Le tensioni tra Etiopia e Somalia crescono a livelli estremi. Il rischio di una guerra nel Corno d’Africa è tangibile, e questo creerebbe ulteriore destabilizzazione nell’Indo Mediterraneo. Riboua (Hudson) descrive la situazione, spiegando che gli attori anti-occidentali potrebbero approfittarne. Mentre la Turchia prova la complessa mediazione
La crisi tra Somalia ed Etiopia si inserisce in un contesto geopolitico più ampio, caratterizzato dalla competizione tra grandi potenze per influenzare il Corno d’Africa, ossia della regione del chokepoint indo-mediterraneo di Bab el Mandeb, l’area dove si muovono le rotte geoeconomiche tra Europa e Asia, già destabilizzato dagli attacchi degli Houthi contro i navigli commerciali (connessi alla guerra israeliana nella Striscia di Gaza, agli interessi del gruppo yemenita, all’opportunismo tattico dei dante causa che si sovrappone alle letture strategiche riguardo l’evoluzione della globalizzazione).
Zineb Riboua, Program Manager del Center for Peace and Security in the Middle East dell’Hudson Institute, spiega a Formiche.net che “dobbiamo tenere presente il quadro generale: Russia, Cina e Iran stanno attivamente cercando di espandere la loro influenza nel Nord Africa, nel Sahel e nel Corno d’Africa, poiché queste regioni sono considerate parte dei ‘vicinati meridionali’ (in Italia lo chiamiamo anche “Fronte Sud”, ndr) della Nato”. Questi attori, attraverso il loro coinvolgimento diretto o indiretto, stanno cercando di contrastare l’influenza degli Stati Uniti e dei loro alleati in queste aree strategiche, stanno proponendo il loro modello per la governance dell’ordine internazionale e stanno cercando spazi per implementare i loro interessi. Serve anche questa lente per decifrare le dinamiche locali tra Somalia ed Etiopia, che riflettono anche gli interessi globali, con potenze come Iran e Russia pronte a sfruttare le tensioni per destabilizzare ulteriormente la regione e minare l’ordine – considerato avverso e narrato come erratamente occidente-centrico.
La relazione tra Etiopia e Somalia è storicamente conflittuale, ma recentemente è peggiorata a causa dell’accordo firmato dal primo ministro etiope, Abiy Ahmed, con il Somaliland, che prevede il riconoscimento dell’indipendenza di quest’ultimo dalla Somalia in cambio dell’accesso alle acque dell’Indo Mediterraneo dell’Etiopia. Per Addis Abeba è una questione “esistenziale”: ha perso il mare con l’indipendenza dell’Eritrea e ora cerca uno sbocco strategico, da garantire a un Paese con una popolazione in rapida crescita, che attualmente conta 125 milioni di abitanti, e che – prima della guerra del Tigray di questi ultimi anni – era proiettato a essere un leader economico e democratico-istituzionale, un riferimento per il continente . Per comprendere le necessità di Abiy Ahmed basta un dato: il 95% del commercio estero etiope passa dal porto di Gibuti, a cui Addis Abeba paga una parcella da 1,5 miliardi di dollari l’anno per la gestione del traffico marittimo. È un’evidente questione di sicurezza economica quella che sta dietro al memorandum di intesa firmato con il Somaliland a inizio anno.
L’obiettivo etiope è rendere il Paese meno vulnerabile a restrizioni commerciali e costi logistici elevati. Anche per questo l’intesa si porta dietro un attore privato di primissimo ordine, la DP World emiratina, società leader globale della logistica portuale, che potrà fornire all’Etiopia servizi a costi migliori. Assicurare un accesso diretto al mare attraverso il porto di Berbera in Somaliland, è cruciale per la sopravvivenza economica, e politica, di Abiy Ahmed, che conosce i rischi, ma decide che possano essere superati dall’interesse nazionale. Il Somaliland è infatti una regione autonoma della Somalia, situata nel nord-ovest del paese, che si è autoproclamata indipendente nel 1991 dopo il collasso del governo centrale somalo. Tuttavia, la sua indipendenza non è riconosciuta a livello internazionale, e pertanto il Somaliland è considerato de iure parte della Somalia, pur avendo un proprio governo, parlamento, esercito e sistema economico e qualche relazione commerciale di comodo (come con alcuni Paesi del Golfo, interessati a importazioni zootecniche).
La mossa di Abiy Ahmed è stata disconosciuta da Stati Uniti, Ue e Unione africana, che hanno ribadito la necessità di rispettare l’integrità e la sovranità territoriale somale. L’Egitto ha addirittura annunciato di essere pronto a difendere i diritti di Mogadiscio anche militarmente. Riconoscendone l’indipendenza del Somaliland, come contropartita politica alle necessità geopolitiche e geoeconomiche etiopiche, per Mogadiscio significa “superare una linea rossa”, spiega Riboua. Perché? “La Somalia considera il Somaliland una minaccia alla propria sicurezza nazionale e non ritiene legittima la sua secessione”.
