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Basterà l’accordo tra tra Eda e Bei per sostenere l’industria della difesa europea?

L’accordo tra il braccio finanziario dell’Ue e l’agenzia per la Difesa giunge a poca distanza dall’insediamento del commissario per la Difesa. Al centro dell’accordo, maggiore coordinamento e investimenti per rilanciare il settore. Ma il copione sembra quello di sempre

A piccoli, a tratti microscopici, passi, l’Unione europea si muove per rafforzare il proprio comparto industriale della Difesa. L’accordo stretto tra il Gruppo Banca europea per gli investimenti (Bei) e l’Agenzia Europea per la Difesa (Eda) si pone l’obiettivo di rafforzare le capacità difensive collettive dell’Ue. Il nuovo accordo (a sua volta basato su un Memorandum datato 2018) prevede che l’Eda fornisca consulenza in materia di industria della Difesa alla Bei, la quale potrà così avvalersi di un ulteriore parere per identificare e finanziare progetti di sicurezza e Difesa nell’Unione. “Il Memorandum d’intesa aggiornato è un elemento importante del nostro Piano d’azione per la difesa, che include il rafforzamento dell’industria europea attraverso iniziative collaborative”, ha affermato Robert de Groot, vicepresidente della Bei. “La spesa europea per la difesa è aumentata per otto anni consecutivi e gli Stati membri dell’Ue sono in procinto di raggiungere gli obiettivi di spesa collettiva”, ha commentato Jiří Šedivý, chief executive dell’Eda, aggiungendo che “dobbiamo ancora unire le nostre risorse per finanziare gli sforzi comuni e potenziare le capacità di difesa. Il memorandum d’intesa aggiornato con la Bei ci darà gli strumenti giusti per aiutare gli Stati membri a raggiungere i loro obiettivi”.

Una partnership inedita…

La collaborazione tra le due entità giunge come una novità, dal momento che, dalla sua fondazione, la Bei si è occupata rigorosamente di materie civili e di finanziare progetti non militari. Le regole, molto stringenti, che disciplinano le azioni della Bei risalgono a un periodo passato, in cui era impensabile che l’Unione giocasse un ruolo attivo nel campo della Difesa. Adesso, dinanzi a uno scenario internazionale radicalmente diverso, caratterizzato da crisi multiple e da una generale retrocessione del sistema multilaterale, il braccio finanziario dell’Unione ha deciso scendere in campo direttamente per supportare il rilancio del settore, che necessita non solo di maggiori finanziamenti, ma anche di un coordinamento più ampio tra le istituzioni comunitarie e gli Stati membri. Non è un caso che la firma dell’accordo segua di poche settimane la nomina di Andrius Kubilius a commissario Ue per la Difesa e lo Spazio. La nomina di un commissario per coordinare l’industria europea della Difesa, fortemente voluta da Ursula von der Leyen, punta a portare ordine nel panorama estremamente frastagliato di aziende e strutture statali o parastatali che compongono il complesso quadro della Difesa europea. Come evidenziato dal Rapporto Draghi, l’estrema frammentarietà del settore rappresenta non solo una debolezza immediata per la competitività l’Europa, ma anche un fattore estremamente ritardante del potenziamento delle prerogative difensive continentali in una fase di profonda incertezza. Nei piani della Commissione, il raggiungimento della tanto invocata armonizzazione delle politiche industriali costituirà la base imprescindibile per ogni futuro progetto di cooperazione in materia di Difesa tra gli Stati membri. Il passo in avanti è innegabile, ma resta da chiedersi quanti altri ne manchino e, soprattutto, a quale destinazione si intenda arrivare.

…ma che sa di già visto

Dal 2016, con l’approvazione della Eu global strategy, e dopo il 2022, con l’approvazione dello Strategic compass, l’Unione europea ha cercato di potenziare le sue politiche unitarie per la Difesa e di indirizzare l’industria verso la strada dell’armonizzazione. La Cooperazione strutturata permanente (Pesco), l’Eda e altre strutture simili costituiscono indubbiamente dei tentativi di ricondurre all’ordine il settore ma, buona volontà a parte, sembrano mancare di tutto il resto. È il caso del Fondo Europeo per la Difesa (Edf), che ha stabilito un finanziamento di 8 miliardi di euro da distribuirsi nel periodo 2021-2027, cifra a malapena sufficiente per coprire i costi di ricerca e sviluppo di un singolo programma. L’obiettivo del Fondo, istituito nel 2017, è quello di “coordinare e potenziare gli investimenti nazionali in materia di Difesa”. È impossibile non cogliere delle somiglianze che rasentano la duplicazione, dal momento che, a otto anni dalla global strategy e a due dallo Strategic compass, l’Europa continua a creare accordi e strutture di coordinamento degli investimenti. Con l’obiettivo di ridurre la frammentarietà dell’industria, dei programmi e dei sistemi, si è finiti per incrementare la frammentarietà dei soggetti decisionali da coinvolgere, disperdendo i fondi e allontanando la prospettiva di una governance unitaria dell’industria e delle politiche. Gli investimenti nel settore della Difesa necessitano di linee guida semplici e chiare, supportate da una regia unica che abbia bene in mente l’obiettivo da raggiungere. Allo stesso modo, gli investimenti nella Difesa, con due conflitti ad alta intensità ai confini dell’Unione, non possono essere più intesi alla sola luce della competitività economica, ma necessiterebbero di un approccio strategico. Il problema però è che le istituzioni comunitarie sono limitate nei loro movimenti dalla rigida ripartizione di competenze in materia di Difesa enunciate nei Trattati, e pertanto la loro azione tende a non essere incisiva. Come lo stesso Draghi ha fatto più volte notare, l’Europa ha bisogno di fare cambiamenti radicali se vuole preservare le sue prerogative e non restare schiacciata tra i grandi del mondo, ma cambiamenti simili richiedono di essere di natura politica. Fintanto che l’Unione, come soggetto a sé e come Stati membri, non deciderà di affrontare l’elefante nella stanza costituito dal tema della Difesa comune e delle decisioni politiche che essa implica (come la riforma dei Trattati), i passi in avanti del settore non potranno che restare limitati e privi di una visione strategica di lungo termine, incapace di assolvere al compito di rendere l’Europa più sicura.


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