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Chiesa sinodale, perché non ci sono più porti sicuri. Il commento di Cristiano

Passare da reale gerarchico-piramidale a struttura che recuperi la sua dimensione assembleare, che ovviamente conserva uno scheletro, cioè una gerarchia ecclesiale, ma recupera anche la dimensione carnale, quella fatta dai battezzati, laici, protagonisti nella e della vita della Chiesa. Questa la sfida al centro della seconda assemblea sinodale, sulla sinodalità. Il commento di Cristiano

La rimozione del grande nodo, il ruolo delle donne nella Chiesa, ha fatto passare in ombra la seconda assemblea sinodale sulla sinodalità, che invece merita comunque attenzione se la si riuscisse innanzitutto a capire.

Essa oscilla tra una riforma che non può essere scritta o formalizzata, quella dei cuori, e un cambiamento strutturale: passare da reale gerarchico-piramidale a struttura che recuperi la sua dimensione assembleare, che ovviamente conserva uno scheletro, cioè una gerarchia ecclesiale, ma recupera anche la dimensione carnale, quella fatta dai battezzati, laici, protagonisti nella e della vita della Chiesa.

In questo modo la Chiesa non è sarebbe più clericale, ma opera collettiva di laici e ordinati.

La sia è affascinante perché equivale a riaffermare l’unità nelle diversità, un modo di vedere il mondo che si oppone ai prevalenti nazionalismi contrapposti in blocchi di ferro. Ci si riuscirà?

Questo discorso si può capire guardando al dettaglio, la parrocchia, il suo modo di essere, orientarsi e decidere, in base alla volontà del parroco o alla discussione nell’assemblea dei fedeli e alle valutazioni dei suoi consigli, e poi a livello universale, sostituendo all’immagine tradizionale della fontana che con il suo unico zampillo d’acqua irrora tutte le terre, con quelle di tanti getti d’acqua che convergono dai lati del mondo  formando il grande bacino d’acqua.

Questa seconda immagine ci rimanda un’idea chiara: come si legge nel testo approvato, non è più possibile “un’unica comprensione della vita della Chiesa”.

Dunque, come scrive padre Antonio Spadaro -quale padre sinodale- oggi su Il Fatto Quotidiano, “non sono possibili neanche soluzioni e forme pastorali che siano uguali dovunque nel mondo”.

L’universalità della Chiesa presuppone il suo pluralismo, perché diverse sono le culture nelle quali la Chiesa vive e opera.

Usando ancora un’immagine la Chiesa sinodale si differenzia da quella gerarchico piramidale proprio come la  nuova forma liturgica si differenzia da quella vecchia.

Nella messa che si celebrava in latino, il sacerdote, dando le spalle ai fedeli e ponendosi tra loro e l’altare, celebrava la messa e indicava ai fedeli la strada che conduce a Dio.

Nel nuovo rito gli altari sono stati girati per consentire ai fedeli di celebrare insieme al sacerdote intorno alla mensa eucaristica. Ma la riforma liturgica, assembleare, non ha corrisposto a una riforma strutturale. Paolo VI avviò il cammino istituendo il sinodo, ma dovette limitarlo ai soli vescovi, organismo consultivo del Papa.

La novità c’era, ma il dato sinodale rimaneva limitato al corpo episcopale e inteso comunque come strumento consultivo e non deliberativo.

Francesco chiede alla sua Chiesa di prendere l’indirizzo sinodale, che volendo dire “camminare insieme” non può essere piramidale, univocamente gerarchico. E così del documento sinodale, usualmente ricco e stimolante, vanno riferite due novità di evidente rilievo. La prima riguarda come si prendono le decisioni nella Chiesa. Un intero capito è dedicato a questo.

E comincia così: “La presa di decisione non conclude il processo decisionale.Esso va accompagnato e seguito da pratiche di rendiconto e valutazione, in uno spirito di trasparenza ispirata da criteri evangelici. Rendere conto del proprio ministero alla comunità appartiene alla tradizione più antica”. E più avanti, al riguardo della trasparenza, si aggiunge che va collegata a “verità, lealtà, chiarezza, onestà, integrità, coerenza, rifiuto dell’opacità, dell’ipocrisia e dell’ambiguità”. Quando la fiducia viene violata a patirne le conseguenze sono le persone più deboli e vulnerabili. Dunque il rendiconto deve diventare pratica.

