Figlio di un macchinista teatrale napoletano e di una cantante afroamericana dell’Alabama, Giancarlo Esposito è un attore eclettico e sui generis che, tra piccolo e grande schermo, non ha mai dimenticato le sue origini italiane. Il suo impegno civile e i suoi meriti artistici gli hanno valso il premio Pair, consegnato dal Centro Studi Americani. Dalla nuova guerra razziale negli Usa alle imminenti elezioni presidenziali, passando per il suo lavoro, l’attore italo-americano si racconta a Formiche.net
L’espressione sognante davanti ai dipinti ad olio e i marmi cesellati, il cappello tenuto in mano come prevede l’etichetta, il completo sartoriale (italiano, rigorosamente), una pochette color vinaccia nel taschino e le narici dilatate per accogliere quanto più possibile di quell’odore particolare che solo i libri emanano. Così Giancarlo Esposito ha attraversato le gallerie e i saloni di palazzo Mattei, sede del Centro Studi Americani a Roma, che quest’anno ha deciso di conferirgli il prestigioso premio Pair (Prize for American-Italian Relations), giunto alla sua ottava edizione. Intervistato da Formiche.net, la star italo-americana di serie cult come Breaking Bad e The Boys ha condiviso pensieri e opinioni sulla società e sul futuro degli Stati Uniti d’America.
Il pubblico italiano e internazionale ha imparato a conoscerla come un attore versatile, ma con una particolare capacità di ritrarre antagonisti carismatici e indimenticabili. I villain che abbiamo imparato ad amare, dal signore del crimine del Midwest Gus Fring allo spietato businessman newyorkese Stan Edgar, ci raccontano storie di fantasia, ma comunque calate in una realtà sociale complessa come quella americana. Quanto c’è di vero nelle storie di questi personaggi e come si spiega l’interesse del pubblico per loro?
Sento che il mio lavoro è diverso da quello di molti altri attori. Io faccio del mio meglio per portare un essere umano nel ruolo che interpreto. Credo che in molti film siamo abituati a vedere dei cattivi stereotipati, esagerati, che esemplificano le caratteristiche di ciò che abbiamo già visto in precedenza. Con Gustavo Fring, invece, credo di avergli dato uno scopo. Aveva un motivo per fare quello che faceva, ed era un essere umano reale che aveva l’idea di poter gestire gli affari meglio di chiunque altro. Così è nata la sua guerra con il clan Salamanca. Con Stan Edgar invece ho trovato un modo per rappresentare l’America corporativa. Stan Edgar, anche se non ha paura di Homelander, è la rappresentazione di un uomo molto, molto, molto ricco, che non ha paura di nessuno, nemmeno di questo personaggio dotato di superpoteri che potrebbe ucciderlo con i raggi laser dagli occhi. Perché è uno psicologo, e sa che quell’uomo, Homelander, ha bisogno di qualcosa da lui. Ha bisogno di essere convalidato. E Stan Edgar lo sa. Quindi lo tratta in parte come un bambino e in parte come un suo pari. Ma non ha paura di nulla. È un tratto umano.
Quindi il segreto sta nel ritrarre dei “cattivi più umani”, con motivazioni che ognuno di noi potrebbe, non dico sposare, ma comprendere?
Penso che quello che faccio sia riportare l’umanità in personaggi che normalmente vedreste come una nota sola. Li vedo più pieni e più profondi di quanto non siano mai stati prima. In The Mandalorian, nell’universo di Star Wars, si vede un personaggio (Moff Gideon, ndr.) che è stato sconfitto in precedenza, e che, anche dopo la sconfitta, ha visto tutto andare a rotoli. Qui c’è un altro personaggio che sente di poter ricostruire la galassia meglio di chiunque altro e ha un’idea di come farlo perché è intelligente, è capace e ha anche tutte le informazioni di cui ha bisogno. Quindi, ancora una volta, abbiamo un personaggio che è un vero essere umano e io sono orgoglioso di trovare gli elementi dell’essere umano in tutti i miei personaggi, in modo che il pubblico possa immedesimarsi. Se vedete su un grande schermo, o anche sul piccolo schermo della televisione, qualcosa che vi ricorda voi stessi, qualcosa che fate, qualcosa che avete detto, quello vi attira nel tessuto dello spettacolo a un livello ancora più profondo.
