La transizione del settore del vetro potrà avere successo, senza mettere a rischio la competitività industriale, solo con “politiche e regolamenti governativi adeguati e calibrati, una chiara e condivisa programmazione degli interventi, incentivi per l’adozione di tecnologie pulite, supporto alla ricerca e sviluppo, realizzazione delle necessarie infrastrutture (trasporto CO2 e potenziamento rete elettrica)”. Il report di Assovetro letto da Illomei
Per realizzare il percorso di decarbonizzazione che l’Unione Europea ha previsto per il 2050, l’industria italiana del vetro dovrà mettere in cantiere una profonda ristrutturazione dei processi industriali per la produzione di manufatti e l’utilizzo dell’energia, attraverso l’uso di nuove tecnologie, adeguate infrastrutture e ingenti investimenti, stimati in almeno 15 miliardi di euro.
La transizione del settore del vetro potrà avere successo, senza mettere a rischio la competitività industriale, solo con “politiche e regolamenti governativi adeguati e calibrati, una chiara e condivisa programmazione degli interventi, incentivi per l’adozione di tecnologie pulite, supporto alla ricerca e sviluppo, realizzazione delle necessarie infrastrutture (trasporto CO2 e potenziamento rete elettrica)”.
È quanto emerge dallo studio realizzato da Assovetro, in collaborazione con KPMG, sugli scenari possibili di decarbonizzazione presentato nel corso di un incontro La transizione ecologica del vetro, per aprire una riflessione con tutti gli stakeholder e le istituzioni, non solo sulle strategie e le tecnologie che le aziende dovranno mettere in campo, ma anche sugli impatti organizzativi, sociali ed economici di questo percorso per raggiungere il net zero al 2050.
Val la pena ricordare che l’industria italiana del vetro è la seconda manifatturiera in Europa con oltre 9 miliardi e mezzo di fatturato e circa 29 mila occupati.
“Le produzioni di vetro italiane sono leader a livello europeo nell’efficienza energetica e nel riciclo – ha ricordato il presidente di Assovetro Marco Ravasi – Le aziende hanno piani di investimento per la riduzione delle proprie emissioni di CO2 e stanno investendo in tecnologie innovative. Ma non possiamo fare tutto da soli per quanto riguarda risorse e programmazione, senza mettere a rischio la nostra competitività”.
“È necessario – prosegue – che il legislatore si muova con coerenza e gradualità. Senza una roadmap italiana e una guida dell’Europa, si correrà il pericolo di delocalizzare un’industria strategica in Paesi con standard ambientali e sociali più bassi”.
Lo studio, oltre a fornire un quadro della legislazione europea sulla decarbonizzazione, esamina emissioni, consumi, strategie e costi per centrare l’obiettivo zero emissioni del comparto. Per quanto riguarda le emissioni, in uno scenario business as usual, diminuirebbero di poco entro il 2050, anche per il previsto aumento delle produzioni.
Per raggiungere il target di emissioni zero, lo studio prende in considerazione sei leve di decarbonizzazione: efficientamento energetico, maggiore utilizzo del rottame, ulteriore elettrificazione, green fuels, tecnologie per la cattura e lo stoccaggio della CO2 (CCS), utilizzo di materie prime decarbonate. Leve che dovranno essere utilizzate in due principali scenari.
Il primo è la strategia Green Fuels, con l’utilizzo predominante di combustibili verdi (biometano e idrogeno), integrato con la tecnologia CCS per eliminare le emissioni residuali di CO2. Il secondo è la strategia che prevede ancora l’utilizzo del gas naturale di origine fossile.
Per arrivare a zero emissioni al 2050 con una produzione di vetro stimata di circa 8 milioni 200 mila tonnellate l’anno, secondo la prima strategia, i costi subirebbero un aumento di circa 122 euro a tonnellata e, in valore assoluto, di un miliardo circa all’anno. Per la seconda il costo incrementale sarebbe soltanto di 75 euro e mezzo a tonnellata e 620 milioni euro l’anno.
In ogni caso, secondo l’associazione nazionale degli industriali del vetro, per rendere attuabili gli obiettivi di decarbonizzazione occorrono sostegni economici agli investimenti necessari per la modifica dei processi produttivi: attraverso il rafforzamento di strumenti come i contratti di sviluppo ambientali, il fondo per il sostegno alla transizione industriale e crediti di imposta transizione 5.0.
E sostegni economici all’acquisto di “vettori energetici” ad emissioni zero (energia elettrica, idrogeno, ecc.) per mantenere la competitività di costo delle produzioni e livellare la concorrenza anche tra gli Stati membri dell’Unione.
Sostegni al cambiamento del processo produttivo anche attraverso semplificazioni burocratiche, priorità di accesso ad aumenti di capacità in prelievo di energia elettrica, priorità sull’acquisto di vettori energetici decarbonizzati, priorità su utilizzo delle aree pubbliche per impianti da fonte rinnovabile.
Inoltre, occorre rafforzare i sistemi di difesa commerciale dalle importazioni da Paesi terzi che non applicano legislazioni ambientali avanzate attraverso procedure di adozione di dazi anti dumping e agevolazione all’adozione di nuove misure di protezione commerciale.
E, ancora, riformare il sistema di scambio di quote di emissione (ETS) dell’Unione europea, previsto nel pacchetto “Fit for 55%”, per evitare, nel periodo transitorio, una carenza di permessi di emissione e la conseguente inevitabile speculazione.
Sviluppare le infrastrutture di rete (elettriche, CCS, H2) con particolare riguardo alla distribuzione dei costi e alle tempistiche di realizzazione, con massici investimenti pubblici e un quadro regolatorio certo.
E ancora, un piano di produzione di energia verde e vettori energetici de carbonizzati e un piano delle aree pubbliche ad esclusivo utilizzo di impianti per l’alimentazione dei processi energivori. Anche in questo caso attraverso investimenti pubblici e semplificazione burocratica.
Sui costi della decarbonizzazione anche il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto, in collegamento video, si dice d’accordo.
“Il Governo intende accompagnare le aziende in questo processo verso emissioni zero, avendo già investito, anche con fondi del Pnrr, tre miliardi e 600 milioni per una fonte energetica come l’idrogeno. Anche con il Piano Mattei, insieme ai Paesi del Nord Africa, per la produzione di energia da fotovoltaico ed eolico. Siamo solo all’inizio del percorso che le aziende e lo Stato devono percorrere insieme con investimenti congiunti e scelte condivise”.