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Perché la Turchia cerca la mediazione tra Etiopia e Somalia

La mediazione tra Etiopia e Somalia potrebbe portare la Turchia in vantaggio strategico in una regione, il Corno d’Africa, cruciale anche per l’Indo Mediterraneo e per gli interessi italiani connessi al Piano Mattei

Il secondo round di colloqui indiretti, mediati dalla Turchia, tra Somalia ed Etiopia si è concluso nei giorni scorsi senza un accordo definitivo, lasciando in sospeso una questione diplomatica cruciale per la stabilità del Corno d’Africa. Ma ci sono buone opportunità per il futuro, e la Turchia ha un ruolo nel permettere la concretizzazione di queste – mediando un accordo diplomatico che aumenterebbe il valore del cosiddetto “Ankara Consensus” in Africa.

Le tensioni tra i due Paesi africani si erano intensificate a gennaio, quando l’Etiopia aveva siglato un controverso accordo portuale con il Somaliland, una regione autoproclamata indipendente dalla Somalia. L’accordo prevede che l’Etiopia, priva di sbocchi sul mare, affitti 20 km di costa dal Somaliland in cambio del riconoscimento dell’indipendenza della regione, un’intesa che Mogadiscio ha interpretato come una grave violazione della propria integrità territoriale. Successivamente, a marzo, era stata la Somalia a sottoscrivere un accordo con per la sicurezza marittima con la Turchia.

Ankara, che mira a espandere la sua influenza nel Corno d’Africa attraverso solidi legami commerciali e di difesa con entrambe le nazioni, è stata invitata a intervenire dal primo ministro etiope Abiy Ahmed. Ma durante una conversazione telefonica con il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan, l’omologo somalo, Hassan Sheikh Mohamud, ha riaffermato la disponibilità della Somalia a “collaborare economicamente e a favorire lo sviluppo con l’Etiopia”, precisando che “tali partnership devono sempre rispettare la sovranità, l’unità e l’integrità territoriale della Somalia, conformandosi al diritto internazionale”.

Anche il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha incontrato ad Ankara i ministri degli Esteri di Somalia ed Etiopia, Ahmed Moallim Fiqi e Taye Atske Selassie, il 13 agosto. In una conferenza stampa successiva, Fidan ha sottolineato che si è registrata una “convergenza su alcuni principi chiave”, lasciando sperare in un possibile progresso nei prossimi mesi.

Fidan ha proposto un accordo che garantirebbe all’Etiopia l’accesso al mare tramite la Somalia, in cambio del riconoscimento dell’integrità territoriale e della sovranità politica somala. Un terzo round di colloqui è programmato per il 17 settembre e c’è speranza che possa essere quello decisivo. La Turchia si farebbe garante di questa intesa, rafforzando la sua posizione diplomatica sulla scena globale proprio mentre manifesta la volontà di essere inserita nel sistema Brics (dopo anni di mediazione, fallita, per entrare nell’Ue e da secondo esercito per quantità della Nato).

La stabilizzazione di quella che è la più complessa delle tensioni presenti nel Corno d’Africa potrebbe portare Ankara in vantaggio sulla regione, rivendicando anche un ruolo nell’Indo-Mediterraneo. Gli equilibri dell’area di interconnessione tra Mediterraneo Allargato e Indo Pacifico sono infatti dipendenti anche dalla stabilità del Corno, come spiegava su queste colonne Vas Shenoy. Il prolungamento geomorfologico africano chiude il chokepoint di Bab-el-Mandeb da cui passa la connettività Europa-Asia che risale il Mar Rosso verso Suez. Punto nevralgico della geoeconomia globale, destabilizzato nell’ultimo anno dagli attacchi degli Houthi.

Dato che l’IndoMed è un diretto bacino di proiezione geostrategica dell’Italia, tali dinamiche sono di primo interesse per Roma. Ma le evoluzioni diplomatiche e le crescenti influenze regionali della Turchia sono anche un elemento di consapevolezza che l’Italia deve considerare nel contesto del cosiddetto “Piano Mattei”. Sarà infatti cruciale per Roma monitorare da vicino le iniziative turche in Africa, comprendendo le dinamiche in evoluzione e identificando aree di possibile cooperazione o competizione. Come su altri dossier – su tutti la Libia – la decisione di collaborare o competere dovrà essere basata su una valutazione strategica delle opportunità e delle minacce presenti.


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