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Gustave Thibon, il mondo letto dal filosofo contadino. Scrive Ciccotti

In un periodo in cui è sempre più evidente la violenza dell’uomo esercitata contro la natura, il crescente fascino per la modernità (ora governato dalla AI), non sarebbe il caso di (ri)leggere Gustave Thibon (1901-2003), il filosofo contadino? Una nota di Eusebio Ciccotti con alcune aforismi di Gustave Thibon

Di Gustav Thibon (1903-2001), il “filosofo contadino”, come amava definirsi (era figlio di contadini), il teorico del ritorno alla terra (colui che salvò alcuni manoscritti di Simone Weil: la ospitò nel 1941 nella sua fattoria in campagna, pubblicandoli dopo la precoce morte della filosofa), in Italia si introdussero le sue prime opere sin dal secondo dopoguerra, grazie a piccoli e coraggiosi editori cattolici. Edizioni ora introvabili quali Saggio sull’amore (trad. Maria Pia Miege), Mazara, Società editrice Siciliana,1947; Diagnosi: saggio sulla fisiologia sociale (trad. Giuseppe Casella), con una fine prefazione di Gabriel Marcel, Brescia, Morcelliana, 1947; Il pane di ogni giorno (trad. A.M. Ferrero, Brescia, 1949). Altre opere videro la luce dagli anni Cinquanta ai Settanta.

Ma di Thibon, naturalmente, non se ne parlava né durante le ore di filosofia a scuola, né nei corsi universitari. Essendo un cattolico e un pensatore che si definiva «anti-democratico», nel senso che notava i limiti delle maggioranze democratiche eccessivamente variabili nel cambiare le leggi e i costumi in passiva riverenza al progresso, non poteva ricevere l’attenzione di una cultura egemone neo-positivista che metteva all’angolo il pensiero controcorrente.

Negli anni Duemila, in Italia, si spezza la cappa del silenzio di piombo colata intorno al suo nome, con una bella pubblicazione, La libertà dell’ordine (un’antologia tratta da alcuni suoi testi, trad. E. Fumaneri) edito da Fede & Cultura. Sempre Fede & Cultura ha dato poi alle stampe, recentemente, una valida monografia di Enrico Nadai, Gustave Thibon, 2023.

Va detto che è negli ultimi quattro-cinque anni, in Francia, Spagna e Italia, che l’attenzione per Gustave Thibon ha raggiunto i giusti livelli di attenzione per un pensatore originale, profondo e ironico, grazie alla (ri)pubblicazione di diverse sue opere. Ne ricordiamo alcune: Los hombras de lo eterno. Conferencias 1945-1980, 2024, Rialp, Madrid (Paris, Mame, 2012); Propos d’avant-hier pour apreés-demain. Inedits, 2023, Paris Mame. In Italia, tramite il solerte lavoro della D’Ettoris Editori, hanno visto la luce due bei volumi: Il tempo perduto, l’eternità ritrovata. Aforismi sapienziali per un ritorno al reale, 2021, Crotone, a cura di Antonella Fasoli, prefazione di Benedetta Scotti (che raccoglie L’échelle de Jacob, 1942; L’ignorante étoilée, 1974, Le voile et le masque, 1985) e L’invisibile luce (2022; che presenta Notre regard qui manque à la lumière, 1970, e L’illusion féconde, 1995, tradotti con la consueta acribia da Antonella Fasoli).

I temi filosofici cari alla riflessione di Thibon sono diversi, espressi attraverso un genere filosofico che predilige la brevità del testo (articoli, mini-aggi, testi di brevi conferenze, aforismi), ma terribilmente intensi e profondi, di notevole ampiezza comparativa (San Paolo, Friedrich Nietzsche, Simone Weil, Lope de Vega, Victor Hugo, Pierre de Bérulle, Paul Valery, Gilbert K. Chesterton, André Malraux, ecc.). Uno stile chiaro, teoricamente denso e stratificato, sovente accompagnato da un trasparente senso dell’humour. Egli dichiara candidamente «sono filosofo, ma non un tecnico della filosofia. Non amo molto il linguaggio oscuro dei tecnici della filosofia. […] Quando un filosofo importante mi parla della “concatenazione dei concetti”, per esempio, preferisco dica “la concatenazione delle idee”, che nel linguaggio piano ha lo stesso significato e tutti possono comprendere».

