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I sei passi che deve fare l’Europa per tornare competitiva. Scrive Paganetto

Il ​Gruppo dei 20​, nel volume appena pubblicato da Link UP​, ribadisce​ la necessit​à di rimediare al ritardo di crescita e produttivit​à dell’Europa.​ Ma non basta.​ Occorre una svolta nella direzione di uno sviluppo sostenibile​. Il commento del presidente del Gruppo, Luigi Paganetto

Il mondo è cambiato. Ed è dalla fine degli anni ’90, dopo quelli del successo del mercato unico, che i Paesi dell’euro hanno perduto posizioni in termini di reddito pro capite rispetto agli Usa in un contesto di forte crescita dei Paesi emergenti (a cominciare dal sud-est asiatico) e dell’aumento a due cifre del pil della Cina. Un quadro sintetico dell’economia mondiale che volesse distinguere tra un centro da una parte e una periferia dall’altra, vedrebbe l’Europa di oggi collocata in maniera prevalente in quest’ultima parte. In questo quadro le imprese del centro godono crescenti vantaggi di agglomerazione in termini di scala di produzione e di tecnologia. Non solo. Ma le maggiori opportunità d’investimento offerte dal centro spingono capitali e risparmio europeo a collocarsi all’estero anziché essere impiegati all’interno.

L’inseguimento competitivo è, in queste, condizioni assai difficile. Anche perché deve avvenire in un contesto in cui le guerre e la divisione del mondo in blocchi commerciali creano condizioni di conflitto e forte incertezza. A ciò va aggiunta l’insoddisfazione dei cittadini ,manifestata con il voto nelle recenti elezioni europee, per le ineguaglianze che si sono accompagnate alla bassa crescita del reddito e per le politiche adottate in materia di immigrazione e di contrasto al cambiamento climatico. Ed è a partire da questo quadro che occorre valutare il da fare per recuperare il ritardo europeo.

Occorre farlo tenendo presente che le iniziative da prendere richiedono tempi diversi, brevi e lunghi, per essere realizzate:

1. È in tempi lunghi che l’Europa può tornare ad avere un posto di primo piano nei settori high -tech. Per farlo servono, come suggerisce il rapporto Draghi, ingenti investimenti ad alto contenuto d’innovazione sostenuti dall’intervento europeo. Ma, va aggiunto, deve soprattutto essere sollecitata la partecipazione del settore privato. Magari con il sostegno di una policy europea di assunzione di una parte dei rischi d’investimento (che sono elevati quando c’è innovazione) sul modello adottato a suo tempo da J.C. Juncker.

Né va dimenticato che, mentre si avviano, come sta accadendo, le politiche industriali capaci di sostenere le nostre imprese e fare innovazione, va realizzato un forte impegno nel settore dei servizi che rappresentano, comunque il 70% circa del Pil e mostrano un modesto aumento della produttività. Tra i servizi la nostra posizione nel Mediterraneo suggerisce di privilegiare quelli relativi ai trasporti marittimi con la valorizzazione high-tech del nostro sistema portuale e con la sua sburocratizzazione, in modo da far prevalere la sua competitività complessiva. Una politica euromediterranea, che includa un rapporto privilegiato con l’Africa, può essere la carta vincente per il nostro Paese.

2. In tempi più brevi si può realizzare un intervento a favore del commercio estero. La bassa crescita del commercio effetto dell’incertezza legata alle guerre in atto e delle divisioni del mondo in blocchi commerciali antagonisti tocca in modo particolare la Eu che ha un interscambio con gli altri Paesi pari al 55 % del suo Pil contro il 25% degli Usa e il 40% della Cina e ha una specializzazione prevalente in settori a media tecnologia come è il caso dell’automotive dove si fa sentire la concorrenza dei Paesi emergenti. Ed è perciò importante una politica estera che ,nell’epoca dei dazi e delle guerre commerciali, assicuri un miglior posizionamento dell’Europa negli accordi di scambio a livello internazionale, conciliandola con un impegno per la riduzione degli squilibri che oggi dominano i mercati.

3. L’innovazione non è soltanto un alimento essenziale per l’economia e lo sviluppo, è un motore sociale indispensabile per lo sviluppo sostenibile, cui è orientata l’Europa in coerenza con i valori su cui si fonda. I costi economici e sociali di una insufficiente attività d’innovazione dice il Nobel E. Phelps sono seri perché, al di là dei vanteggi pecuniari ,il desiderio di creare ,esplorare ed affrontare sfide é fondamento di una società dove prevalga una good life, dunque uno sviluppo sostenibile. Anche se non sono chiari né il modo che i tempi in cui digitale e intelligenza artificiale aumenteranno la produttività e la crescita ne va evitato il possibile effetto di spiazzamento del mercato del lavoro con un adeguato investimento in formazione e l’impegno su equità e inclusione. Quel che è certo è che l’investimento in innovazione non porta di per sè un aumento delle disuguaglianze che sono, semmai dovute alla insufficienza dell’attività d’innovazione.

4. Il malcontento espresso con il voto tocca alcuni aspetti di fondo delle politiche europee di cui occorre tener conto nei programmi del prossimo quinquennio di legislatura. Si tratta di aspetti nevralgici a cominciare dal contrasto al cambiamento climatico la cui esigenza non puo’ essere messa in discussione ma che va ripensata per far si che la transizione energetica, associata alle politiche d’investimento su due settori strategici per la crescita ,quali energia e digitale , mostri un bilancio positivo tra i suoi costi, elevati, e i suoi benefici. Rimedi al suo deficit innovativo. E tenga conto dei costi sociali che comporta.

Altrettanto vale per le politiche sull’immigrazione in cui ,anziché inseguire i sentiment ostili ai migranti vanno realizzati progetti-Paese in cui i principi di accoglienza e integrazione siano associati all’esigenza di fronteggiare l’invecchiamento della popolazione e le sue conseguenze. Sono politiche che devono essere riviste perché non si possono realizzare senza un adeguato consenso e l’attenzione necessaria verso la sostenibilità dello sviluppo. C’è una responsabilità della politica che deve impegnarsi a rendere più chiari obbiettivi e tempi della transizione energetica e non deve inseguire i sentiment ostili all’ immigrazione.

5. Serve un mercato comune dell’energia. La crisi energetica del 2022 si è incaricata di mostrare a tutti ,se mai ce ne fosse bisogno, la centralità dell’energia per lo sviluppo. Un mercato comune dell’energia, lo ricorda il rapporto Letta, si collega alle scelte fondative europee. Ma soprattutto rappresenta una scelta necessaria non solo per ricercare le condizioni di minor costo dell’energia ma anche per realizzare le nuove reti “intelligenti “a livello continentale.

6. Naturalmente su questa scelta, come su quelle in materia di debito comune, difesa e allargamento nasce l’obiezione dell’ostacolo rappresentato dalle regole di Governance che le rendono irrealistiche. Ma non va dimenticato che la storia dell’Unione europea ci ha insegnato che anche sui temi di maggiore difficoltà (basta pensare alla vicenda dell’euro) scelte che sembravano impraticabili hanno finito per essere adottate.



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