buone ed efficaci soluzioni alle sue grandi sfide”. Questo discorso evidentemente vale ovunque, a differenza di quello di quel cardinale che lo criticò, che evidentemente vale solo per gli uomini che si adornano il capo di piume, ma non per chi adorna il capo con un cappello a tre punte.

All’Angelus il papa è tornato sulla cifra che compone il messaggio di questo suo viaggio apostolico: “Pace, pace per le Nazioni e anche per il creato. No al riarmo e allo sfruttamento della casa comune! Sì all’incontro tra i popoli e le culture, sì all’armonia dell’uomo con le creature!”. La saldatura tra disumanizzazione dell’altro e difesa della casa comune è dunque la scelta che unisce o divide, che determina. Nelle ore correnti è chiaramente riferito a quella vasta regione scossa da tanti conflitti, etnici in particolare. Ma si adatta alla perfezione anche al nostro emisfero, al nostro contesto, in un mondo globalizzato soprattutto dalle due questioni che pone Bergoglio: disumanizzazione dell’altro e sfruttamento selvaggio del creato oppure umanizzazione e difesa della casa comune? Nell’omelia domenicale, commentando il brano evangelico sulla guarigione del sordomuto, che viveva lontano e isolato, Bergoglio ha detto: “Quando infatti ci sentiamo lontani, oppure scegliamo di tenerci a distanza – a distanza da Dio, a distanza dai fratelli, a distanza da chi è diverso da noi – allora ci chiudiamo, ci barrichiamo in noi stessi e finiamo per ruotare solo intorno al nostro io, sordi alla Parola di Dio e al grido del prossimo e perciò incapaci di parlare con Dio e col prossimo”.

Forse il punto posto in questo viaggio dal messaggio chiarissimo può essere presentato anche così: sordomuti o comunicanti?



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