L’opinione del generale della Guardia di Finanza in congedo Alessandro Butticé, primo militare in servizio presso le istituzioni europee e dirigente emerito della Commissione europea
Il panorama culturale e sociale italiano è spesso animato da figure che riescono a polarizzare l’opinione pubblica attraverso iniziative controverse. Tra queste, il generale Roberto Vannacci, salito agli onori delle cronache per le sue esternazioni e pubblicazioni da alto ufficiale dell’Esercito ancora in servizio. Dall’agosto 2023, immediatamente dopo la pubblicazione del suo libro “Il mondo al contrario”, ho espresso la mia personale opinione in 3 articoli su Formiche.net, il 22 ed il 29 agosto 2023 (“Io, generale in congedo, sto col ministro Crosetto, e spiego perché”, e “Vannacci, la libertà di pensiero non è diritto all’impunità”) e il 29 febbraio 2024 (Cosa racconta la sanzione disciplinare al generale Vannacci).
Ora, mentre sembra profilarsi una seconda inchiesta disciplinare per il suo secondo libro “Il coraggio vince”, dove tratta di argomenti che, ai sensi del Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare (Tuom), sarebbero soggetti ad autorizzazione dello Stato Maggiore, se non a riservatezza, mi è stato chiesto da diversi lettori un’analisi aggiornata dell’impatto della sua figura e delle sue azioni nei confronti delle Forze Armate.
La popolarità di Vannacci deriva dal suo essere generale dell’Esercito
La carriera letteraria di Vannacci non è stata accolta con unanime entusiasmo, anche se, come avevo previsto nel mio primo articolo, gli è valsa l’elezione al Parlamento europeo. Con ben oltre 500 mila preferenze, che non è poca cosa. Sollevando però un polverone mediatico che ha visto molti critici, me compreso, sottolineare l’inappropriato collegamento tra il suo percorso politico personale e l’istituzione militaria che rappresenta. Partendo dal dato di fatto che quelle che lo stesso Vannacci ha definito «banalità», e sono state riportate nel suo primo libro, hanno avuto grande rilievo mediatico, valendogli l’elezione, unicamente perché scritte e dette da un alto grado dell’Esercito ancora in servizio. Mentre non avrebbero avuto lo stesso rilievo se fossero state proferite da un qualunque signor Rossi.
E questo perché l’Esercito italiano, come ogni altra forza armata della Repubblica, ha sinora rappresentato un baluardo di neutralità e indipendenza politica, a protezione di tutti i cittadini, e non solo di quelli che il generale in servizio Roberto Vannacci considera «normali». Oltre che di volano di unità, e non contrapposizione, nazionale.
Il ministro della Difesa Crosetto ha sorpreso Vannacci
Vannacci non ha dato l’impressione, almeno a chi scrive, di preoccuparsi di questa delicata funzione di garanzia e unità, come dimostrano diverse sue pubbliche affermazioni impregnate da un linguaggio politicamente incendiario e polarizzante, nella sostanza, ancorché ammantato da una forma vellutata. Pubbliche esternazioni che non sono piaciute al ministero della Difesa, diretto dal ministro Guido Crosetto. Dal quale Vannacci sarà rimasto probabilmente sorpreso. In quanto, dopo che le procedure di valutazione gli avevano precluso la possibilità di essere promosso in servizio al grado superiore di generale di Corpo d’Armata, con la pubblicazione del libro “Il mondo al contrario”, dove ha utilizzato un linguaggio che poteva immaginare essere gradito al partito del suo ministro, FdI, si sarebbe forse atteso, se non l’agognata promozione, od un encomio, almeno una pacca sulla spalla. Non certo l’apertura di una procedura disciplinare a suo carico.
Ma Guido Crosetto, sorprendendolo, ha agito da ministro della Difesa di tutti gli italiani, e non da semplice uomo di partito. Rimproverando a Vannacci di non aver agito come alto rappresentante delle Forze Armate della Repubblica italiana. Con modi da Rambo che, come tutti sanno, nel celebre film, é un semplice soldato. Che non dispone pienamente della grammatica anche istituzionale che deve invece avere, e dimostrare, un generale in servizio in un Paese democratico e fondato sullo stato di diritto.
L’invito di Carlo Verdelli alle dimissioni dall’Esercito e la risposta di Vannacci
Carlo Verdelli, sul Corriere della Sera del 29 agosto, aveva dato un consiglio a Vannacci: «Compia uno di quei beau geste che la sua formazione contempla come eroici: si dimetta da generale e entri nell’agone politico come l’uomo qualunque che così sapientemente incarna».
