Dopo la sconfitta in Liguria, la segretaria dem deve sciogliersi dall’abbraccio (avvelenato) non solo del M5S ma anche degli altri per puntare al consolidamento del Pd e della propria immagine di leader. Schlein dovrebbe intervenire di più sui temi economici e lanciarsi sulle piattaforme globali: non dovrebbe esserle difficile uscire dal bozzolo provinciale eurocratico. Occorre che i cittadini “sentano” che è in possesso delle caratteristiche da premier. E, se necessario, dovrà parlare anche con Trump. Il corsivo di Mario Giro
Basta con queste foto di gruppo della sinistra: servono solo alla fiera delle vanità dei leaderini. La sconfitta in Liguria è l’ennesima riprova dei mali dell’opposizione: troppi litigi, troppe gelosie e troppi rancori piccoli e grandi.
Elly Schlein dovrebbe sciogliersi dall’abbraccio (avvelenato) non solo del M5S ma anche degli altri per puntare al consolidamento del Pd e della propria immagine di leader.
C’è molto da fare: innanzi tutto riflettere su cosa diverranno i Cinquestelle: la battaglia interna di Giuseppe Conte è durissima e proprio a Genova non ci si poteva aspettare di più, vista la contestazione di Grillo. Forse Conte ha sbagliato i tempi: doveva attendere le elezioni liguri prima di scatenare la lotta finale contro “l’elevato”.
Anche se ne uscirà ancora in piedi, ci si interroga sull’identità politica che l’ex premier vorrà imprimere al suo partito: quali battaglie prioritarie? Quale visione per l’Italia domani? Non basta la volontà di tornare a palazzo Chigi (desiderio molto diffuso per chi ci è già stato) a dare un programma o offrire un sogno.
Ma allo stesso tempo non deve far piacere a nessuno il calo di voti del Movimento: perdita secca perché vanno nell’astensione mica agli altri partiti del centrosinistra.
Ci sono poi le liti interne tra Verdi e Sinistra italiana: malgrado il 6% non c’è pace a sinistra anche perché la crescita è dovuta a personaggi non facilmente controllabili (manca il tessuto e si rischiano effetti boomerang a ripetizione, come con Sumahoro).
Avs potrà tenere o diverrà la solita incompiuta? Di Azione si è parlato molto con toni da declino anche se in termini di programmi si tratta del partito con più proposte concrete.
Infine Renzi e Italia Viva: far cadere i veti da parte di tutti sarebbe il minimo. Non si può far politica guardando il retrovisore.
Le elezioni liguri sono state un campanello di allarme: senza un colpo di reni anche un ottimo candidato come Andrea Orlando può fallire.
Ma c’è un messaggio ancora più chiaro: la gente non vota il centrosinistra perché non vede all’orizzonte un possibile cambio, non crede che esista un’alternativa. I cittadini si sono convinti di tenersi Giorgia Meloni perché il ricambio non si vede.
Tutto questo porta a dire che Elly Schlein deve -per il momento almeno- abbandonare le “sommatorie” e le alchimie da coalizione, per concentrarsi su se stessa e sulla propria immagine. Ha permesso finora al Pd di comportarsi più o meno come sempre: formazione di correnti e lotte tra di esse.
Le ultime notizie sono la nascita della corrente di Dario Franceschini e Roberto Speranza (ma avversata da Arturo Scotto) e le iniziative di Goffredo Bettini, sempre stimolanti.
La battaglia tra sindaci (Manfredi e Lorusso, con Sala indispettito) è un film già visto. Inoltre la guerra contro De Luca vorrebbe essere un segnale di rinnovamento e un messaggio ad altri. Potrebbe portare alla perdita della Campania salvo che Manfredi non metta in pratica tutta la sua capacità coalizionale.
È lui il punto di equilibrio del centrosinistra attuale, forse anche qualcosa di più. Ma l’uomo è prudente e leale: Schlein avrebbe un vantaggio ad intendersi con il sindaco di Napoli sia sul piano regionale che nazionale. Ma ancora più urgente per Schlein è darsi quell’allure da premier che ancora non le viene riconosciuta.
Ciò significa intervenire di più sui temi economici e lanciarsi sulle piattaforme globali (Londra, i mercati, New York ma anche Delhi, Brasilia, Ankara ecc.). In altre parole non bastano più i minuetti con gli S&D brussellesi: Schlein non è conosciuta oltre Bruxelles e questo è diventato un serio limite. Leader lo si è comunque o non lo si è: non esistono leader in attesa.
Anche lei è avvantaggiata dalla conoscenza delle lingue come Meloni, e quindi non dovrebbe esserle difficile uscire dal bozzolo provinciale eurocratico: occorre che i cittadini “sentano” che è in possesso delle caratteristiche da premier.
Per questo è bene che si cimenti con i grandi dossier: guerre in Ucraina e a Gaza (basta eccessive prudenze); debito globale; spostamenti di popolazione; attacco alla democrazia liberale e al multilateralismo; mercato finanziario globale; pandemie future e clima.
Dovrà imparare a parlare anche con Trump se quest’ultimo vincerà: insomma è venuto il tempo di smettere di rintanarsi con gli amichetti della sinistra europea, peraltro abbastanza patetici a parte Sanchez.
Bene la gestione del Pd e degli alleati, ma occorre andar oltre e decollare. È noto che è sempre in agguato il fuoco amico dentro il Pd e oltre. Per questo basta foto di gruppo please!