Nei giorni scorsi Guido Crosetto, ministro della Difesa, ha definito i tre punti dell’organizzazione del suo dicastero relativi al quinto dominio: definire uno spazio, rendere operativa un’arma e assicurare le tutele funzionali. L’avvocato Stefano Mele (partner dello studio Gianni & Origoni) spiega perché è un passo avanti importante
Le cronache recenti che giungono a noi soprattutto dall’Ucraina e dal Medio Oriente hanno permesso di delineare meglio il ruolo reale e concreto che lo spazio cibernetico assume nei moderni conflitti. In tal senso, appare evidente come emerga con chiarezza dall’ombra delle approssimazioni e degli hashtag sui social come le operazioni cibernetiche siano oggi prettamente operazioni di intelligence digitalmente “potenziate”, che si concretizzano e dispiegano i loro effetti per lo più al di fuori dei confini della guerra. Si osservano, quindi, soprattutto operazioni di spionaggio e controspionaggio, così come azioni coperte e di sabotaggio, infarcite da moltissima propaganda, disinformazione e influenza.
Ciò non di meno, lo scenario geopolitico attuale impone di valutare con maggiore chiarezza quale ruolo la Difesa debba svolgere nel cyberspazio per la difesa e sicurezza dell’Italia e dei nostri interessi nazionali. È sotto gli occhi di ogni cittadino, infatti, il ruolo centrale svolto dalle nostre forze armate nel quotidiano: dagli scramble dell’Aeronautica Militare quando un aereo non autorizzato entra nel nostro spazio aereo, all’operazione “Mediterraneo Sicuro” della Marina Militare, passando per l’operazione Operazione “Strade Sicure” del nostro Esercito e per l’attività dei nostri astronauti in tutte le principali missioni spaziali. Per non parlare del contributo dato durante l’emergenza sanitaria legata al Covid-19.
Alle nostre forze armate, quindi, già oggi e da tempo, è stato assegnato un ruolo ben definito – in tempo di pace – in tutti i principali domini: terra, mare, aria e spazio. Appare difficile comprendere, allora, come mai lo stesso approccio non valga anche per il “quinto dominio”, ovvero il cyberspazio, in cui la Difesa risulta tuttora relegata – in tempo di pace – alla mera protezione delle proprie infrastrutture militari, lasciando spazio a eventuali azioni solo in caso di conflitto armato, ovvero solo in tempo di guerra. Un approccio che risulta miope e che, peraltro, non tiene conto di quanto previsto dalla nostra “Strategia Nazionale di Cybersicurezza 2022 – 2026”, che punta sul lavoro e sulla cooperazione tra quattro “pilastri”: l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, l’intelligence, le forze dell’ordine e, appunto, le forze armate.
Pertanto, considerato lo scenario internazionale e l’evoluzione tecnologica in atto, per assolvere a pieno il compito che la Difesa è chiamata a svolgere sia in tempo di pace che di guerra, tra i nostri confini e nelle missioni internazionali, appare quantomai imprescindibile che il Dicastero si doti quanto prima di una forza armata cyber, che permetta di avere ufficiali e sottoufficiali competenti e addestrati – sin dalle prime fasi della carriera militare – esclusivamente alle peculiarità del cyberspazio e al ruolo che Difesa deve svolgere in questo dominio. Ciò potrebbe essere affiancato anche alla creazione di cyber riservisti provenienti dal modo civile, che permetta non solo di completare le forze all’occorrenza, ma anche di realizzare fattivamente una concreta cooperazione tra pubblico e privato.
A ciò, infine, andrebbe affiancata anche la definizione di cosa sia oggi per l’Italia lo “spazio cibernetico di interesse nazionale”, dove cioè operiamo come nazione e non solo come Difesa, in un contesto sempre più ibrido, per la salvaguardia del nostro interesse nazionale.