Un po’ come nel Dragone, dove la Pboc sta cercando di scongiurare una crisi del debito sovrano, in Russia la vigilanza continua ad alzare i tassi, ignorando che la corsa dei prezzi è figlia della forsennata corsa agli armamenti
Un po’ come in Cina, anche in Russia la Banca centrale sta cercando di governare un’economia sempre più in difficoltà, sempre più a pezzi e tenuta in piedi dalla sola industria bellica. Produrre carri armati e munizioni sta costando al Cremlino l’ennesima spirare inflattiva, con un rincaro generalizzato dei prezzi. Il che impone alla Bank of Russia di portare i tassi verso nuove, inesplorate, frontiere. Un sondaggio condotto da Reuters tra gli analisti racconta come la banca centrale russa dovrebbe aumentare il tasso di interesse di riferimento di 100 punti base al 19% nella riunione del 13 settembre per combattere l’inflazione e raffreddare l’economia surriscaldata.
Insomma, denaro sempre più caro, con inevitabili conseguenze per le famiglie, che difficilmente riusciranno a mantenersi al passo con i mutui. Le previsioni degli analisti intervistati suggerivano che l’inflazione annuale avrebbe chiuso il 2024 al 7%, in calo rispetto all’attuale tasso del 9,1% ma leggermente in aumento rispetto alla previsione del sondaggio precedente del 6,9%. Di qui, una decisione che avrà un impatto non da poco sull’economia reale e che dimostra una cosa: la Russia ormai è aggrappata alle decisioni di politica monetaria per tenere a bada i prezzi. Ma senza risolvere il vero problema: comprendere che un’economia non può basarsi solo sull’industria bellica.
Qualcosa di già visto in Cina, come raccontato da Formiche.net. Dove, anche se qui il problema è la gestione del debito, la vera mossa, quella vincente, sarebbe rimettere in moto l’economia, tornare a far carburare i consumi. I cinesi tornerebbero a spendere e le banche a fare credito, guadagnando. Come ha fatto notare l’economista del Carnegie, Michael Pettis, “per gran parte del 2024 i mercati hanno spinto al rialzo i prezzi delle obbligazioni poiché le banche e gli investitori hanno acquistato in modo aggressivo titoli di Stato a lungo termine. Dopodiché le autorità di regolamentazione sono intervenute con una combinazione di misure per riportare al ribasso i prezzi dei titoli. Queste misure sono state abbastanza eterodosse”.
Tuttavia, secondo l’economista, “i regolatori stanno cercando di risolvere un problema ma senza affrontare in alcun modo il problema di fondo stesso: il rallentamento dell’economia, che sta spingendo le famiglie a tagliare la spesa e allo stesso tempo a limitare ciò che desiderano. Perché, sfortunatamente, in un’economia in rallentamento, le banche non hanno altra scelta se non quella di investire in asset a basso rischio e ad alto rendimento, come i bond. La soluzione migliore, insomma, sarebbe un rilancio dell’economia che crei nuova domanda di prestiti. In tal caso, le banche avrebbero meno necessità di investire in titoli”.