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Perché la politica continuerà a subire le incursioni della magistratura. Scrive Cangini

Orsina sulla Stampa ha sollevato un problema, Toti, che da quel problema fu travolto, ha indicato una strada sul Giornale. È ragionevole immaginare che tra trent’anni saremo ancora qui a scrivere le stesse cose commentando fatti analoghi. Non sembra, infatti, che il ceto politico abbia la forza e forse anche nemmeno la voglia di metter mano al problema. Il commento di Andrea Cangini

Due editoriali insolitamente speculari, come se l’uno fosse il necessario pendant dell’altro. A leggere i giornali, questa mattina balzava agli occhi la straordinaria sintonia tra quanto ha scritto sulla prima pagina della Stampa il politologo Giovanni Orsina e quanto ha sostenuto l’ex governatore della Liguria Giovanni Toti sulla prima pagina del Giornale.

“Quello che Matteo Salvini sta subendo sulla vicenda open Arms è un processo politico”: comincia così il ragionamento di Orsina. È un processo politico perché politico è stato il voto con cui il 30 luglio del 2020, contro il parere della Giunta per le autorizzazioni a procedere, l’aula del Senato ha dato il via libera all’azione giudiziaria della procura di Palermo ai danni dell’allora ministro all’Interno. Ma, prosegue Orsina, è un processo politico anche perché politiche risuonano le tesi dell’accusa e politiche sono e saranno le conseguenze della richiesta di sei anni di reclusione avanzata dal pm palermitano. “La natura politica del conflitto è talmente evidente che negarla o scandalizzarsene appare ancora più ipocrita del solito… Se si arrivasse a una condanna ne risulterebbe compresso il campo della discrezionalità politica e, di conseguenza, ampliato lo spazio di sorveglianza del potere giudiziario”, osserva il politologo.

Orsina parla di “autolesionismo di una politica miope” che da Mani Pulite in poi non è riuscita a riequilibrare a proprio vantaggio il rapporto con l’ordine giudiziario. Ovvio e legittimo, scrive, che a fronte di accuse politiche, “il governo politicizzi il processo Salvini”. Non è questo lo scandalo. “Semmai – conclude Orsina – lo scandalo è che la destra di governo faccia il suo mestiere a fasi alterne: che su un caso sconcertante come quello di Toti sia scesa in campo col freno a mano tirato… Che, insomma, non abbia ancora deciso se preferisce ripristinare la politica o continuare a giocare con l’antipolitica”.

Escludendo che l’uno fosse consapevole di quanto avrebbe scritto l’altro o che, addirittura, i due si fossero messi d’accordo, ecco Toti schiacciare dalle colonne del Giornale la palla alzatagli da Orsina dalle colonne della Stampa. Toti esordisce citando tre casi: il processo a Salvini per la vicenda Open Arms, l’inchiesta genovese che lo ha obbligato alle dimissioni da governatore della Liguria pur di riottenere la libertà che i giudici gli avevano negato, l’inchiesta milanese, poi finita in nulla, ai danni del governatore della Lombardia Fontana, accusato di oscuri traffici nell’acquisto di materiale sanitario ai tempi del Covid. Inchieste, scrive Toti, accolte dal ceto politico con la consueta litania circa la “fiducia nella magistratura” e la dichiarata certezza che “gli accusati sapranno dimostrare la propria innocenza nel processo”.

Ma il danno è ormai fatto, perché “quando le singole vicende arrivano in aula per il processo, o anche quando non ci arrivano proprio, la giustizia ha già dettato l’agenda, ha già invaso il campo della politica”. Segue atto d’accusa: “Non basta aver fiducia nella magistratura, come recita il mantra. Perché vi sia realmente un equilibrio tra i poteri occorre che certe inchieste, certi processi, non si facciano proprio. Occorrono regole che tutelino il perimetro del campo da gioco della politica dalle intromissioni. Occorrono norme che non siano liberamente interpretabili, ma totalmente invalicabili…”. L’editoriale di Giovanni Toti si conclude con un estremo appello: “È indispensabile che il Parlamento metta mano ad una ristrutturazione legislativa che cancelli tante delle norme approvate nel passato che hanno reso il sistema giudiziario arbitro morale delle scelte di chi governa lo Stato, una Regione, un Comune, su mandato dei cittadini”.

Orsina ha sollevato un problema, Toti, che da quel problema fu travolto, ha indicato una strada. È ragionevole immaginare che tra trent’anni saremo ancora qui a scrivere le stesse cose commentando fatti analoghi. Non sembra, infatti, che il ceto politico abbia la forza e forse anche nemmeno la voglia di metter mano al problema. Come in un eterno déjà-vu, continuerà, dunque, ad oscillare tra garantismo e giustizialismo, tra politica ed antipolitica.


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