Il Pentagono vuole dotarsi, attraverso fornitori commerciali, di droni economici e monouso, di cui riconosce l’impatto sui campi di battaglia moderni. L’attenzione si concentra sulla produzione di massa e modularità
Il Pentagono sta spingendo per ampliare il proprio arsenale di droni economici e monouso, strumenti fondamentali nel conflitto in Ucraina e nelle logiche di attrito che lo caratterizzano da diversi mesi, esplorando il potenziale di produzione di massa offerto dai fornitori commerciali. In una nuova richiesta pubblicata questa settimana, la Defense Innovation Unit (Diu) ha annunciato di essere alla ricerca di sistemi unidirezionali senza pilota (Uas, sigla per Uncrewed Aerial Systems) in grado di operare su distanze comprese tra cinquanta e trecento chilometri, anche in ambienti con scarsa connettività e privi di Gps. “Conflitti recenti hanno evidenziato l’impatto asimmetrico che i sistemi a basso costo e a uso singolo possono avere sui campi di battaglia moderni,” ha dichiarato la Diu nel suo avviso. “Il Dipartimento della Difesa deve essere in grado di impiegare effetti di precisione a lungo raggio e a basso costo”. Per valutare le proposte, la Diu ha in programma una dimostrazione dal vivo già nel mese di dicembre.
Il Segretario della Difesa, Lloyd Austin, ha annunciato che la prossima fase del progetto Replicator un’iniziativa volta a immettere rapidamente nuove tecnologie sul campo si concentrerà su soluzioni per contrastare le minacce legate ai droni. Tuttavia, il Dipartimento della Difesa riconosce anche il potenziale impatto di questi sistemi e intende aumentare le proprie riserve di droni monouso. “Affidabili, economici e adattabili, i droni Uas a lungo raggio consentiranno di massimizzare la flessibilità operativa per le forze congiunte”, ha affermato la Diu.
Oltre alle missioni d’attacco, i droni ricercati potrebbero essere impiegati anche per compiti di guerra elettronica, ricognizione, sorveglianza e comunicazioni. Secondo l’avviso pubblicato dalla Diu, questi veicoli dovrebbero essere difficili da rilevare e tracciare, disporre di sistemi di comunicazione bidirezionale e essere dotati di software di pianificazione delle missioni. Un requisito fondamentale è la modularità dei sistemi, che dovranno essere in grado di integrare nuovo hardware o software in poche ore. “Interfacce proprietarie, formattazioni di messaggi o hardware che richiedono licenze specifiche non sono ammessi” viene sottolineato nel bando.
Non sono stati forniti dettagli sul numero di sistemi che potrebbero essere acquistati, né sono stati fissati obiettivi di costo specifici. Un portavoce della Diu ha spiegato che la scelta non si baserà sul costo di un singolo drone, ma sul “costo per effetto” che la piattaforma può generare: “Il modo migliore per comprendere il nostro obiettivo è pensare al costo per effetto. Se lanciamo una piattaforma da 1 milione di dollari o dieci piattaforme da 100.000 dollari e otteniamo lo stesso effetto, allora il costo per effetto è lo stesso, e questo è ciò su cui ci concentreremo”.
Con l’aumento della rilevanza dei droni nei conflitti moderni, gli Stati Uniti stanno puntando su soluzioni rapide e a basso costo per mantenere il vantaggio strategico sul campo di battaglia.
Negli ultimi anni, piccoli droni d’attacco monouso hanno giocato un ruolo cruciale in vari teatri di guerra. Oltre alla già menzionata Ucraina, anche in Medio Oriente i sistemi autonomi si sono rivelati particolarmente efficaci: basti pensare al gruppo di miliziani Houthi, sostenuto dall’Iran, che ha preso di mira navi commerciali nel Mar Rosso utilizzando, tra le altre cose, anche questi sistemi. Solo la scorsa settimana, il gruppo ha lanciato quello che il Pentagono ha definito un “attacco complesso” contro navi statunitensi nella regione.