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Per rilanciare l’industria serve pianificazione di lungo termine. Parla Alunni (Fucine Umbre)

“Come si può fare un piano industriale di medio e lungo termine se si ragiona solamente dell’assegnazione di questo o quel pacchetto, senza una visione di insieme complessiva?”. Intervistato da Formiche.net, Antonio Alunni, presidente e amministratore unico di Fucine Umbre, ha evidenziato i passi che l’industria deve fare in un momento tanto delicato quanto favorevole

I nuovi scenari globali, caratterizzati da un ritorno dei conflitti e delle crisi su vasta scala, richiedono di aggiornare i sistemi produttivi per andare incontro alle richieste di istituzioni e Forze armate. Perché ciò sia possibile, l’Italia deve abbandonare i vecchi schemi e riuscire a fare un salto che aumenti la dimensione dell’industria. Questo richiederà capacità sistemiche e di pianificazione a lungo termine per intercettare le sfide portate dalle nuove tecnologie. Formiche.net ne ha parlato con Antonio Alunni, presidente e amministratore unico di Fucine Umbre, realtà industriale specializzata nel settore aeronautico.

Il nostro Paese si sta muovendo su diversi programmi all’avanguardia e abbiamo visto che c’è bisogno di rivedere questo settore. Nel settore dell’innovazione, in particolare, si sente il bisogno di fare sistema. Quali sono le opportunità dei vari programmi e quali le sfide per il futuro dell’innovazione?

Innanzitutto, va detto che c’è una montagna di lavoro da fare, sotto ogni punto di vista. Parliamo di una sfida tecnologica, il che significa innovazione, ricerca, sviluppo, rete con le università, con i centri di ricerca e acquisizioni da parte delle aziende. La problematica più grande sulla quale bisogna lavorare è quella dello sviluppo delle nuove competenze. Poi c’è il tema della crescita dimensionale. Tutti questi programmi dovrebbero avere un comune denominatore, quello di portare il nostro sistema industriale ad una dimensione più importante. Questo significa puntare sulla crescita del numero di aziende medie e grandi, di modo che possano essere protagoniste delle innovazioni di domani.

Quindi ci sarebbe bisogno di un maggior coordinamento al vertice?

Non è solamente una questione di saper coordinare meglio, che comunque è importante, ma di fissare un obiettivo, quantificarlo e poi misurarlo durante il percorso. Su questo c’è bisogno di fare uno scatto innovativo e di evitare di fare come in passato, quando si è lasciato tutto al corso degli eventi. Occorre prevedere non solo un cambiamento tecnologico, ma anche un cambiamento della struttura del nostro sistema fatto di piccole e medie aziende. Questo lo si può fare solo se c’è un piano chiaro che venga trasferito ai grandi player che abbiamo. Bisogna creare un’organizzazione dedicata a questo scopo, che si occupi degli investimenti, dello scouting e che faccia tutto quello che serve affinché le migliori potenzialità che vengono dall’industria siano veramente favorite.

Spesso capita che, quando l’industria e istituzioni si interfacciano, ci sia una sorta di doppia richiesta da parte di entrambi. Le industrie chiedono investimenti, anche di lungo termine, e di contro le istituzioni, soprattutto le Forze armate, chiedono di aumentare la produttività. Questo perché ci si è resi conto che la qualità è fondamentale ma, per come stanno evolvendo gli scenari, c’è bisogno anche di quantità. A suo avviso, come si possono conciliare le due problematiche? 

Oggi il mondo aeronautico, e della Difesa in generale, vive un problema molto importante, cresciuto dopo il Covid: l’assoluta mancanza di capacità produttiva. C’è una domanda che non viene coperta da un’offerta. Questo non è solo un problema nazionale, è un problema europeo e mondiale, peraltro aggravato dall’attuale contesto geopolitico. A maggior ragione occorre pianificare una crescita industriale, perché se già oggi le nostre aziende non riescono a fare quello che il mercato chiede loro, figuriamoci come faranno per ciò che non è stato ancora sviluppato.

Di cosa c’è bisogno allora per invertire questa tendenza?

Come si può fare un piano industriale di medio e lungo termine se si ragiona solamente dell’assegnazione di questo o quel pacchetto, senza una visione di insieme complessiva? Sia che si tratti di Gcap, sia che si parli di nuovi veicoli terrestri o di future piattaforme navali, le aziende che forniscono la componentistica e i sistemi sono sempre le stesse. Il punto è: vogliamo diventare una cosa diversa? E non dico solo tecnologicamente, ma anche dal punto di vista di dimensione della catena di fornitura, che oggi è impreparata di fronte a molte di queste sfide. È troppo fragile perché è troppo piccola, perché lavora nel breve termine e non ha le capacità né la forza di guardare a lungo termine. Se si vuole cambiare questa cosa, serve che la grande committenza crei dei tavoli di confronto B2B nei quali, una volta verificata qual è la platea corretta, si realizzi un programma che porti il Paese ad essere diverso dal punto di vista della dimensione industriale.

Ritiene che oggi ci siano le potenzialità per una maggiore crescita tecnologica del sistema industriale italiano?

La dimensione industriale è precondizione per la crescita tecnologica e innovativa. Basti pensare alla cyber-sicurezza, come fa un’azienda di 20-30 persone a strutturarsi sull’aspetto cibernetico quando il 70-80% dei dipendenti si trova in fabbrica? È impensabile ma, dato che per diventare grandi bisogna partire tutti da piccoli, dobbiamo ragionare su questi aspetti. Anche perché i capitali ci sono, oggi abbiamo un mercato che da questo punto di vista è pronto a dare un contributo importante. Inoltre, lo Stato si sta impegnando finalmente su programmi di medio e lungo termine. Penso che un allineamento così positivo non si sia mai avuto. In più, avere un governo stabile ci permette di sedere sui tavoli senza dover cambiare ogni volta il cavaliere del nostro riferimento istituzionale. Questo è un vantaggio straordinario, perché significa continuità, relazione, conoscenza, credibilità. Oggi ci sono tutte le condizioni affinché il sistema aerospace e defense del Paese possa fare un salto che, usando la metafora del Gcap, vada ben oltre quello tra la quarta e la sesta generazione.



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