Il ceo Del Fante, ascoltato in audizione alla Camera, rivendica l’ottimo passo di marcia nella riqualificazione degli uffici. Ma sulla scadenza della concessione del servizio universale avverte: l’azienda deve stare sul mercato
Poste brucia i tempi sul progetto Polis, che prevede la riqualificazione di preesistenti uffici per ospitare lo sportello unico, che eroga al pubblico i servizi della Pubblica Amministrazione, incentivandone la fruizione in modalità digitale. Ad aggiornare la tabella di marcia è stato direttamente il ceo di Poste, Matteo Del Fante, ascoltato in audizione alla Camera. “Ci fa piacere raccontare come oggi ci sono 2.896 interventi avviati con più di 2.198 conclusi, e che questo traguardo è stato raggiunto con 5 mesi di anticipo sulla milestone del 2024”. A questo punto l’obiettivo finale, che riguarda la riqualificazione di 7 mila uffici, è a portata di mano. Il progetto ha l’obiettivo di concludere interventi in 7 mila uffici.
L’attenzione del manager fiorentino che guida Poste dal 2017 si è poi focalizzata sul servizio universale, ovvero i recapiti, ancora il core business del gruppo. E qui c’è una scadenza di cui necessariamente bisognerà tenere conto. “Il contratto di programma scade il 31 dicembre di quest’anno, ci sarà una rinegoziazione, una proroga, ma il tema vero è che il 30 aprile del 2026 scade la concessione a monte, sotto la quale si sono inseriti di 5 anni in 5 anni i contratti di programma. Quindi sarà una proroga di 16 mesi e verosimilmente in 16 mesi abbiamo daremo il nostro contributo, quando richiesto, al ministero del Made in Italy, che probabilmente espleterà una procedura di gara per vedere chi sono i soggetti disposti a operare il servizio universale”, ha chiarito Del Fante.
Il quale ha messo in guardia sul fatto che il servizio universale sia sotto remunerato e il rischio è che Poste non riesca ad espletarlo perché troppo oneroso. “Il cda sarà sovrano ma non potrà non tenere conto del fatto che, come già il mio predecessore (Francesco Caio, ndr) diceva 10 anni fa, nessun operatore di mercato avrebbe firmato il contratto di servizio universale perché i soldi che arrivano agli uffici postali sono una frazione dei costi che nascono dagli impegni che l’azienda deve tenere per il servizio universale”.
Secondo Del Fante “quando l’azienda ha una percentuale inferiore al 10% negli uffici postali, dovuti al servizio universale, meno del 10 stiamo andando verso il 5%, il 95% sono attività di mercato, e quando quell’azienda per fare il 5% di attività ha oneri che sono un multiplo di quello che remunera lo Stato, noi siamo strutturalmente sotto-compensati da 10 anni per il servizio che facciamo. Quindi il rischio che il tema diventi serio c’è perché Poste può non essere interessata a svolgere quel servizio, è un rischio reale. C’è un precedente in Europa di un paese che ha abolito il servizio universale”.
D’altronde, “il servizio universale è un servizio che lo Stato deve difendere ma credo che ci siano altri diritti digitali per un cittadino oggi più importanti. Se l’azienda dovesse rimanere sui suoi servizi storici, va benissimo, allora vuol dire che è un’azienda che invece di 130mila dipendenti ne riguarda circa la metà e poi ci facciamo un programma di dismissione e in capo a 10 anni Poste sostanzialmente non esiste più o quasi. Rimane il risparmio postale, che è importante. Quindi se la scelta dell’azionista è di tenere l’azienda e di puntarci, perché dobbiamo permettere all’azienda di stare sul mercato”.