Pensando invece al tema delle tensioni razziali negli Stati Uniti, nel 1989 lei ha recitato in “Do The Right Thing” (uscito in Italia col titolo ‘Fa’ la cosa giusta’) di Spike Lee, che affronta molto il tema delle divisioni etniche nel Paese. Pensa che la situazione sia cambiata da allora a oggi? In che modo?
Penso che i rapporti razziali siano cambiati, ma non si sono spostati di molto. Penso che il nostro mondo sia diventato ancora più segregato sotto molti punti di vista, a causa di quello che è successo con l’Ucraina e Israele, di quello che sta succedendo in Africa con alcuni dei Paesi più poveri come il Congo e ad Haiti, dove le bande criminali nere hanno preso il sopravvento nelle strade. A New York le cose vanno meglio perché gli afroamericani si sono risollevati, come se fossero saliti nella scala economica, nella loro posizione economica. Credo che nelle grandi città ci sia un po’ più di comprensione tra le diverse culture, ma mi sembra anche che la conversazione in America si sia spostata sugli immigrati. E quindi è questa la nuova guerra razziale. Penso che i nostri politici stiano insistendo sull’idea che chiunque non sia nato in America sia illegale. E non è vero. Non so cosa ci sia successo con l’avvento del telefono cellulare. Non so cosa ci sia successo da quando non leggiamo più i giornali o tre giornali diversi per avere diversi punti di vista.
E riguardo agli Stati Uniti come collettività sociale? Che evoluzione stanno vivendo gli americani?
Stiamo iniziando a diventare un popolo che crede a ciò che gli viene detto e che chi glielo dice sia una fonte credibile. E non credo che questo sia un modo positivo di vivere la nostra vita. Chi sei tu per dirmi questo? E chi sono io per crederti? Abbiamo quindi un grande, grave problema in America. Non possiamo più essere d’accordo sul disaccordo. E non riusciamo nemmeno a formarci una nostra opinione. Ecco cosa sta succedendo in America. Posso dirvi come comportarvi, come sentirvi e voi lo seguite perché credete a quello che vi dico. È la pigrizia. Se adesso mi fanno una domanda a cui non so rispondere, io ci penso per dieci minuti e poi cerco di rispondere, anche se non conosco la risposta. Le persone non sono più attente o riflessive, cercano solo risposte rapide. E perché non dovrebbero esserlo, quando abbiamo un cellulare che può darci una risposta se non la conosciamo? Non sono io a doverlo sapere, è il telefono a doverlo sapere. È un modo sbagliato di vivere. È meglio parlare delle cose e acquisire informazioni in modi diversi. Ad esempio, siamo qui (il Centro Studi Americani) e non ho mai visto una biblioteca così ampia come questa. Questa biblioteca serve a noi per acquisire conoscenza, così che poi possiamo andare via e farla lavorare su di noi, per poi farci la nostra opinione. Formiamo le nostre idee partendo da idee geniali e magistrali che sono state tramandate storicamente. Le nostre idee non devono necessariamente seguire quelle idee, ma potrebbero far nascere nel nostro cervello qualcosa che ci permetta di dire all’improvviso: “Aspetta un attimo, ho un nuovo pensiero, una nuova idea, un nuovo contributo”.
Gli Stati Uniti sono prossimi all’appuntamento con le elezioni presidenziali, in un momento in cui l’America sembra dividersi tra posizioni estremamente polarizzate, con sempre più personaggi pubblici che si dichiarano per uno dei due candidati. Che tipo di aria si respira negli Usa?
