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La svolta sui tassi c’è. La Bce chiude i conti con il passato

Il board in trasferta in Slovenia sancisce la fine della fase restrittiva, con il terzo taglio consecutivo al costo del denaro. A pesare, l’andamento del petrolio, i timori della stagnazione e una traiettoria dell’inflazione più stringente del previsto. E anche la Federal Reserve è pronta a mettersi in linea

La decisione appariva scontata. E alla fine è andata proprio così. D’altronde, mercati e analisti si aspettano un taglio del costo del denaro di 25 punti base, il terzo da giugno, che ha portato così il tasso sui depositi al 3,25% e quello di riferimento al 3,45%. E non sarà l’ultima sforbiciata dell’anno. Ma di sicuro, dal board in trasferta a Lubiana, in Slovenia, è arrivato un chiaro segnale politico ai mercati: la fase restrittiva, quella dura e pura, è finita. D’altronde, a spingere il piede di Christine Lagarde sul pedale del freno, hanno pesato essenzialmente due ragioni.

Primo, la paura di un rallentamento economico nella zona euro, che con l’industria automobilistica tedesca in panne è uno scenario decisamente verosimile. Secondo, e una lettura dell’inflazione complessiva, a settembre, al di sotto del target del 2%, 1,8% per la precisione. Il livello più basso da tre anni ma, soprattutto, due decimi di punto sotto la soglia del 2% che rappresenta il target del mandato della Bce. Attenzione però, perché il ciclo espansivo è solo all’inizio. Secondo le previsioni degli esperti, infatti, Francoforte dovrebbe chiudere l’anno con un nuovo taglio a dicembre. E nuovi tagli per tutto il 2025.

Sulla decisione del board in Slovenia ha pesato anche l’andamento del petrolio, sia sul versante del Brent, sia su quello del greggio. Per quanto riguarda il primo, la scorsa settimana è arrivato a perdere quasi il 5%, nonostante le rassicurazioni di Israele sui possibili attacchi ai pozzi iraniani. Tanto però da spingere l’Eurotower verso un nuovo taglio dei tassi. Anche perché non bisogna mai dimenticare che ai confini dell’Europa ci sono due guerre, Medio Oriente e Ucraina, i cui esiti sono ancora tutti da scrivere. Questo vuol dire che l’incertezza è tanta e mantenere un’eccessiva morsa sul costo del denaro avrebbe certamente reso l’economia del Vecchio continente molto più vulnerabile.

Al punto che, di fronte a un peggioramento delle prospettive macroeconomiche, è possibile che Lagarde possa essere costretta a cambiare registro tornando a delineare una forward guidance che orienta le attese sul percorso futuro dei tassi, abbandonando la formula secondo cui la Bce deciderà meeting dopo meeting sulla base dei dati via via disponibili. E lasciando intendere, invece, che i tassi d’interesse andranno dall’attuale livello, ancora restrittivo, verso una posizione più neutrale.

E la Federal Reserve? Anche la banca centrale americana, lo scorso settembre ha azionato anch’essa il freno d’emergenza, nonostante il buon andamento dell’economia americana e un mercato del lavoro che tira. Ed è molto probabile che l’allineamento monetario con Francoforte prosegua. Non è certo un caso se Goldman Sachs ha dichiarato in queste ore di aspettarsi che la Fed degli Stati Uniti effettuerà tagli consecutivi dei tassi d’interesse di 25 punti base da novembre 2024 a giugno 2025, per un intervallo di tassi terminali del 3,25-3,5%.


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