Vannacci, con una lettera a sua firma pubblicata dal Corriere il 31 agosto, risponde a Verdelli che non lo farà, perché, scrive: «Non è improbabile che un giorno io possa tornare al servizio militare attivo — come fece Cincinnato tornando alle sue terre».
È vero che Vannacci, non dimettendosi dall’Esercito, e restando in aspettativa per motivi politici, ha rinunciato (per il momento) alla pensione che gli spetterebbe all’attuale età di 56 anni. Pensione che avrà comunque (e a giusto titolo) quando maturerà i previsti requisiti di anzianità. Ma è anche vero che le sue dimissioni gli eviterebbero di beneficiare della normativa prevista per l’avanzamento dei militari eletti al parlamento nazionale ed europeo. Perché Vannacci, il giorno che dovesse far ritorno in servizio attivo nell’Esercito, sia pure per un solo giorno, e magari dopo essersi reso conto che a Bruxelles non gli fanno toccare palla, potrebbe essere automaticamente promosso, per legge, al grado di generale di corpo d’armata. E questo avanzamento di grado, indipendentemente dalla funzione che potrebbe essere chiamato a ricoprire, gli comporterebbe un legittimo personale e significativo ritorno economico, anche ai fini pensionistici. Con uno scatto stipendiale, ma anche pensionistico, che, tra il grado di generale di divisione e quello di corpo d’armata, non è affatto indifferente. Oltre, ovviamente, alla sua maggiore influenza, anche sull’elettorato fatto di commilitoni, vestendo ancora l’uniforme.
Roberto Vannacci e Ilaria Salis, due facce della stessa medaglia?
L’impressione che mi ha sinora dato l’onorevole Vannacci, sperando sempre di sbagliarmi, non mi fa quindi sperare che sia disposto a rinunciare a tale possibilità, attraverso un beau geste che darebbe prova di sensibilità verso l’immagine pubblica della sua Forza Armata. Che non è composta solo dai non pochi che, bisogna dirlo, a diversi livelli gerarchici, gli hanno sinora espresso la loro solidarietà e sostegno.
Questa situazione, a mio avviso, mette in luce una discutibile dinamica che affligge parte del tessuto sociale italiano, indipendente dal colore politico, che nel mio libro «Io, l’Italia e l’Europa. Pensieri in libertà di un patriota italiano europeo» (scritto prima di sentire parlare di Vannacci, e pubblicato solo qualche settimana dopo il suo) definisco «Pulcinellopoli». Provocatoria definizione di quella parte del nostro Paese che non é l’Italia dei tanti veri eroi, la maggior parte silenziosi e della quotidianità, che hanno fatto e continuano a fare grande il nostro paese nel mondo. Ma quella, caricaturale, dove la realtà può persino superare i peggiori stereotipi. Nella quale l’elezione al Parlamento dell’indisciplinato (e per questo severamente sanzionato dallo Stato Maggiore dell’Esercito) generale Roberto Vannacci, e dell’insegnante accusata in Ungheria di essere una picchiatrice, oltre che condannata per occupazione abusiva di immobili altrui, Ilaria Salis, mutatis mutandis, e con le debite proporzioni nell’accostamento, appaiono essere due facce opposte, ma della stessa medaglia. Una medaglia che premia falsi eroi, che prosperano sull’acquiescenza di un pubblico che, in alcuni casi, come appunto quelli di Salis e Vannacci, li celebra e li eleva a simboli delle rispettive e opposte ideologie. Guelfe o Ghibelline che siano.
L’accennata continuità della carriera politica e militare cui Vannacci fa riferimento nella sua lettera, seppure legittima, perché consentitagli dalla legge, rappresenta tuttavia un esempio lampante di questa dinamica, in cui invece di essere riconosciuti per contributi positivi e costruttivi, alcuni riescono a prosperare attraverso provocazioni, polarizzazioni e conflittualità.
Perché Vannacci non dovrebbe fare come tanti magistrati?
Nominalmente, Vannacci, per giustificare le sue azioni, si appella agli esempi (a mio avviso pessimi) di alcuni magistrati. Tuttavia, paragonare la propria condotta a esempi criticabili non dovrebbe essere una difesa giustificabile all’interno delle forze armate repubblicane, che, da oltre mezzo secolo, sono un fiore all’occhiello nazionale, in Italia e nel mondo, per essersi distinte per affidabilità e professionalità, ma anche, e soprattutto, senso delle istituzioni democratiche e come entità politicamente neutrali e lontane da ogni dinamica partitica e dai dibattiti pubblici che ne conseguono.
