Pechino si ostina a fare debito per rilanciare la propria economia, ignara delle conseguenze future di tale approccio. L’economista Forchielli: la crescita cinese è malsana, il Paese è ormai ingessato
Parafrasando un celebre detto, il Dragone perde il pelo, ma non il vizio. E in effetti sembra essere proprio così. L’unico modo per permettere all’economia di tornare a carburare, nella testa di Xi Jinping, sembra essere quella di mettere soldi nelle banche, affinché queste aumentino i prestiti a famiglie e imprese, riaccendendo la domanda e dunque i consumi. Nella teoria non farebbe una piega. Ma nella pratica le cose possono prendere una strada diversa e decisamente più pericolosa. Sì, perché sarà anche vero che Pechino si prepara a un nuovo, il terzo in ordine di tempo, tsunami di liquidità. Ma è altrettanto vero che sono soldi a debito e non certo frutto di entrate o crescita.
Questo pone un controsenso di fondo. La ripresa dell’economia, tutta da verificare, viene finanziata indebitandosi, dunque ipotecando il futuro delle giovani generazioni di cinesi. E anche il destino delle stesse banche: aumentando il debito, aumenta il rischio sovrano e gli istituti sono pieni zeppi di titoli di Stato. Tutto questo, però, al partito interessa poco. Tanto è vero che nel finesettimana si sono susseguiti gli annunci di nuovi piani di stimoli all’economia, ovviamente di impronta statale.
Bloomberg ha infatti riferito in queste ore di una possibile iniezione di un trilione di yuan, circa 142 miliardi di dollari, nelle maggiori banche statali. Al momento, però, i nuovi stanziamenti sono fermi a 200 miliardi di yuan, circa 28 miliardi dollari, come annunciato dallo stesso presidente della Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme (Ndrc), terzo organismo del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese, Zheng Shanjie, nella conferenza di martedì 8 ottobre. Il governo centrale fornirà ai governi locali 100 miliardi di yuan, 14 miliardi di dollari, mentre altri 100 miliardi di yuan saranno destinati a progetti di investimento.
La visione del governo cinese è fin troppo chiara, insomma: costruire la crescita sul debito. Lo stesso ministro delle Finanze, Lan Fo’an, ha chiarito che l’esecutivo, dopo le misure già annunciate dalla banca centrale (sostegno al debito attraverso la sottoscrizione di titoli pubblici), è pronto ad “aumentare significativamente” lo stesso debito pur di rilanciare l’economia. Formiche.net ha chiesto un parere ad Alberto Forchielli, economista, saggista e gran conoscitore di cose cinesi.
“La crescita della Cina è marcia, nel senso che è costruita su un debito che sta al 140% del Pil, secondo l’ultimo rapporto del Fondo monetario internazionale. Il che non è una buona notizia”, spiega Forchielli. “E comunque, se proprio vuole saperlo, questi sono stimoli finti, perché il troppo debito impedisce gli stessi interventi in favore dell’economia. Il Dragone, insomma, è ingessato, bloccato, prigioniero del suo stesso debito. E nemmeno i cinesi ci credono più, hanno visto la propria economia finire dentro questo imbuto. La prova è che la crescita della Cina non solo è fiacca ma anche poco sana, proprio perché realizzata su un debito allocato per l’80% nelle province. C’è qualcosa di profondamente malsano nella crescita cinese, si fa debito per crescere ma alla fine lo stesso debito finisce per diventare una gabbia, proprio per quegli interventi che nella logica del partito dovrebbero rimettere in moto il Pil”.