Capitale umano e capitale industriale, ma anche formazione, competitività globale e nuove policy al centro del II Forum Incyte sulla Ricerca. Chi c’era e cosa si è detto
In un mondo in cui innovazione e sviluppo economico sono sempre più legati, con l’avvento di nuove tecnologie e uno scenario di competizione globale in costante sviluppo, puntare sulla ricerca non solo è auspicabile, ma è strategico. Per l’Italia e per l’Europa. Il report di Mario Draghi sulla competitività europea ha già messo in evidenza il sempre crescente gap di innovazione che separa l’Unione europea dal resto del mondo, soprattutto di fronte a Cina e Stati Uniti. Il primo passo per mettersi in pari è supportare la ricerca in settori ad alta innovazione, come il biotech. Di questo, ma non solo, si è parlato al II Forum Incyte sulla Ricerca, svoltosi oggi a Roma in collaborazione con Formiche ed Healthcare Policy. L’evento, moderato da Andrea Pancani, giornalista e conduttore televisivo, ha voluto concentrarsi sul capitale umano ed economico come leve strategiche per valorizzare la ricerca in Italia.
NON C’È INNOVAZIONE SENZA RICERCA
“Coltivare la ricerca significa coltivare il progresso, l’innovazione, la salute dei cittadini e la competitività del nostro sistema Paese”, ha affermato Onofrio Mastandrea, amministratore delegato di Incyte Italia e regional vice president. “Mario Draghi – ha continuato Mastandrea – ha sottolineato come il settore life sciences possa essere uno degli asset per colmare il gap di innovazione fra Europa e resto del mondo”. “E se questo vale per l’Europa, può valere anche per l’Italia”, ha aggiunto l’Ad di Incyte. “Non può esserci innovazione senza ricerca. Da quando siamo arrivati in Italia nel 2016 abbiamo portato avanti 63 studi clinici, di cui il 25% in fase I, coinvolgendo più di 400 clinical sites. Alla luce di questo impegno abbiamo voluto inaugurare un percorso di dialogo sul tema della ricerca. Il Forum diventerà un appuntamento annuale per riflettere insieme sulle aree in cui è urgente intervenire con politiche strutturate e mirate per richiamare investimenti e talenti e rendere il Paese competitivo e attrattivo anche sul fronte della ricerca”, ha concluso.
INCENTIVARE LE STEM
Ad intervenire anche i rappresentanti delle istituzioni. Marta Schifone, membro della commissione Affari sociali della Camera dei deputati, ha precisato: “Siamo dentro a una grandissima sfida transizionale. Gestire questi processi non è facile e dobbiamo puntare sulla competenza. Viviamo un paradosso: lo Stem è il campo con le maggiori possibilità occupazionali e reddituali, ma allo stesso tempo è quello meno scelto dai nostri ragazzi”. Inoltre, “Nonostante le donne rappresentino la maggior parte dei laureati, nelle discipline Stem la percentuale scende al 16%. Bisogna incidere a livello scolare”, ha concluso. A farle eco, Carlo Riccini, vicedirettore generale di Farmindustria, secondo cui non è sufficiente lavorare guardando solo al futuro senza concentrarsi sul presente: “Dobbiamo intervenire sui percorsi formativi di chi è già a scuola”.
IL RUOLO DELLE STARTUP
Massimo Carnelos, consigliere d’Ambasciata e capo ufficio Innovazione tecnologica e start up presso il Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, ha avvertito: “Cerchiamo di trasmettere il messaggio di un Paese che ha da offrire innovazione e ricerca. Ma attenzione a non valorizzare la leva della competitività dei costi piuttosto che della qualità”. “Oggi – ha aggiunto – sette tra le più dieci grandi aziende al mondo erano aziende che dieci o venti anni fa erano startup. Non valorizzare il sistema delle startup significa non puntare sullo sviluppo del Paese. L’internazionalizzazione – elemento al centro del tavolo di lavoro biotech del Maeci – non è fine a se stessa, ma serve a aumentare le possibilità di crescita delle aziende che nascono nel nostro Paese”, ha concluso il rappresentante della Farnesina.
I PUNTI DI FORZA
“Ci tengo a sottolineare i punti di forza, perché vedere la luce è importante”, ha sancito Luca de Angelis, direttore generale per le Nuove tecnologie abilitanti presso il ministero delle Imprese e del Made in Italy. “È vero che il delta di investimenti in ricerca fra Usa e Ue era di 2 miliardi di dollari e ora ha raggiunto i 25 miliardi di dollari. Tuttavia – ha aggiunto – siamo i sesti al mondo per la produttività e siamo titolari del 9% dei brevetti a livello europeo. Ci sono delle debolezze europee e italiane su ricerca e sviluppo che si manifestano nella farmaceutica. Ma è anche vero che ci sono delle luci e possiamo arrivare a correggere il tiro in un settore che dimostra già dei punti di forza notevoli”.