A fine agosto, la situazione ha assunto un’ulteriore complicazione, con l’Egitto che ha inviato due C-130 carichi di armamenti alla Somalia – il primo aiuto militare dall’Egitto al Paese del Corno d’Africa in più di quattro decenni. Più recentemente ci sono stati altri movimenti militari, frutto di un accordo di cooperazione Cairo-Mogadiscio. Cosa c’è dietro? “Il sostegno dell’Egitto alla Somalia è frutto di un importante accordo di sicurezza, ma il coinvolgimento egiziano si spiega anche con la controversia con l’Etiopia riguardo alla costruzione della Grande Diga del Rinascimento (GERD) sul Nilo”, risponde Riboua citando la diga che potrebbe bloccare parte degli afflussi idrici del Nilo Blu che arrivano sul territorio egiziano, perché le acque verranno utilizzate nell’impianto idroelettrico che secondi i piani dell’Etiopia apporterà un aumento sostanziale dell’aliquota di corrente elettrica distribuita nel Paese. Per Abiy Ahmed anche questo progetto ha carattere “esistenziale”, se si considera il valore che l’elettricità può avere per lo sviluppo del sistema economico-industriale e socio-culturale di una nazione; tradotto in sintesi, sul miglioramento della prosperità e della qualità della vita. Altrettanto, da secoli le acque del Nilo sono frutto di prosperità (e unicità sacra) per l’Egitto.
L’importanza, e le conseguenti complessità, delle questioni sul tavolo spiegano la delicatezza della situazione. Il rischio di un conflitto è tangibile come mai in questi anni, dove le tensioni (tra le guerra contro i tigrini, le liti per la GERD, il caos in Sudan e l’avanzata di gruppi terroristici locali) non sono mai mancate. La concreta possibilità di un conflitto aperto tra Somalia ed Etiopia è aumentata significativamente negli ultimi giorni, a causa di una serie di segnali e dichiarazioni che hanno intensificato le tensioni. Il ministro degli Esteri somalo, Ahmed Moalim Fiqi, ha per esempio dichiarato che la Somalia potrebbe sostenere i ribelli etno-nazionalisti in Etiopia se il governo di Addis Abeba proseguirà nell’accordo con il Somaliland; accordo che Abiy Ahmed dice di essere disposto a difendere anche con la forza. L’Etiopia, nel frattempo, ha preso il controllo di aeroporti strategici nella regione di Gedo, in Somalia, per prevenire il dispiegamento di truppe egiziane che dovrebbero sostituire le forze etiopi nel contesto del nuovo accordo di sicurezza tra Somalia ed Egitto. Per Addis Abeba l’invio di 5.000 soldati egiziani in Somalia va letta anche nell’ambito di quelle tensioni sulla GERD. Mogadiscio ha anche mobilitato forze speciali, incluse unità d’élite addestrate dalla Turchia, nella regione di South West State, alimentando il rischio di scontri con le forze etiopi o con i governi regionali filo-etiopi.
Mentre gli attori internazionali che capitalizzano dal caos potrebbero approfittarne per portare avanti i propri interessi, le poche possibilità reali di mediazione sono in mano alla Turchia – che gode di rapporti sia con la Somalia che con l’Etiopia. In questo contesto, Ankara sembra essere nella posizione ideale per svolgere un ruolo negoziale. Come spiega Riboua, “la Turchia è ben posizionata. Ha un’eccellente relazione politica ed economica con l’Etiopia e una relazione storica e militare con la Somalia. Potrebbe svolgere il ruolo di mediatore costruttivo e prendere l’iniziativa. Tuttavia, dati i costi e i rischi connessi, non credo che siano propensi a impegnarsi attivamente”. Gli incontri di mediazione condotti dalla Turchia, noti come il “Processo di Ankara”, sono stati comunque recentemente sospesi a tempo indeterminato. La terza fase di negoziati, inizialmente prevista per il 2 settembre e poi rinviata al 17 settembre, è stata annullata senza una nuova data stabilita. La dichiarazione del ministro degli Esteri somalo sul sostegno ai gruppi ribelli etiopi è stata la fatidica goccia – o l’opportunità per far saltare il tavolo. Per la Turchia, una mediazione della crisi nel Corno d’Africa sarebbe un successo diplomatico sia per l’Ankara Consensus in Africa, sia nell’ottica più ampia di caratterizzare il Paese come attore internazionale.