Tra i temi principali del filosofo centrale è quello di ridare vita al vero uomo, creato a somiglianza di Dio e al suo rapporto con la terra, i due poli vitali che la modernità ha opacizzato. L’uomo moderno, dopo aver posizionato l’io cartesiano al centro del divenire sociale (Cartesio, in parte, “responsabile” «della creazione delle ideologie» Naissance des idéologies, 1975), ha potenziato la sua illusoria perfezione “grazie” alla tecnica (e qui Thibon cita Nietzsche). Il progresso, insomma, ha fabbricato un uomo «moderno» interessato esclusivamente ad una «vita comoda», quella progettata appunto «dal moderno tecnocrate».

L’uomo dalla vita comoda porta all’ipertrofia il proprio orgoglio, la recita per gli altri in un ambiente sociale dove regna la finzione: Thibon va oltre la filosofia positivista di Luigi Pirandello, inchiodando il soggetto, che non vuole amare, alle proprie responsabilità, non solo alla maschera pirandelliana che la società gli incolla sul volto. Per Thibon, di quella maschera siamo responsabili, poiché la alimentiamo con il nostro non amore.

Il progresso, che ha sottomesso, tramite un uso sconsiderato della scienza e della tecnologia, la natura, anche alterandola, estende ulteriormente la sua “prepotenza” persino nel modo di pensare e leggere la vita intima del soggetto. Esso, il progresso, ci induce a credere che l’uomo, in virtù di tali sorti progressive tecnologiche (oggi diremmo digitali: aggiungiamoci la AI), possa gestire finanche la categoria del tempo (cfr. il cinema post-apocalittico, con film quali Passengers, 2016, di Morten Tyldum). Insomma, per Thibon, stiamo divenendo addirittura i padroni del tempo, sino a «chiedere al tempo di liberarci dal tempo».

Egli ci avverte: «Non esiste il progresso assoluto, ad ogni progresso segue sempre una perdita di qualcosa, un regresso» (pensiamo alla preveggenza di questa riflessione, datata anni Sessanta, circa l’attuale inarrestabile produzione di armi nucleari, la distruzione dell’Amazzonia, l’inquinamento dell’aria, del suolo e delle acque, lo scioglimento progressivo dei ghiacciai, ecc.).

Thibon è interessato all’autentico progresso, ossia a quello guidato dalla fede. E per spiegarlo ricorre alla «pedagogia paolina». Dio, autore del tempo e, quindi, del progresso che si dispiega nel tempo, prima si è rivelato «attraverso la Legge e poi attraverso il Figlio». Dio ha educato l’uomo elevandolo a figlio prediletto, quindi destinandolo all’eternità. Questo è, per Thibon, l’autentico progresso. Che non annulla quel progresso scientifico che migliora le condizioni di vita quotidiana, ma scorre accanto ad esso donandogli il senso compiuto del percorso «nel tempo oltre il tempo».

Riflettendo sull’era della comunicazione, avverte il lettore che essa fluttua nell’«era del vuoto». Infatti, il mondo attuale «[…] è sempre più irreale nella misura in cui evapora in puro spettacolo e non esiste che per essere visto…». Del resto, la nostra società della comunicazione ci investe con una «onda di informazione e di immagini venute dai quattro angoli dell’universo, che ci parlano continuamente, ma non ci ascoltano e non rispondono mai».

Sul piano del soggetto, quello, per esempio, della vita intima, critica l’amore inteso solo come scambio passionale, tra due “io” che intendono imporsi alternativamente uno sull’altro nel gioco della passione (ancora Cartesio), e non come disponibilità ad accogliere l’altro, come autentico riflesso dell’amore divino cui quello umano dovrebbe somigliare: «Bisogna che l’amore finisca per uccidere l’io. Se no, è l’io che finisce per uccidere l’amore».

