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Perché il premierato serve all’Italia. Sterpa legge la riforma (oltre le ideologie)

La riforma del premierato proposta da questo esecutivo intende restituire centralità al voto espresso dai cittadini, togliendo peraltro alibi alla maggioranza che si formerà. Dalla sinistra non sono arrivate proposte alternative, ma solo contrapposizioni ideologiche. La stabilità dei governi fa bene sia internamente, perché permette di portare avanti misure di lungo respiro, sia sul piano estero. Un pericolo per la democrazia? Posizione inaccettabile. Conversazione con il costituzionalista Alessandro Sterpa

Alla base c’è l’idea di dare un contributo a un dibattito che ha visto, ancora una volta, contrapporsi chiusure ideologiche totali. Alla fine della lettura di Premierato all’italiana. Le ragioni di una riforma costituzionale (Utet) – dedicato a un gigante del costituzionalismo italiano, Beniamino Caravita – , ci si rende conto che il tentativo di questo governo di modificare una parte dell’assetto istituzionale del Paese, rappresenta prima di tutto la volontà di “dargli stabilità, sia internamente che sul piano internazionale. Non si può aver paura del giudizio degli elettori”. Alessandro Sterpa, costituzionalista di vaglia, professore di diritto pubblico all’università della Tuscia per storia personale e professionale è insospettabile di simpatie di destra. Eppure, nel merito, e con argomentazioni in punta di diritto – che in filigrana sono anche molto politiche – dà un giudizio complessivamente positivo alla proposta avanzata dal governo Meloni per bocca della ministra Maria Elisabetta Alberti Casellati. L’autore, con Formiche.net, ripercorre le ragioni che l’hanno indotto a scrivere questo libro su una delle riforme in assoluto più discusse.

Da una prima lettura e da una serie di passaggi che lei cita nel libro – a partire dal “caso Prodi”, dicembre 1995 – sembra che di riforme costituzionali in questo Paese non se ne possano fare. Cosa può cambiare ora?

Deve cambiare l’approccio. Proprio in virtù di tutti i tentativi falliti, molti dei quali peraltro partiti e maturati in seno a forze di sinistra, che fino a ora sono abortiti. Questo libro vuole essere un tentativo di lettura della proposta avanzata dall’esecutivo, senza gangli ideologici.

L’hanno detto in tanti e praticato in pochi. Come valuta, nel merito, l’impianto della proposta?

È una proposta che regge. Ha qualche elemento di perfettibilità, ma può funzionare. E soprattutto è inutile parlare di rischi per l’impianto democratico. Le prerogative del nostro assetto sono completamente rispettate. Tra l’altro le opposizioni fino a ora non hanno elaborato una proposta alternativa. Sono arrivate principalmente critiche pregiudiziali.

Molte di esse riguardano i poteri del Presidente della Repubblica che, secondo molti a sinistra, sarebbero compresse. Lei come la vede su questo punto?

In questi anni ci siamo abituati a una forte presenza del Presidente della Repubblica sulla scena politica. E ben vengano presidenti straordinari come Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella. Ma le rielezioni sono state anomalie sotto il profilo puramente politico. Significa che qualcosa non funziona. E quando qualcosa politicamente non funziona, occorre l’intervento del Capo dello Stato. A mio modo di vedere in questi anni ci siamo abituati ad “affidare” la stabilità del Paese al Presidente della Repubblica. In realtà, però, è il governo che la deve garantire.

Tra gli intendimenti della riforma del premierato c’è proprio questo. 

Sì. Ed è un bene. Sono i governi che devono essere stabili, anche per riconquistare credibilità agli occhi dei nostri partner internazionali. La stabilità fa bene sia internamente, perché permette a un esecutivo di portare avanti misure di lungo respiro, sia sul piano estero. Senza contare che si tolgono molti alibi alla maggioranza: una volta votata, poi le promesse contenute nel programma le deve portare avanti.

Per cui non è il caso di parlare di deriva autoritaria, insomma?

È una posizione inaccettabile. Si tratta solo, come ripeto, di cambiare l’approccio culturale a questo tipo di tematiche. Tanto più che se la Costituzione diventa un tema “di parte” diminuisce il suo valore. Questa riforma vuole restituire importanza al voto espresso dagli elettori. E in un Paese democratico, non si può temerne il giudizio.


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