Questa mia critica non vuole ridurre la complessità delle tematiche trattate a semplici dicotomie, ma solleva la necessità di riflettere su chi e cosa, vogliamo sostenere come società. Mentre i silenti eroi del quotidiano, all’interno delle Forze armate, delle Forze di polizia, della Magistratura, come degli altri corpi dello stato, ma anche del mondo civile, continuano a portare avanti il peso di valori come l’integrità, il rispetto delle norme (anche quelle che non piacciono, perché nella Costituzione non esiste solo l’articolo 21) e del loro servizio, è fondamentale chiederci in che misura la nostra società sia pronta a riconoscerli e a distinguerli dalle figure che generano più rumore e clamore che sostanza. Quando non, addirittura, un cattivo esempio per tanti piccoli Salis e Vannaci che crescono.
L’Italia è un Paese ricco di immense potenzialità e ricchezze, anche umane, in tutte le sue forme. Per onorare questo patrimonio, è però essenziale discernere chiaramente tra chi costruisce, con quel grammo di esempio “che vale sempre più di quintali di parole”, e chi, invece, cavalca onde di notorietà momentanee. Criticare non significa sperare in un’utopia priva di errori, ma desiderare una società nazionale giusta e consapevole delle sue scelte e delle sue voci rappresentative.
Mentre osserviamo l’evoluzione della vicenda Vannacci e il suo sviluppo nel contesto del secondo libro e della nuova inchiesta disciplinare che, secondo Repubblica, potrebbe addirittura comportargli la degradazione a soldato semplice, credo sia il momento di riflettere profondamente, e collettivamente, al di là degli interessi di parte, sul valore della coerenza morale e istituzionale. Che dovrebbe essere sostenuta dall’esempio di chi ha maggiori responsabilità. E non deve avere colore partitico. Perché costituisce un bene supremo e comune.
Magistratura e Forze Armate neutrali rispetto alle polarizzazioni politiche baluardo di libertà e democrazia
Gli italiani dovrebbero riuscire a guardare avanti, sostenendo coloro che con quel grammo di esempio sostengono il nostro Paese.
Ricordando che è nell’interesse di tutti, della destra come della sinistra o del centro, avere una magistratura veramente indipendente e neutra rispetto alla politica, che non si appropri anche del diritto di legiferare. Ma anche di continuare ad avere Forze Armate italiane che siano, ed appaino anche, davvero neutrali rispetto alla dialettica politica e baluardo di difesa della Patria e salvaguardia delle libere istituzioni. Come strumento di unione e non divisione nazionale.
Un beau geste che sarebbe atto di amore per l’Esercito
Concludo ricordando, sia ai sostenitori che agli avversari politici di Vannacci, che la Costituzione ha statuito che anche i militari sono cittadini dello Stato, nonostante fino agli anni ’60 si sosteneva il contrario. La stessa Carta però, pur artefice di questa autentica rivoluzione giuridica, riconosce che i militari sono cittadini “speciali”. Perché istituzionalmente e prioritariamente incaricati dell’unico dovere di tutti i cittadini, definito “sacro” nella Costituzione. Quello della difesa della Patria. Devono pertanto accettare forti limitazioni e doveri stringenti. La disciplina è l’elemento che distingue la species dei militari, più di tutti gli altri servitori dello stato, nel genus dei cittadini. In quest’ottica è chiaro che la normativa disciplinare debba costituire, per i militari, motivo di vanto e orgoglio. Pronti, per libera scelta, anche all’estremo sacrificio, essi si sottopongono, oggi solo volontariamente, a rigide regole comportamentali di fronte a mansioni che loro concittadini “civili” affrontano senza un’uguale etica del dovere. Senza, cioè, un’uguale disciplina. Quella stessa disciplina che il generale in servizio Vannacci, non l’onorevole, a mio modesto avviso, ma soprattutto ad avviso dello Stato Maggiore che lo ha sospeso per 11 mesi dal servizio, non ha dimostrato di avere. Con l’aggravante del cattivo esempio che, in forza del suo alto grado, ha dato a tanti suoi sottoposti.
Come detto, le dimissioni di Vannacci dall’Esercito non sono un obbligo legale. Ma costituirebbero un servizio all’Esercito, oltre che alla parte politica che ha deciso di rappresentare come eletto dal popolo. Oltre che, sempre a mio modesto avviso, alla sua immagine e credibilità. Come generale e politico.