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Tra Israele e Iran un balletto politico con l’uso delle armi. La versione di Camporini

Al centro dell’incontro a sorpresa di Crosetto in Israele con il suo omologo israeliano l’incolumità dei militari di Unifil e le prospettive per la stabilità regionale. Per Camporini, intervistato da Formiche.net, lo scambio di attacchi tra Israele e Libano si pone sul confine tra l’escalation militare e la trattativa politica

Mentre la situazione in Medio Oriente continua ad evolvere, l’Italia si muove per portare il suo contributo a una riduzione delle tensioni, facendo particolare attenzione alla sicurezza e al ruolo che possono ricoprire gli oltre mille Caschi blu italiani schierati in Libano. L’incontro del ministro della Difesa, Guido Crosetto, con il suo omologo israeliano, Yoav Gallant, tenuto segreto fino all’ultimo per ragioni di sicurezza, aveva l’obiettivo di discutere del futuro della missione di pace Unifil e del supporto alle Forze armate libanesi, e si inserisce nella più ampia iniziativa avviata durante il G7 Difesa e portata avanti con i ministri di Arabia Saudita e Turchia. Intervistato da Formiche.net, il gen. Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica e della Difesa, ha commentato i più recenti sviluppi del conflitto alla luce dell’incontro.

Generale, ieri il ministro Crosetto si è recato in Israele per incontrare Gallant e discutere della situazione in Libano. Quali pensa siano stati i temi più rilevanti dell’incontro?

È ovvio che lì abbiamo una situazione delicata, con un nostro contingente inquadrato nella Forza multinazionale delle Nazioni Unite, quindi immagino che abbiano parlato del ruolo che può giocare Unifil in questa fase del conflitto, un ruolo che deve essere sicuramente molto prudente. Probabilmente c’è la volontà di mantenere questo contingente nell’ottica di quello che potrà accadere una volta che la fase acuta del conflitto si sarà attenuata. Inoltre, è chiaro che l’incolumità dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze sia una preoccupazione personale, oltre che istituzionale, per il ministro e quindi ritengo possibile che la sicurezza del contingente sia stata l’argomento principale.

Durante la visita, il ministro è stato accompagnato dal capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Luciano Portolano. La sua presenza deve far riflettere?

Sarebbe tanto sorprendente se non fosse stato accompagnato da Portolano, in fondo stiamo parlando di attività operative in cui il ministro ha certamente bisogno di qualcuno che lo assista per gli aspetti tecnici. Sarebbe stato strano se non ci fosse stato.

Dopo l’apertura della Knesset (il parlamento israeliano) Netanyahu sembrerebbe aver aperto a delle possibilità di trattative dopo la morte di Sinwar. In particolare, pare che stia tornando in auge la cosiddetta “proposta egiziana” per il rilascio di quattro ostaggi israeliani detenuti da Hamas in cambio di due giorni di tregua a Gaza. È l’inizio di una trattativa più ampia?

Credo che si stiano facendo dei test per verificare chi comanda oggi dentro Hamas e che atteggiamento vuole assumere. Se manterranno l’atteggiamento che aveva Sinwar oppure se c’è stato qualche ripensamento. Credo che si tratti di ballon d’essai che vengono lanciati per verificare la situazione nel campo di Hamas, perché è chiaro che finché Sinwar e la sua linea rimanevano, la possibilità di dialogo fosse pari a zero. Con un cambio di leadership e di atteggiamento qualche opportunità può nascere. Può nascere, non dico che debba necessariamente nascere. Però è chiaro che adesso si potrebbe aprire una finestra di opportunità.

A seguito dell’attacco israeliano verso l’Iran la comunità internazionale si è mossa per chiedere a Teheran di non rispondere. Quanto è plausibile che l’Iran non porti avanti ulteriori rappresaglie?

Sto osservando con una certa curiosità, per non dire stupore, quello che sta accadendo. Mi sembra che non stiamo parlando di operazioni militari, ma di una sorta di balletto politico in cui vengono usate anche le armi. Penso al modo in cui sono stati condotti i due attacchi missilistici iraniani (quello del 13 aprile e quello del primo ottobre, ndr). Sicuramente entrambi rappresentavano una minaccia concreta, ma alla fine hanno avuto più il valore di un messaggio politico.

Ed è lo stesso anche per Israele?

Anche la risposta israeliana ha questo sapore, nel senso che fra tutte le opzioni possibili sono state scelte le opzioni meno criticabili. Ad essere colpiti sono stati sistemi di difesa aerea e siti per la produzione di missili, ma nulla che possa toccare le ambizioni nucleari iraniane e nulla che possa turbare gli equilibri del mercato del petrolio. Mi sembra che più di operazioni militari che scatenano una reazione, si tratti di messaggi politici di cui si aspetta l’esito, senza quindi la necessità di una reazione immediata, ma con l’opportunità di sondare il terreno con un uso circoscritto delle armi.

Pensa che la mediazione statunitense abbia avuto un ruolo nella decisione israeliana di non colpire i siti nucleari e petroliferi?

Ne dubito, in questa fase Israele si sta muovendo in autonomia, esattamente come stanno facendo gli iraniani.

 


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