L’ex ministro e direttore scientifico dell’Asvis spiega nel suo rapporto sulla governance europea perché le nuove regole fiscali portano in dote un grande salto di qualità, non solo nella direzione della sostenibilità. E l’Italia deve approfittarne
C’è l’Europa di Mario Draghi, quella di Enrico Letta e poi c’è quella di Enrico Giovannini. Ma tutte e tre possono incastrarsi, persino andare a braccetto. Nelle settimane in cui ci si interroga, non solo a Bruxelles, su quali suggerimenti fare propri, quelli dell’ex presidente della Bce o quelli dell’ex leader del Pd o, perché no, tutti e due insieme, Giovannini, un passato al vertice dell’Istat, ministro del Lavoro proprio con Letta a capo del governo e dei Trasporti con Draghi premier e oggi direttore scientifico dell’Asvis, l’Alleanza per la sostenibilità, indica una terza via. Quella che porta dritta a un Vecchio continente più equo, più solidale e meno cagionevole. E che è in netto vantaggio sulle altre due. Tanto da essere stata fatta propria dal nuovo Patto di stabilità.
L’occasione per parlarne è stata la presentazione, presso gli uffici romani della Commissione Ue, del rapporto La nuova governance fiscale europea: investimenti e riforme per un’Europa più giusta, resiliente e sostenibile. Dopo i saluti introduttivi di Carlo Corazza, capo dell’ufficio di collegamento del Parlamento europeo in Italia e di Luca Pierantoni, capo settore politico dalla Rappresentanza della Commissione europea in Italia, Giovannini, intervistato dalla giornalista dell’Ansa, Chiara De Felice, ha spiegato come e perché il nuovo Patto di stabilità rappresenta per davvero quella rottura col passato a lungo invocata da molti governi.
“I rapporti Letta e Draghi sono certamente più complessi del mio, ma non sono stati attuati, non ancora almeno. Quello mio, invece, sì. Un lavoro che poggia, essenzialmente, su un pilastro, quello sociale, fatto proprio dalle nuove regole europee”, ha subito messo in chiaro Giovannini. Il quale ha poi spiegato la genesi e la filosofia del nuovo Patto. “Il concetto è che è possibile coniugare resilienza e sostenibilità ed è lo stesso concetto alla base sia del Recovery Fund, sia del nuovo Patto di stabilità. Ho l’impressione che in Italia non ci siamo davvero accorti di questo grande salto di qualità. Un salto che ha garantito due cose: la continuità delle regole fiscali, dunque una continuità metodologica, ma anche un cambio di passo rispetto al passato”.
La prova, ha spiegato Giovannini, “è per esempio nel fatto che se tu vuoi passare da 4 a 7 anni (le due opzioni per rimettere in traiettoria il debito dei Paesi membri, ndr), devi necessariamente garantire investimenti, anche nel sociale. E questo è una chiarissima connessione con il Pnrr: parlo di resilienza sociale, di diritti sociali, di sicurezza energetica e, laddove necessario la difesa. Ecco dunque che dalle regole prettamente contabili, quelle del vecchio Patto per intendersi, sono state superate, per far spazio a regole che sono allo stesso tempo continuità metodologica e rottura con il passato”.
Una prima conclusione può essere più o meno questa. “Il meccanismo inserito nel nuovo Patto di stabilità, richiede di fare delle scelte, questo è centrale. Non siamo certo l’unico Paese che deve presentare il Piano strutturale di bilancio (Psb). Quello che conta è capire la logica di fondo del nuovo Patto di stabilità, un Patto che, come detto, porta in dote un grande salto di qualità”. L’ex ministro ha poi spostato l’attenzione proprio su quel Piano strutturale di bilancio che il governo sta limando proprio in questi giorni.
“Appare opportuna, di conseguenza, la presentazione, come parte del Psb, anche degli obiettivi che il governo intende raggiungere su alcune grandezze che impattano direttamente sulla vita dei cittadini e sulla qualità dell’ambiente. Magari basandosi su quanto già viene fatto per dodici variabili del benessere equo e sostenibile, peraltro pienamente coerenti con quanto previsto dall’Agenda 2030 dell’Onu ed esplicitamente richiamata nella governance fiscale europea. Le riforme però, qualcuno potrebbe obiettare, costano. Ma Giovannini non è d’accordo. “Non è vero che le riforme costano, perché sono investimenti. E anche qui il nuovo Patto fa un salto di qualità, perché non ti chiede quanto costa una riforma, ma che investimenti fai. La differenza c’è ed è sostanziale. Questo è un cambio di mentalità che è nel Patto ma che noi, in Italia, dobbiamo ancora comprendere”.
Giovannini ha insistito su un punto. “Oggi è importante essere consci degli spazi che questo Patto ci consente. Ma una volta che abbiamo preso coscienza di questa grande opportunità, dobbiamo capire quale investimenti fare”.