Si può forse fingere ancora per qualche giorno che il Partito democratico non abbia un problema di identità, non si può negare che ad averlo sia la coalizione che idealmente si candida a governare in alternativa al centrodestra meloniano. Nei partiti d’un tempo l’identità era oggetto di curiosi e complessi riti chiamati Congressi nazionali…
Rispondendo alle sollecitazioni di Lilli Gruber, il giorno dei risultati elettorali in Liguria ad Otto e mezzo Massimo Giannini si è abbandonato ad un durissimo atto di accusa al Movimento 5 Stelle, un partito giudicato irrimediabilmente, e un po’ sprezzantemente, “privo di identità”. Vero. La crisi dell’ex Movimento grillino, oggi mutato in Partito di Giuseppe Conte, è in effetti conclamata.
Facendo infatti della Liguria beppegrillina la metafora d’Italia, nove anni fa il Movimento 5 Stelle poteva contare su 120mila voti di preferenza, ridotti a 48mila nel 2020, degradati a 25mila oggi. Questi sono i voti, questo il trend; il resto sono chiacchiere.
Ma Massimo Giannini non ha parlato di “consenso”, ha parlato di “identità“. Un’identità che tuttavia, pur nella consapevolezza delle riconosciute doti camaleontiche del suo leader, il Partito di Giuseppe Conte, oggi, tutto sommato sembrerebbe avere. È grosso modo la trasposizione storica (mala tempora, si finisce per rimpiangere tutto…) dell’identità che fu di Rifondazione comunista ai tempi andati dei governi Prodi, anche se con un evidente surplus dí anti politica e di manipulitismo.
Verrebbe pertanto, e da cultori della democrazia dell’alternanza duole dirlo, semmai da chiedersi quale sia, oggi, “l’identità” del Partito democratico. E, sempre parlando di Elly Schlein, quale sia l’identità della coalizione che si presenta agli italiani come alternativa ai governi nazionale e regionali del centrodestra.
Nella sua armocromia, l’identità del Partito democratico di Elly Schlein viene oggi percepita come sempre più sovrapponibile a quella del Partito di Giuseppe Conte. Ma va detto che non per questo il Pd in quanto tale sembra risentirne elettoralmente. Non ancora, almeno.
A risentirne senza ombra di dubbio e non da oggi è la coalizione, Il centrosinistra ha perso, nell’ordine, il Friuli Venezia Giulia nell’aprile 2023, il Molise nel giugno 2023 l’Abruzzo nell’aprile 2024, la Basilicata nel giugno 2024, il Piemonte nell’ottobre 2024. E oggi la Liguria.
Si può forse fingere ancora per qualche giorno che il Partito democratico non abbia un problema di identità, non si può negare che ad averlo sia la coalizione che idealmente si candida a governare in alternativa al centrodestra meloniano. Coalizione che incidentalmente risulta oggi guidata dalla segretaria del Partito democratico.
Il sindaco di Milano Beppe Sala, pro domo sua, l’ha messa così: “Ciò che palesemente è deficitario nel centrosinistra è la forza centrale, quella moderata, pragmatica, capace di riforme, europeista, una nuova componente liberal, che al momento ha una rappresentanza non definita”. Quella che evoca Sala era un tempo considerata la collocazione naturale del Pd “a vocazione maggioritaria”. Par di capire che non lo sia più.
Sì, in effetti evocando il tema dell’identità Massimo Giannini ha posto una questione seria e reale. Una questione che con tutta evidenza riguarda in modo particolare il Partito democratico. Una questione che nei partiti d’un tempo era oggetto di curiosi e complessi riti chiamati Congressi nazionali.