LE SFIDE DEL COMPARTO
“I prodotti biotech hanno dei tempi di realizzazione più lunghi rispetto ai tempi di investimento che un fondo di venture capital è disposto ad aspettare e questo rischia di rallentare il tasso di innovazione del nostro Paese laddove non si riesce ad avere veicoli di investimento che possano allungare la pista di decollo delle startup”, ha aggiunto Carnelos. “Dobbiamo guardare a un orizzonte temporale che probabilmente la politica non è in grado di affrontare”, ha asserito pungente il presidente di Assobiotec Fabrizio Greco. “Siamo tutti d’accordo che bisogna investire, perché non lo facciamo? La ricerca genera un beneficio economico e di sicurezza con maggiore valore aggiunto, oltre ad un impatto positivo sui pazienti. Dobbiamo cominciare a decidere” ha concluso Greco.
BIOTECH: CREATORE DI OCCUPAZIONE
“Ci troviamo nel mezzo della più grande onda di innovazione nel settore biofarmaceutico mai vista” ha esordito Pablo Cagnoni, presidente e head of research and development di Incyte. “La metà dei nostri dipendenti – ha aggiunto – lavorano nel settore R&D, e investiamo oltre il 40% del nostro fatturato in ricerca e sviluppo”. Ma qual è il contributo del settore biofarmaceutico alla società? “Oltre ad aiutare i pazienti, l’industria biofarmaceutica è un’eccezionale creatrice di posti di lavoro”, ha spiegato. “Abbiamo bisogno di infrastrutture, di un ecosistema di centri accademici ma anche un ambiente regolatorio e giuridico prevedibile. Con delle tempistiche fra i cinque e i dieci anni per avere dei rientri economici e vent’anni per lo sviluppo, se si continuano a cambiare le regole del gioco quest’industria soffre”, ha concluso Cagnoni.
FORMAZIONE INNOVATIVA E INFRASTRUTTURE
Chiara Ambrogio, professore dell’Università di Torino e membro della Armenise Harvard Foundation, che ha aperto il Forum, ha messo in luce la realtà che vivono molti ricercatori italiani. Tornata nel nostro Paese dopo un lungo periodo all’estero afferma: “Ho trovato un Paese poco competitivo sul piano della ricerca”, ha detto, riportando come l’Italia sia al secondo posto sulla base della nazionalità dei ricercatori vincitori di starting grants, ma al nono come Paese. “Significa che non riusciamo a trattenere queste risorse”, ha commentato. “Creare percorsi di formazione innovativi e infrastrutture di ricerca capaci di attrarre e trattenere i ricercatori è prioritario per garantire la competitività della nostra comunità scientifica” ha aggiunto. A farle eco Andrea Rossi, amministratore delegato e direttore generale dell’università Campus Bio Medico di Roma, che ha avvertito: “È necessaria un’alleanza tra scuola e università: un orientamento esperienziale che mette i nostri giovani in condizione di scoprire cosa vogliono fare da grandi e cosa li appassiona. La didattica deve essere una didattica nuova, esperienziale e immersiva. Bisogna avere le tecnologie e gli spazi per fare una didattica di qualità”. Sulla fuga di cervelli, Ambrogio ha precisato: “È un termine obsoleto, il termine corretto dovrebbe essere cervelli in movimento, non parliamo di moto da luogo, ma di moto a luogo, non scappiamo da nessuno”. ” Serve un punto di incontro tra il mondo privato e il mondo pubblico”, ha aggiunto Simone Forte, consigliere di presidenza presso il Consiglio nazionale dei giovani.
LA RICERCA
Giovanni Forti, senior analyst Quorum Youtrend, ha presentato una ricerca che ha coinvolto 800 giovani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. Sebbene la maggior parte degli intervistati abbia sentito parlare di biotecnologie, i risultati dimostrano una scarsa conoscenza del settore da parte di questa fascia della popolazione. Il 74% sottostima il ruolo delle biotecnologie in ambito life sciences e l’80% sottovaluta la quota del biotech negli investimenti in ricerca.“Solo un giovane su cinque si ritiene informato sul tema delle biotecnologie, di cui la maggior parte sono donne, quest’ultimo dato in controtendenza”, ha affermato Forte. Ad intervenire anche Marco Scioli, fondatore e chairman di Starting finance, secondo cui “C’è poca consapevolezza e informazione approfondita” del settore, però “una volta che si riesce a comunicare, i giovani mostrano un grande interesse”. “Il rischio – ha concluso – è che la fuga di cervelli sia poco consapevole perché la persona è poco orientata e non conosce tutte le possibilità esistenti”.