Il vicepresidente della Commissione esteri/difesa del Senato: “L’Italia globale è vicina a Israele. L’azione del governo italiano, presidente di turno del G7, punta a impedire un’escalation su base regionale che potrebbe avere conseguenze inimmaginabili. Certamente Roma si impegnerà costantemente per un cessate il fuoco a Gaza, per la liberazione degli ostaggi israeliani e per la stabilizzazione del confine con il Libano in virtù del rispetto delle risoluzioni Onu”
L’azione del governo italiano, presidente di turno del G7, punta a impedire un’escalation su base regionale che potrebbe avere conseguenze inimmaginabili, spiega a Formiche.net il vicepresidente della Commissione esteri/difesa del Senato, Roberto Menia, nell’anniversario dell’attacco di Hamas a Israele. “Certamente Roma si impegnerà costantemente per un cessate il fuoco a Gaza, per la liberazione degli ostaggi israeliani e per la stabilizzazione del confine con il Libano in virtù del rispetto risoluzioni Onu, ma dobbiamo prendere coscienza che l’interesse dell’Italia va sempre di più oltre l’Ue per una serie di ragioni, geopolitiche, economiche, sociali, tecnologiche”. E aggiunge che il metro di valutazione che occorre per offrire soluzioni ai problemi europei dovrà essere di matrice globale. “La situazione mediorientale che dura ormai da un anno andrà affrontata con un ampio respiro per individuare soluzioni e non prosecuzione dello status quo. Vale per Gaza come per Kyiv”.
A un anno dalla brutale aggressione contro Israele, come si può fare un bilancio della fisiologica reazione di Tel Aviv da un lato e della necessità di immaginare una soluzione al conflitto dall’altro?
Immaginare una non condivisione del diritto di Israele a difendersi da un attacco così tragico e volgare non è pensabile. Invito a ripercorrere le modalità con cui è stato condotto che ci consegnano un quadro forse ancora più drammatico: costringere gli attaccati ad una reazione contro Gaza, così da impedire ogni tentativo di dialogo e così costruire un nuovo muro ideale e valoriale tra Paesi Arabi, Israele e Occidente. Il disegno di Hamas mi sembra chiaro, schermandosi dietro i diritti del popolo palestinese. Per questa ragione l’Italia è dalla parte di Israele che deve proseguire nel tenere in sicurezza i propri confini, ma riteniamo al contempo che tali azioni debbano necessariamente rientrare in una cornice fatta dal diritto internazionale umanitario. Le vittime civili innocenti non devono pagare per i calcoli disumani dei terroristi anti-israeliani che vivono solo per debellare lo Stato di Israele.
La postura filo palestinese di Paesi vicini, come la Turchia, che segnale è?
Va valutata all’interno del contesto citato poco fa, ovvero come la reazione di chi avrebbe potuto usufruire di una stagione di rinnovato dialogo avviato con gli Accordi di Abramo, mentre dal 7 ottobre dello scorso anno ha scelto la strada della contrapposizione muscolare, una circostanza che va rifiutata perché contrariamente si innescherebbe una reazione a catena in tutta la regione. L’Occidente unito non dovrà cadere in questa trappola e potrà farlo solo con due strumenti che si chiamano dialogo e dibattito. Occorre dialogare con chi non può subire vessazioni nelle piazze di tutto il mondo, come quella vergognosa di sabato scorso a Roma e riportare alla ragione e al diritto chi ha deciso di imbracciare una guerra santa contro Israele.
Quale il ruolo dell’Italia?
L’Italia globale è vicina a Israele, come dimostra tra le altre cose anche la presenza di oggi del presidente del consiglio, Giorgia Meloni, alla commemorazione in Sinagoga. L’azione del governo italiano, presidente di turno del G7, punta a impedire un’escalation su base regionale che potrebbe avere conseguenze inimmaginabili. Certamente Roma si impegnerà costantemente per un cessate il fuoco a Gaza, per la liberazione degli ostaggi israeliani e per la stabilizzazione del confine con il Libano in virtù del rispetto delle risoluzioni Onu. Aggiungo un elemento di prospettiva che si interseca con la crisi a Gaza: dobbiamo prendere coscienza che l’interesse dell’Italia va sempre di più oltre l’Ue per una serie di ragioni, geopolitiche, economiche, sociali, tecnologiche. Il metro di valutazione che dovremo avere per offrire soluzioni ai problemi europei dovrà essere, pertanto, di matrice globale. Per cui la situazione mediorientale che dura ormai da un anno andrà affrontata con un ampio respiro per individuare soluzioni e non prosecuzione dello status quo. Vale per Gaza come per Kyiv.
Il leader dell’opposizione Yair Lapid, da sempre opposto a Benjamin Netanyahu, si è schierato per l’intervento in Libano e contro Iran. Come si intreccia tutto ciò con le imminenti elezioni americane?
Significa che la sinistra israeliana, al contrario di quella presente in vari Paesi del mondo, ha finalmente compreso che è questo il momento di fare quadrato attorno al premier e difendersi da un attacco barbaro, condotto con premeditazione e al solo fine di spaccare il Medio oriente. Inoltre rappresenta una lezione per le tante sinistre tossiche che ci sono altrove, Italia inclusa, che faticano tremendamente a immaginare risposte concrete per la propria Nazione, ma preferiscono usare la clava dell’ideologia che, troppo spesso, si trasforma in antisemitismo, come dimostra l’aumento degli episodi di antisemitismo in tutto il mondo.
Perché vari fronti della sinistra italiana faticano a condannare l’antisemitismo?
Perché è un partito che non si è evoluto e che tollera al proprio interno, e in pezzi dei suoi alleati, atteggiamenti deprecabili. La piazza romana di sabato scorso lo dimostra senza alcun dubbio: ho ascoltato pochi distinguo da parte dei leader del centrosinistra, né solidarietà agli agenti delle forze dell’ordine feriti. Ciò dimostra, una volta di più, che non hanno una cultura di governo e che metterebbero a rischio, così come fatto pochi anni fa da un movimento guidato da un comico, la postura internazionale dell’Italia.