Per consentire la partecipazione dei fedeli al processo decisionale ci si limita a chiedere che vengano resi operativi gli organismi esistenti e molto spesso poco operativi, come il sinodo diocesano, il consiglio presbiterale, il consiglio pastorale diocesano, il consiglio pastorale parrocchiale e quello per gli affari economici.

“Una Chiesa sinodale si basa sull’esistenza, sull’efficienza e sulla vitalità effettiva, e non solo nominale, di questi organismi di partecipazione, nonché sul loro funzionamento in conformità alle disposizioni canoniche o alle legittime consuetudini e sul rispetto degli statuti e dei regolamenti che li disciplinano. Per questa ragione siano resi obbligatori, come richiesto in tutte le tappe del processo sinodale, e possano svolgere pienamente il loro ruolo, non in modo puramente formale, in forma appropriata ai diversi contesti locali. Inoltre risulta opportuno intervenire sul funzionamento di questi organismi, a partire dall’adozione di una metodologia di lavoro sinodale”.

“La conversazione nello Spirito, con opportuni adattamenti, può costituire un punto di riferimento. Particolare attenzione va prestata alle modalità di designazione dei membri. Quando non è prevista l’elezione, si attui una consultazione sinodale che esprima il più possibile la realtà della comunità o della Chiesa locale e l’autorità proceda alla nomina sulla base dei suoi esiti, rispettando l’articolazione tra consultazione e deliberazione sopra descritta. Occorre anche prevedere che i componenti dei Consigli pastorali diocesani e parrocchiali abbiano la facoltà di proporre temi da inserire all’ordine del giorno, in analogia con quanto accade per i componenti del Consiglio presbiterale”.

Quale sia il problema lo si capisce dal paragrafo successivo: “L’Assemblea propone che il Sinodo diocesano e l’Assemblea eparchiale siano maggiormente valorizzati come organo per la regolare consultazione da parte del Vescovo della porzione del Popolo di Dio che gli è affidata, come luogo di ascolto, di preghiera, di discernimento, in particolare quando si tratta di scelte rilevanti per la vita e la missione di una Chiesa locale. Il Sinodo diocesano può anche costituire un ambito di esercizio di rendiconto e valutazione.”

Vorranno i vescovi ascoltare questa raccomandazione? La risposta non dipende dalla struttura, ma dalla riforma che citavamo all’inizio, cioè quella dei cuori.

Nel linguaggio ecclesiale “ministero”, ad esempio il ministero episcopale, vuol dire “servizio”, e questo varrebbe per tutti gli altri ministeri. Convertire il meccanismo decisionale nel cuore di chi è chiamato a decidere è la sfida del sinodo.

Più semplice, ma non meno importante, appare l’altra scelta, relativa al modo in cui il vescovo di Roma è chiamato a esercitare il ministero pietrino, la cui essenza sta nel garantire l’unità nelle diversità per il documento, espressione importantissima! E dunque “ in quanto garante dell’unità nella diversità, il Vescovo di Roma assicura la salvaguardia dell’identità delle Chiese Orientali Cattoliche, nel rispetto delle loro secolari tradizioni teologiche, canoniche, liturgiche, spirituali e pastorali.

Per incrementare tali relazioni, l’assemblea sinodale propone di istituire un Consiglio dei Patriarchi, Arcivescovi Maggiori e Metropoliti delle Chiese Orientali Cattoliche presieduto dal Papa, che sia espressione di sinodalità e strumento per promuovere la comunione e la condivisione del patrimonio liturgico, teologico, canonico e spirituale”.

Finalmente si riconosce che anche la cattolica deve riscoprire il suo Oriente, ma potrebbe meglio farlo se lo spronasse a riconoscersi nella realtà mutata in cui opera da secoli.

Per l’Oriente arabo islamico ad esempio sarebbe ora di riconoscere l’urgenza di formare con tutte le Chiese orientali la Chiese degli arabi. Cosa differenzia oggi sotto le bombe un caldeo (cattolico) da un maronita (cattolico) da un melchita (cattolico)? Ovviamente la Chiesa degli Arabi federando le Chiese non toccherebbe la ricchezza dei patrimoni liturgici. Ma purtroppo neanche questo drammatico frangente sembra aver spinto le Chiese d’Oriente a prendere di petto la sfida all’esistente… e dell’esistente!



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