La visita della ministra degli Esteri mette in luce il difficile equilibrio tra le relazioni economiche bilaterali e le pressioni dell’alleanza euroatlantica, nel mezzo della guerra in Ucraina. Il commento di Marco Mayer
L’imminente missione in Cina di Annalena Baerbock, ministra degli Esteri tedesca, solleva numerosi interrogativi nella diplomazia internazionale, in particolare nei quartieri generali dell’Unione europea a Bruxelles. La principale preoccupazione riguarda la capacità della Germania di conciliare i propri interessi nazionali con quelli degli altri Stati membri dell’Unione europea (considerando che il commercio è una competenza primaria dell’Unione), nonché con quelli della comunità euroatlantica in generale.
Nonostante le misure di diversificazione, la Germania resta il Paese europeo con la maggiore interdipendenza asimmetrica con la Cina, accompagnata dall’Ungheria di Viktor Orbán. Questa vulnerabilità non riguarda soltanto il noto settore automobilistico, ma si è estesa a numerosi altri comparti industriali, inclusi alcuni strategici.
A differenza dei tre decenni successivi alla caduta del muro di Berlino, oggi gli interessi commerciali delle nazioni possono entrare in conflitto con le esigenze delle alleanze diplomatiche e militari tra paesi democratici, toccando così la “Politica”, con la P maiuscola. Questa volta, la ministra Baerbock non potrà cavarsela con vaghi riferimenti alla violazione dei diritti umani in Xinjiang o a Hong Kong, come avvenuto lo scorso anno.
Dovrebbe presentarsi a Pechino con dossier ben preparati, che evidenzino le relazioni tra Cina e Russia nel settore dell’industria duale. A Berlino sanno bene che, nonostante la retorica nazionalista della sua leadership, anche la Cina ha un grande bisogno della Germania.
Sarà interessante vedere se la leader dei Verdi, attualmente in declino elettorale, riuscirà a sfruttare questa finestra di opportunità per dimostrare di essere una vera statista, affrontando con determinazione il tema delle forniture cinesi che la Russia utilizza nella sua invasione dell’Ucraina.
Non è un caso che Mark Rutte, nuovo segretario generale della Nato, abbia dichiarato subito dopo il suo insediamento che la Cina è “diventata un facilitatore decisivo della guerra della Russia in Ucraina”. E ha aggiunto: “Non può continuare ad alimentare il più grande conflitto in Europa dalla Seconda guerra mondiale senza subire conseguenze sui suoi interessi e sulla sua reputazione”. Le difficoltà economiche in cui versa la Germania non favoriscono certo un intervento deciso, ma è proprio nella capacità di andare controcorrente che si misura la stoffa dei veri leader politici.