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Dalle parole ai fatti. È tempo di un’agenda europea nel nome di Draghi

​Quanto scritto dall’ex presidente della Bce nel suo rapporto non solo è condivisibile, ma anche urgente. Ma c’è un problema, quel debito comune che ai tedeschi proprio non va giù. Spunti e riflessioni dal dibattito organizzato dal Gruppo dei 20

L’Europa è a un bivio, non c’era certo bisogno che lo rammentasse Mario Draghi nel suo voluminoso rapporto dedicato alla competitività. Quindi a questo punto la domanda successiva è: riuscirà il Vecchio continente a fare sua l’agenda Draghi? Domande che si sono posti alcuni economisti del Gruppo dei 20, animato dal presidente della Fondazione Tor Vergata, Luigi Paganetto, nel corso del dibattito Dopo il rapporto Draghi. l’Europa ad una svolta? al quale hanno preso parte Pasquale Lucio Scandizzo, presidente Villa Mondragone Association e Adriano Giannola, presidente dello Svimez.

La premessa, come emerso da alcune slide presentate nel corso dell’incontro, tenutosi al Cnel, è che il rapporto Draghi “è una proposta di molto impegno ed efficacia, che invita a non arrendersi al ritardo accumulato dall’Europa rispetto alla crescita del Pil negli ultimi vent’anni. Crescita che, associata alla grande autorevolezza di Draghi, può mettere seriamente in moto un progetto radicale, come egli stesso l’ha definito, centrato su quelle politiche per la produttività e innovazione da molti invocate (compreso il nostro Gruppo dei 20), ma assai poco realizzate”.

Dunque, “non si può non condividere l’idea centrale del ritardo competitivo europeo. È un approccio che ci dà l’idea degli interventi da fare e di un progetto da realizzare”. Va bene, ma da dove partire? “Il tema più difficile è quello della governance europea, che non richiede soltanto il salto di qualità necessario a prendere decisioni efficaci e tempestive sulle policy interne, ma anche a far sì che l’Europa sia un interlocutore internazionale capace di affrontare le sfide esterne, quelle commerciali, ma anche quelle in materia di difesa. Nel rapporto Draghi ci sono molti suggerimenti, ma è chiaro che la risposta non può che venire dalla politica”.

Tradotto, da Draghi può fornire la famosa cassetta per gli attrezzi, ma poi l’uso deve deciderlo chi governa l’Europa. “Come è stato nel caso dell’euro, al di là dei dubbi e delle facili critiche, occorre contare sulla capacità dell’Europa di riformare sé stessa. È una fiducia fondata sull’esperienza, anche recente, che ha consentito, sia pure sotto la pressione di eventi esterni, di realizzare scelte importanti e difficili dopo il Covid-19, la crisi energetica e l’invasione russa dell’Ucraina”.

Ma non mancano le ombre. Persino il rapporto Draghi ne ha. Per esempio, è stato sottolineato nel corso del dibattito, il proporre alcuni strumenti che mal si conciliano con la visione di alcuni Paesi, come il debito comune. Che la Germania e, in generale, molti Paesi frugali, mal digeriscono. Argomento su cui è tornato anche lo stesso Draghi e per il quale “si tratta di un aspetto importante, perché diminuirebbe i costi di finanziamento a fronte dell’insufficienza del bilancio Ue, una via già tracciata dal Recovery Fund. Tuttavia non è il fattore principale, l’ingrediente essenziale del rapporto sulla competitività, non centrerei la discussione oggi su questo. Perché adesso è importante avere una valutazione comune delle sfide cui si trova a fronteggiare la Ue e un accordo sulla strada da percorrere”.



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