Nell’ultimo numero della rivista “Studies in Intelligence”, pubblicata da un centro di Langley, un’intera sezione è dedicato all’open source intelligence. Tra chi propone una nuova agenzia e chi sottolinea l’importanza delle fonti aperte quando si tratta di Cina
Un nuovo servizio d’intelligence dedicato esclusivamente alle fonti aperte? Negli Stati Uniti, dove la comunità d’intelligence conta già 18 agenzie, se ne parla ormai da anni. Il contesto dell’invasione russa dell’Ucraina, in cui le fonti aperte hanno avuto un ruolo importante sia per i governi sia per i privati, non ha fatto che alimentare il dibattito. A rilanciare l’idea due anni fa è stata l’esperta Amy Zegart, sostenendo che una nuova struttura dedicata favorirebbe l’innovazione e i partenariati pubblico-privato, oltre a poter godere di procedure di reclutamento più agili trattandosi di figure chiamate a gestire informazioni non classificate.
Ne discute pubblicamente anche la Central Intelligence Agency, nell’ultimo numero di Studies in Intelligence, rivista peer-reviewed pubblicata dal Center for the Study of Intelligence, struttura dell’agenzia di spionaggio americana. Nell’edizione di settembre c’è un’intera sezione dedicata al tema, dal titolo “Perspectives on Open Source Intelligence” con articoli di John Pulju, direttore del centro, Amelia Favere, membro del Lessons Learned Program del centro, William Usher, ex analista della Cia e oggi senior director for intelligence del think tank Special Competitive Studies Project, Daniel L. Richard, associate deputy director della Cia per l’innovazione digitale, e Jonah Victor, ex analista del Pentagono oggi visiting research fellow presso l’Institute for National Strategic Studies alla National Defense University. E c’è anche la recensione di un ex Cia, Stephen Mercado, di un volume che si occupa della questione, “Open Source Investigations in the Age of Google”, scritto da Henrietta Wilson, Olamide Samuel e Dan Plesch.
Come ha spiegato Jake Harrington, ex funzionario dell’intelligence americana e ora al think tank Center for Strategic and International Studies, c’è un problema per lo Stato quando si parla di open source intelligence: “Il successo dell’intelligence in questo ambiente richiede immaginazione, flessibilità, resilienza e tolleranza al rischio. Non sono caratteristiche della comunità d’intelligence odierna”.
Oggi la Central Intelligence Agency ha un ruolo guida in questa specifica modalità di raccolta informativa all’interno della comunità d’intelligence degli Stati Uniti. Ma sembra aperta a discutere il futuro dell’open source intelligence. Come integrarla? Questa è la domanda. Che oggi è ancor più attuale considerata la competizione con la Cina. A proposito, scrive Victor sottolineando l’urgenza di formazione specifica: “Rimane disponibile un’enorme quantità di contenuti open source sulla Cina, quasi certamente non sfruttati a dovere dalla comunità d’intelligence. Non tutte le informazioni sono di valore; i social media possono offrire una visione del sentimento della società cinese e delle narrazioni predilette del Partito comunista cinese, pur avendo una rilevanza limitata per l’analisi della leadership e del processo decisionale della Repubblica popolare cinese. Tuttavia, i media della Repubblica popolare cinese possono ancora fornire alla comunità d’intelligence informazioni sugli sviluppi più recenti e indicare cambiamenti nella politica del Partito comunista cinese. I media della diaspora cinese, pur non essendo affidabili, a volte pubblicizzano attività che Pechino preferirebbe tacere”.
Per Richard, che esprime la visione della direzione innovazione digitale della Cia, siamo a un “punto di svolta nella storia” in cui è fondamentale discutere dell’open source intelligence. Usher è convinto che serva una nuova agenzia, la Open Source Agency. Questa, tra le altre cose, potrebbe, “su indicazione del presidente, dell’Ufficio del direttore dell’intelligence nazionale e della Cia, sviluppare ulteriormente spazi di collaborazione online non classificati, su cloud, per consentire una più ampia diffusione analitica della comunità d’intelligence con il settore privato, le autorità statali e locali, i rappresentanti delle intelligence estera collegate e il pubblico in generale”. Favere, che si annovera tra gli “stanchi evangelisti dell’open-source che per anni non sono riusciti a spiegare la sua importanza critica” alla comunità d’intelligence, si limita a un appello: chi si occupa di Osint nella comunità spingano per una soluzione, “piuttosto che aspettare la comprensione del mainstream che non arriverà mai senza una guida dall’alto”.
Intanto, se ne parla a Langley.