Altro tema è quello del ruolo importante della terra. La vita del contadino è benedetta da Dio poiché chi ama la terra è in comunione con Lui. Ma ormai il contadino, da più di mezzo secolo, ha lasciato la terra per la città dove ha perso la sua identità vivendo in un gregge di operai o impiegati. Bisognerebbe tornare ad amare la terra, lavorandola. La sola letteratura che parla della vita della campagna non potrà mai essere un invito a tornare alla terra, in quanto tratta di storie di contadini sradicati: è, purtroppo, una letteratura del rimpianto, con l’unica opzione di parlarci «dell’amore di coloro che l’hanno dovuta lasciare» (Vie des champs et littérature champêtre, 1950).

Tutte le riflessioni di Gustave Thibon possono esser lette come un oratorio filosofico rivolto a Dio. Ma il Dio di Thibon non è un Dio lontano, una statua inanimata, un motore immobile: è quel Dio-Uomo che è tornato in cielo dopo la Risurrezione. Infatti Thibon, che trascrive nei suoi appunti la celebre frase di Paul Valery «Il XXI secolo o sarà religioso e non sarà», sa che Lui sta ascoltando i suoi aforismi (e, forse, sorride di questa filosofia, ad un tempo, profonda e leggera).

La filosofia aforistica di Gustave Thibon

«Il mito del progresso consiste nell’attendere dall’avvenire una beatitudine che le condizioni dell’esistenza terrena rendono impossibile, cioè chiedere al tempo di liberarci dal tempo. Il realismo della fede consiste nell’aprirsi alla vita eterna, Ebbene, “la vita eterna è che essi Vi conoscano, Voi, il solo vero Dio, e colui che Voi avete inviato Gesù Cristo” Ed è di cercare innanzitutto il regno di Dio e la sua giustizia […]»

«La pedagogia divina non consiste nel migliorare le nostre condizioni di esistenza temporali, ma nell’elevarci al di sopra del tempo rivelandoci l’eternità».

«Non maledirò mai la terra. Ciò che mi delude, ciò che mi fa sentire la ferita dell’esilio (qui sulla terra, lontano da Dio, n.d.r.), non è la terra, è il tempo e il peccato. Il tempo che mutila la mia gioia e il peccato che la sporca. Ebbene, né l’uno né l’altro sono essenziali alla creazione, I corpi resuscitati e la terra nuova annunciata dalla Scrittura non conosceranno né i limiti del tempo né la sporcizia del peccato»”

«[…] l’unico progresso, lungi dall’essere portato dal corso del tempo, nascerà dalla morte del tempo»”

«Il cristianesimo perviene così al paradosso che non c’è altra vera novità nel tempo che quella che consiste nel vivere al di sopra del tempo».

«Amare è avere fame insieme, e non divorarsi l’un l’altro».

«L’unica nobiltà dell’uomo, la sola via di salvezza consistono nel riscatto del tempo attraverso la bellezza, la preghiera e l ‘amore. Al di fuori di questo, i nostri desideri, le nostre passioni, i nostri atti non sono che vanità ed “inseguimento del vento”, risacca del tempo che il tempo divora. Tutto ciò che non è eternità ritrovata è tempo perduto».

«Mistero della vecchiaia. Ero forte un tempo e mi sentivo portato da Dio. Oggi, divenuto debole, debbo portare Dio».

«Ultima offesa a Dio. Tremare davanti alla sua giustizia dopo aver ignorato il suo amore».

«Il “Dio della mia infanzia”? L’ho perso per meglio ritrovare un Dio-bambino».

«Non giudicate. Finché odio il mio nemico, sono suo complice: detesto in lui ciò che in me gli assomiglia…»

«Ciò che chiamiamo “nostra personalità” non corrisponde mai alla vera realtà della nostra anima: è una maschera, in parte tessuta dall’interno dal nostro orgoglio che dà spettacolo a sé stesso, in parte imposta dal fa fuori dal ruolo che recitiamo davanti agli altri.  L’amore strappa tutte le maschere interiori o esteriori […]»

(Brani tratti da Gustave Thibon, L’invisibile luce. Aforismi sapienziali per una redenzione del tempo, a cura di Antonella Fasoli, 2022, Crotone, D’Ettoris Editori. Per gentile concessione dell’Editore).



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