Mi sembra di trovarci come in una corsa di cavalli per le elezioni e che gli Stati Uniti siano come biforcati, divisi a metà. Penso che l’ultima elezione abbia diviso la comunità, perché da allora nessuno ha più accettato di essere in disaccordo. Invece, hanno accettato di odiare. Siamo in una posizione molto delicata negli Stati Uniti, in quanto queste elezioni sono molto importanti perché le persone mantengano la loro umanità e perché non siano solo odiose, perché capiscano che molte volte non sentono la verità da nessuno dei due partiti e quindi non hanno una vera scelta valida da fare su chi guiderà il Paese. Credo che siamo in un momento in cui una parte degli americani è fiduciosa, mentre l’altra ha ingerito la retorica secondo cui l’America sta andando in malora, che è un posto orribile, che la gente mangia gli animali e si uccide continuamente.
E come si spiega questa divisione così netta?
Il tasso di omicidi è in calo in tutta l’America, più basso che mai. Come la criminalità a New York e a Chicago. Questi sono numeri veri, potete consultarli. In molte delle principali città americane ci sono meno omicidi e meno crimini violenti di quanti ce ne siano mai stati nella storia. Eppure, al mondo viene detto che è tutto il contrario. È una menzogna. E quindi a noi americani viene detto di odiare il governo. Se a voi non piace chi governa Roma, vi viene insegnato a usare la vostra voce per dire qualcosa al riguardo, a sollevarvi e a cambiarlo. In America, a molte persone viene insegnato invece a sospettare del governo. E questa è una cosa orribile. Sì, il governo opera in un certo modo perché è stato addestrato a farlo e ha bisogno di essere rinnovato e riorganizzato. Ma dovete avere fiducia nelle vostre scelte e dovete avere fiducia nel fatto che potete cambiare e iniziare a cambiare il funzionamento del governo se usate la vostra voce. La gente non vuole usare la propria voce. La gente è pigra. Molti vogliono solo essere guidati e sentirsi dire cosa fare. E questa è la parte spiacevole di ciò che sta accadendo oggi in America.
Lei è cittadino statunitense e italiano, cosa pensa dei rapporti tra europei e americani in un momento in cui il mondo è caratterizzato da guerre e crisi? Crede che i rapporti tra Europa e Stati Uniti possano peggiorare nel caso in cui venisse ri-eletto Donald Trump?
Penso che sia possibile, visti i suoi legami con Putin e le sue lodi a Orban. E penso che gli europei guardino alla politica americana in questi giorni come a una specie di barzelletta. Tuttavia, a Londra, in Italia, nei Paesi Bassi, il mondo ha bisogno che l’America sia ragionevole. A causa del commercio, è molto, molto importante che l’America sia ancora il leader forte che è. Ma siamo minacciati dalla possibilità di una dittatura, o almeno di gestire il governo come una dittatura. E questo non dovrebbe essere permesso. Quindi penso che l’Europa abbia paura. Tuttavia, ieri sono venuto in Italia e qualcuno mi ha detto: “Penso che l’Europa ritenga che Donald Trump sia migliore per gli affari” e io ho detto: “Okay, perché è un uomo d’affari. Ma un uomo d’affari che ha guadagnato la sua fortuna in modo probabilmente per lo più illegale, ottenendo tagli alle tasse per i ricchi e tutto il resto, non è un vero uomo d’affari, è una persona che si preoccupa solo di sé stessa e dei suoi fini”. Ora, non posso dire che tutto questo sia vero, ma da quello che sappiamo e da quello di cui siamo testimoni, abbiamo a che fare con qualcuno che è molto, molto poco etico. E quindi, se qualcuno non è etico ed è stato condannato, bisogna guardare e dire “aspettate, questa potrebbe non essere la persona adatta a guidarci”.
Quindi con Trump che tipo di futuro dovremmo aspettarci?
Ho l’impressione che sotto Donald Trump la situazione potrebbe peggiorare, ma lui ci dirà che migliorerà. È un mago in questo, proprio perché te lo ripete in continuazione e alla fine ti arrendi. Questo è ciò che ci sta accadendo. Ed è un peccato. Credo che attraverseremo un periodo difficile, anche se i Democratici tornano in pista, prima di rimettere le cose in ordine. Speriamo. Non sono contro i Repubblicani o i Democratici, ma contro il fatto che entrambi i partiti si stanno avvicinando al centro e che sono sempre più simili.